Imu e Chiesa, la resa dello Stato

Maria Mantello
www.micromega.net

La salatissima multa che dovremo pagare noi cittadini italiani tutti perché lo Stato consente alla Chiesa cattolica di non pagare l’Imu sulle sue proprietà commerciali è ormai certa. Il governo Monti che in un primo momento sembrava voler porre fine a questa odiosa evasione fiscale che lo Stato le consentiva, alla fine ha scelto di mantenerla. 

Il regolamento è diventato legge con il Decreto 200 del 19 novembre 2012. Gli enti religiosi gestori di alberghi, ristoranti, case di cura, agenzie turistiche, piscine, scuole, ecc. in pratica possono continuare a non pagare l’Imu. La resa del governo alle pressioni clericali sembra totale. A Porta Pia si è preferita Via della Conciliazione! 

Eppure, Monti avrebbe potuto proprio sull’Imu dimostrare di essere un tecnico. Procedere al calcolo dei mq di immobile destinato al profit, sarebbe stato tanto difficile? Certo che no, se gli intenti non fossero stati squisitamente politici. 

Col risultato di ingarbugliare ancora di più la questione in modo da rendere impossibile che nei palazzi del profit clericale (scuole, ospedali, agenzie turistiche, assicurative, sportive, ecc.) possano mai entrare gli esattori d’imposta. 

L’odioso privilegio dell’esenzione Imu (allora Ici) per la Chiesa sulle attività commerciali fu opera del governo Berlusconi e del suo ministro delle finanze Tremonti che nel 2005 estendeva il non pagamento per i luoghi di culto anche agli «immobili utilizzati per le attività di assistenza e beneficenza, istruzione, educazione e cultura pur svolte in forma commerciale se connesse a finalità di religione o di culto». In pratica tutto. 

Un timido tentativo per eliminare questo assurdo privilegio la fece il centro sinistra nel 2007; ma di fronte alle alleanze cattoliche bipartisan introdusse l’ormai nota formula del «non esclusivamente commerciale». Insomma bastava una cappella annessa per non pagare l’Imu anche per le attività profit, con un danno annuale per il pubblico erario che va dai 300 ai 500 milioni.

E proprio sulla media di questa cifra, moltiplicata e rivalutata per tutti gli anni di Imu non pagata dalla Chiesa, l’Unione europea calcolerà la multa che ci ha inflitto, che così potrebbe arrivare a 3,5 miliardi.  La scappatoia c’era: eliminare l’illecito “favoreggiamento di Stato” entro il 2012. 

Il Governo Monti si è trovato a doversi occupare della faccenda. 

Saremo rigorosi, aveva annunciato, ma preso dai giri di valzer con Oltretevere, si è aggrovigliato in una normativa che alla fine grazia la Chiesa e non ci risparmierà la multa Ue.

Dopo la poco onorevole vicenda della mancanza del decreto attuativo dell’art. 91-bis, già inserito nel Decreto sulle liberalizzazioni del 24 marzo 2012, che avrebbe dovuto chiarire come distinguere le aree no profit da quelle profit da assoggettare all’imposta immobiliare, emesso il 5 settembre in extremis – con scialuppe di salvataggio annesse – e bocciato dal Consiglio di Stato (“lo sapevano”, disse allora il candido Polillo) per palesi confusioni nella materia e nelle competenze, a metà novembre è venuto a galla il secondo atto delle prove tecniche di favoreggiamento di Stato. 

La sceneggiata del salvataggio del privilegio ecclesiastico sull’Imu in questa occasione si è cercata di farla scivolare con un emendamento – a firma di Maurizio Lupi e Gabriele Toccafondi del Pdl, nonché gregari di spicco in Comunione e Liberazione – approvato a Montecitorio il 2 novembre dalle commissioni congiunte Affari Costituzionali e Bilancio di Montecitorio. 

Qualche parolina, nella speranza di non dare nell’occhio, ma che opportunamente infilata nel decreto sugli Enti locali n°174 al comma 6 dell’art. 9 avrebbe consentito di far saltare la possibilità di calcolare le proporzioni di immobili destinate alle attività commerciali. 

