Welby, arcivescovo «no global»a capo della Chiesa d’Inghilterra

Fabio Cavalera
www.corriere.it

Di quale pasta sia fatto il nuovo capo spirituale degli anglicani lo si era capito un giorno della scorsa estate quando il presidente della Barclays, sir David Walker, presentandosi con un certa baldanza davanti ai Lord si trovò investito da una domanda che era una sciabolata al cuore: «Ma voi banchieri perché siete così tanto avidi? Perché vi arricchite speculando coi soldi degli altri?». Justin Welby, all’epoca era il vescovo della diocesi di Durham ed era pure uno dei rappresentanti nella Camera alta a Westminster della Chiesa d’Inghilterra. Tutti sapevano che il cinquantaseienne figlio di un commerciante di whisky nonché amico della famiglia Kennedy e di Jane Portal, una delle segretarie di Winston Churchill, aveva (e ha) il dente avvelenato con i padroni e con padrini della City.

Ma che un tipo così, nonostante gli studi a Eton e Cambridge (storia), nonostante l’educazione doc, nonostante il suo passato di perfetto «business man», lanciasse pubblicamente la sua sfida al numero uno di un colosso del credito come Barclays, pochi pensavano che potesse accadere. E ancora meno erano quelli che, essendo vacante la cattedra di arcivescovo di Canterbury dopo l’uscita di Rowan Williams, puntavano sull’ascesa di questo signore al soglio massimo anglicano. E, invece, la Crown Nominations Commission, dopo tanto dibattere nella cristianità inglese, alla fine ha chiamato proprio lui: sarà dunque «il fustigatore» della City a comandare (dopo sua maestà, che ne è il vertice simbolico) il gregge dei fedeli.

Chi l’avrebbe mai azzardata, quel giorno dell’estate olimpica, una previsione simile? Scherzi del destino. Nella capitale mondiale della finanza la Chiesa d’Inghilterra sceglie di essere governata da un uomo (sposato e padre di cinque figli) e da un vescovo-lord che della riforma bancaria e della necessità di controlli rigidi su ciò che i «maghi» dei tassi e dei mercati combinano nel segreto delle loro «stanze di guerra», fa il suo moderno vangelo. E non per improvvisa ispirazione divina ma perché Justin Welby la conosce bene la City e conosce bene i «peccati (sue parole) che le grandi company commettono». Ha lavorato nel Miglio Quadrato e ha servito il capitalismo internazionale.

Già, storia interessante quella del neo arcivescovo di Canterbury. «La chiamata di Dio» (sempre sue parole) l’ha avvertita tardi. Dopo la laurea e i dottorati di ricerca, Justin Welby, non ancora presule, aveva trovato impiego nelle aziende petrolifere (alla Elf francese ella Enterprise Oil Plc). Ne era diventato un manager, viaggiava fra Londra, Parigi e l’Africa, nelle aree di estrazione nel Niger («ho visto molti colleghi arrestati per corruzione»), era diventato un apprezzato «trader» dei famigerati titoli derivati. Poi nel 1987 la tragedia che gli cambiò la vita: muore la sua bambina. Il dolore, la riflessione, l’ordinazione nella Chiesa d’Inghilterra.

Justin Welby ha cominciato subito a predicare contro le brame della finanza allegra e ladrona, osservata tanto da vicino: in un saggio del 1997, dal titolo «L’etica dei derivati» già spiegava la struttura e l’inganno dei futures, degli swaps, dei contratti «pronti contro termine», e concludeva: «Sono strumenti potenti, necessitano di monitoraggi severi». Una voce mai arrivata ai piani alti della City: ben 10 anni prima che la finanza venisse travolta dalle sue stesse diaboliche creature.

Il nuovo arcivescovo di Canterbury adesso risfodera i suoi insegnamenti. Può farlo: top manager e top bankers spregiudicati sono nel mirino. Inneggia al movimento «Occupy London», gli antagonisti che si accamparono davanti a St Paul: «Hanno ragione, in questa finanza c’è davvero molto che non va bene». Il censore più pericoloso la City lo trova in casa. E non può prenderlo sotto gamba.

