Quei cardinali galoppini elettorali irriducibili di M.Vigli

Marcello Vigli
www.italialaica.it | 26.01.2013

A conclusione del mio precedente intervento sulle conseguenze sulla campagna elettorale delle dinamiche interne al mondo cattolico, evidenziavo, fra l’altro, la necessità per il Pd di avviare un radicale ripensamento del modo di rapportarsi alla gerarchia cattolica

per darsi una identità autenticamente laica, riconoscendo l’inutilità di tanti tentativi di “dialogo”. Indicavo come segnale da dare dell’avvenuto cambiamento un intervento in un settore strategico: il sistema formativo.

C’è un altro settore ancora più indicativo su cui intervenire per segnare una svolta: le fonti del finanziamento della gerarchia cattolica. Il finanziamento pubblico, insieme alla compiacenza delle forze politiche e ai privilegi concessi dal regime concordatario, favorisce, infatti, una gestione autoreferenziale, anzi dispotica, della sua autorità all’interno della comunità ecclesiale.

Una conferma si può trovare nel consistente e rapido affermarsi dell’autonomia e del potere interno del laicato cattolico, nella seconda metà dell’ottocento, quando la fine del potere temporale e la confisca di gran parte dei beni ecclesiastici avevano creato un solco fra la classe dirigente liberale e la gerarchia costringendola a contare, per il suo sostentamento, molto di più sui contributi dei fedeli.

Nacque allora il cosiddetto “obolo di San Pietro” a vantaggio della Santa Sede!

Una dichiarazione di disponibilità del Pd a rivedere la legge istitutiva del finanziamento pubblico alla Chiesa attraverso l’otto per mille sarebbe un segnale molto forte. Non si chiede di rinnegare l’approvazione del Concordato craxiano votata anche dal Pci, ma solo l’impegno ad eliminare la stortura della re-distribuzione della parte dell’otto per mille relativo alle quote non espresse e a stabilire che essa resti nel bilancio dello Stato.

Nessuno potrebbe imputare la proposta ad un forma di anticlericalismo esasperato perché la norma, oltre ad essere molto onerosa per i cittadini specie in questi tempi di crisi, contraddice il principio ispiratore della legge, che presuppone una scelta consapevolmente partecipata dai contribuenti. Quella norma, invece, impedisce a molti di loro di essere liberi di non scegliere, senza evitare che per loro scelgano gli altri.

Per di più non bisogna dimenticare che anche la scelta per lo Stato consegna al governo in carica la disponibilità delle quote ad esso destinate, sottraendole al Parlamento; né si può ignorare che i contribuenti, chiamati a scegliere, sono pur sempre solo una parte del popolo sovrano mentre finiscono per disporre dell’otto per mille delle risorse di tutti!

La consapevolezza di questa anomalia è ormai sempre più diffusa anche fra i cattolici.

Alcuni gruppi romani ne discuteranno all’interno del tema Finanze e potere nella chiesa che sarà affrontato in un convegno a Roma il 16 febbraio p.v.

Non lo è invece fra i militanti del Pd, come emerge dal corso del terzo ciclo di lezioni della “scuola di formazione politica” che avrà come tema i rapporti fra Stato e Chiesa organizzato dal partito a Ferrara, come si legge sul quotidiano on line www.estense.com.

Carlo Pagnoni, coordinatore del primo incontro ha spiegato la scelta del tema affermando che la Chiesa: “è una realtà che va conosciuta anche per via del suo radicamento territoriale e nella società, ed è importante in un periodo come questo dove non a caso si rimpiangono i tempi in cui la Dc sapeva come trattare con il mondo ecclesiastico e cattolico”. Per conoscerla, però, si parla del Concilio, di Chiesa, Stato e pluralismo religioso e a chiudere, nel terzo e ultimo incontro, una lezione sulla Chiesa e i diritti umani.

Non si tratta solo di una diversa sensibilità, ma del timore reverenziale di affrontare il nodo costitutivo di quell’autoritarismo autoreferenziale, niente affatto evangelico, tipico del rapporto fra gerarchia e fedeli nella chiesa italiana.

È così radicato che, nonostante il clamoroso fallimento del tentativo, di cui tanto si è scritto, di ri-costituire una presenza organizzata e visibile dei cattolici nella prossima campagna elettorale per garantirsi una capacità contrattuale nei rapporti col futuro governo, i due responsabili della Santa Sede e della Cei, Bertone e Bagnasco, sono ancora intervenuti: il primo per “richiamare la perenne urgenza dei valori irrinunciabili fondati sulle istanze della ragione illuminata e potenziata dalla fede”; l’altro per confermare che “La Chiesa non fa politica in modo diretto nel senso di indicare uno schieramento, ma ricorda i valori morali fondamentali a tutte le coscienze, valori imprescindibili, fondamentali e quella filosofia di fondo o meglio quella visione antropologica che rende l’uomo al centro della politica”

In una ritrovata sintonia fra loro, entrambi invitano tutti i cittadini a non disertare l’importante appuntamento partecipativo del voto, mentre chiedono con forza coerenza ai candidati cattolici presenti in tutti gli schieramenti, convinti come afferma il cardinale Bagnasco che “Il parlare della Chiesa non è mai ‘ingerenza’, ma è uno stare dentro il vissuto, offrire l’esercizio collegiale del discernimento”.