L’esenzione dall’Imu scatta quando l’attività commerciale sia svolta «in modo diretto e indiretto con modalità non lucrative». Parole magiche! Se infatti un albergo con una mano accoglie i “pellegrini” (potrebbe essere anche un 5 stelle!), ma i quattrini li prende l’altra mano, ovvero la struttura bancaria dove si depositano gli introiti dell’albergo, potrebbe verificarsi che anche la banca non paghi l’Imu. 

Un bel passo avanti sulla strada della spending review (vaticana?) con l’emendamento del 2 novembre, a cui non fa mancare il suo tecnico plauso il sottosegretario all’Economia e Finanza Gianfranco Polillo. 

Ma lo scandalo rimbalza sui media. E il tempestivo Polillo il 5 novembre cambia tecnicamente parere di fronte all’indignazione che sale. Il quotidiano la Repubblica il 12 novembre parla di blitz del Governo. 

Il governo si affretta ad emettere nello stesso giorno un comunicato dove dichiara che non c’é stato alcun arretramento, e che anzi «gli emendamenti parlamentari sono stati espunti ed è stato ripristinato, proprio su iniziativa del governo, il testo originario», rassicurando su «la linea di assoluto rigore e trasparenza più volte sostenuta dal governo».

Insomma cerca di convincere che l’Imu verrà pagata e che la multa sarà evitata. Ma non avviene. Il decreto definitivo sull’Imu (n° 200, 19 novembre 2012) che si snoda tra codici codicilli e soprattutto calcoli e dichiarazioni improbabili, continua a fare della Chiesa la più grande beneficiaria dell’esenzione dall’Imu per le sue attività commerciali.

Ecco allora che cliniche, scuole e attività recettive varie basterà che dichiarino che i servizi offerti sono gratuiti, «salvo importi di partecipazione alla spesa previsti per la copertura del servizio universale». Insomma il servizio è formalmente “gratuito”, ma la retta si paga per il conseguimento del progetto “universale”. E già dall’enunciato, vai a capire se prevale l’imprenditoria o la religiosità.

Per le cliniche, il paziente-cliente dovrà pagare – perché la gratuità sia salva – una cifra “simbolica” che – recita il decreto – deve essere nella media delle altre strutture territoriali. E già si prospettano (dicono i maligni) trust tariffari!

Lo stesso simbolismo vale per le scuole cattoliche. Anche qui per garantire che il servizio all’alunno-cliente sia “gratuito”, basterà chiedere «rette d’importo simbolico e tali da non coprire integralmente il costo effettivo del servizio», che però non potranno essere superiori alla “metà” dell’offerta sul territorio.

Territorio come quartiere, comune, regione, nazione, anche qui basterà fare un bel cartello in rete, per accordarsi sulla cifra, magari raddoppiarne il valore virtuale di mercato, e poi dimezzarlo. A pensar male a volte si indovina! 

E se alle benedette scuole paritarie-private i soldi non bastano?  Ci sarà sempre lo Stato pronto a stornar fondi dalla scuola statale alla privata, dall’ospedale statale a quello privato, e ancora a non impegnarsi in centri sportivi pubblici perché così possano prolificare presso oratori ed ex conventi.

Le vie della recezione sono infinite, soprattutto se c’è un’acquasantiera a prova della “utilizzazione mista” (profit/non profit).  Vai poi a districarti nel calcolo Imu per l’area profit nell’equazione tra mq profit, numero di passanti-fruitori e giorni effettivi di calpestio profit/non profit.  Non è uno scherzo, ma il comma 2 dell’art. 5 del Decreto 200.

Con buona pace per l’equità e per la laicità, principio fondamentale della Costituzione Repubblicana, questo è quanto!