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Giuseppe Acconcia
www.ilmanifesto.it

E’ Justin Welby, 56 anni, il 105esimo arcivescovo di Canterbury. Nominato vescovo di Durham da un anno appena, laureatosi nella prestigiosa Università di Eton, Welby è un uomo dalle tante vite. Suo padre è stato commerciante di whisky negli anni del proibizionismo negli Stati uniti, prima di diventare dirigente di una delle aziende produttrici di alcool sopravvissute alle chiusure. Figlio della segretaria privata di Winston Churchill, come il padre, anche Welby ha completamente capovolto la sua vita. Ha iniziato a lavorare per la Elf in Francia ed è stato poi tesoriere per undici anni dell’Enterprise oil, compagnia petrolifera impegnata soprattutto in Nigeria. Ma nel 1987 è arrivata la vocazione. Welby prima è diventato prete anglicano e poi si è laureato in teologia all’Università di Durham. Mentre molti suoi vecchi colleghi venivano arrestati per corruzione, Welby discuteva la sua tesi dal titolo: «Le aziende possono peccare?». Con la moglie Caroline è padre di sei figli, una delle quali, Johanna, è morta in un’incidente stradale nel 1983: l’episodio che ha segnato più duramente la sua vita. Una volta diventato vescovo, Welby è stato per due anni direttore di un ospedale del Servizio sanitario nazionale (Nhs). Non solo, l’arcivescovo di Canterbury è uno degli esponenti della commissione parlamentare sui tassi interbancari, nominata dopo lo scandalo dell’estate scorsa sulla falsificazione del Libor, che ha portato alle dimissioni dei vertici della Barclays e coinvolto i maggiori istituti di credito britannici.

Il pragmatico vescovo di Canterbury salirà sul trono come guida della chiesa anglicana il 21 marzo prossimo, succedendo a Rowan Williams. «Essere nominato arcivescovo mi rende esterrefatto ed emozionato» – è stato il suo primo commento all’annuncio. «Sento il grande privilegio di essere responsabile della guida della chiesa in un momento cruciale e sono completamente ottimista sul suo futuro» – ha proseguito Welby. L’arcivescovo ha poi incontrato la stampa nella residenza del palazzo Lambeth, periferia di Londra, circondato dagli affreschi dei suoi predecessori. Rivolto ai presenti, si è detto desideroso di usare per la prima volta Twitter per veicolare i messaggi dal trono che fu di Sant’Agostino. Welby ha anche raccontato di aver aperto la lettera con l’annuncio del primo ministro, David Cameron, mentre si affrettava ad andare ad un appuntamento per strada e di aver esclamato «oh, no!». «Credo che avere come guida anglicana qualcuno che ha avuto una vita fuori dalla chiesa porterà un gran respiro di aria fresca» – è stato il primo commento di Cameron all’annuncio della nomina. Una delle prime richieste del nuovo arcivescovo di Canterbury è che il Sinodo generale che si riunirà in questo mese approvi la legislazione che permetterà l’accesso all’episcopato per le donne.

Se Welby, da una parte, ha sottolineato come ogni discriminazione in base al sesso non verrà permessa, dall’altra, ha confermato la sua opposizione contro i matrimoni tra omosessuali. Ma i toni sono apparsi conciliatori. «È assolutamente giusto che lo stato definisca i diritti e lo status di persone che convivono in forme diverse di relazione, incluse le unioni civili. Non dobbiamo permettere che in nessuna parte della chiesa ci sia spazio per l’omofobia» – ha detto Welby. Ma è andato anche oltre: «So di dover ascoltare attentamente le comunità Lgbt e esaminare le mie convinzioni personali». Welby si è poi espresso a favore dell’ordinazione di preti omosessuali se accettano il celibato. In merito ai tagli allo stato sociale, imposti dalle misure di austerità volute dal governo conservatore, il nuovo arcivescovo di Canterbury non si è mai sbilanciato. «Credo che iniziative come Occupy Saint Paul riflettano il senso che qualcosa è sbagliato, ma dobbiamo chiederci cosa»- ha concluso Welby nel perfetto stile diplomatico della chiesa anglicana. Nella gestione pastorale, per Welby sarà complesso mettere in atto il promesso episcopato femminile, che ancora trova una dura critica nelle gerarchie ecclesiastiche. Infine, dovrà riformare la carente gestione della chiesa di Canterbury nel mondo e mettere in discussione l’intero sistema di finanziamento della chiesa anglicana, su base di congregazioni.