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Imu alla Chiesa, via libera al regolamento. La tassa è dovuta per i locali commerciali. Non pagano invece le attività no profit

Giacomo Galeazzi
http://vaticaninsider.lastampa.it/ 14 novembre 2012

Le regole ora ci sono. «Giusto che la Chiesa paghi per attività extraculto. Vanno rispettati i principi dell’Unione europea». Il Consiglio di Stato ha dato il via libera al regolamento del governo che fissa le modalità per tassare gli immobili commerciali degli enti non commerciali e anche quindi i beni della Chiesa che hanno destinazioni commerciali. Da gennaio avranno l’obbligo di pagare l’Imu, in quota parte rispetto all’attività concretamente no-profit. Ma le valutazioni dei giudici amministrativi, che nel precedente esame avevano bocciato il provvedimento perché «esulava» dalla legge dalla quale era delegato, contengono anche dei rilievi concreti sulle modalità per identificare le attività non lucrative. Tra questi, il «carattere simbolico» delle rette. Manca il riferimento alle norme europee che identificano l’attività economica e incombe «il rischio di una procedura di infrazione».

Il regolamento ha l’ok del Consiglio di Stato ma saranno necessari dei ritocchi prima del varo finale per adeguarlo alle norme comunitarie evitando escamotage che estendano l’applicazione concreta. Il regolamento, che ancora non è noto, può essere desunto dall’atto del Consiglio di Stato. È composto da sette articoli che identificano i soggetti «no profit» e regolano anche gli immobili che hanno utilizzazione mista, cioè quelli che avevano creato problemi di applicazione dell’Imu. Se sarà possibile individuare l’immobile o la porzione di immobile adibita ad attività non commerciale si esenterà solo questa «frazione di unità». Se ciò non è possibile, si applica l’esenzione in modo proporzionale all’utilizzazione non commerciale dell’immobile.
I nodi affiorano però sull’eterogeneità dei requisiti individuati per stabilire le attività non commerciali. In alcuni casi è utilizzato il criterio delle gratuità o del carattere simbolico delle retta (attività cultura, ricreativa e sportive). In altri il criterio dell’importo non superiore alla metà di quello medio previsto per le stesse attività svolte nello stesso territorio (strutture ricettive e in parte quelle sanitarie).

In altri ancora il criterio della non copertura integrale del costo effettivo del servizio (attività didattiche). I rilievi dei magistrati entrano nel dettaglio. Sulla scuola, l’Ue consente che si possano pagare tasse di iscrizione e contribuire ai costi di gestione, però il criterio usato dal governo della «retta simbolica» che «non copra integralmente il costo effettivo del servizio» non è «compatibile col carattere non economico dell’attività». Tale criterio, infatti, «consente di porre a carico degli utenti anche una percentuale dei costi solo lievemente inferiore a quelli effettivi». Intanto divampa la polemica.

Il segretario del Psi, Riccardo Nencini, chiede alla Cei di « rinunciare ad esenzioni inique ed ingiustificabili». Ma il direttore di «Avvenire», Marco Tarquinio respinge la «favola della cappellina che renderebbe esente un edificio alberghiero», anzi «un edificio che ha una cappellina all’interno, paga l’imposta anche sulla cappellina». Quanto all’accusa dei Radicali secondo i quali l’esenzione alla Chiesa produrrebbe nelle casse dello Stato un buco di «almeno 500 milioni all’anno», Tarquinio ribatte che «l’Anci non ha mai fatto una stima del genere » e che i primi due contribuenti del comune di Roma per l’Imu sono, dopo l’Inps, l’Apsa (Amministrazione del patrimonio della sede apostolica) e Propaganda fide, cioè due organismi del Vaticano presenti con immobili di proprietà e affittati anche fuori dal confine dello Stato pontificio. E il Forum del terzo settore avverte: «Si faccia chiarezza e non si penalizzi non profit», in quanto «affrontare il tema in modo approssimativo mette a rischio mense per i poveri, dormitori, assistenza ai disabili, cura degli anziani, protezione civile, difesa del patrimonio culturale». Nella «sfida» delle esenzioni la palla torna al Tesoro.