Intercettare la solitudine… per ridare speranza di G.Placido

Gaetano Placido

Qualche giorno fa ho appreso la notizia del suicido di un giovane precario. Senza entrare nello specifico di una dolorosa vicenda personale, per la quale non si può che esprimere dolore e umana solidarietà, ritengo doveroso fare alcune considerazioni, ponendo una domanda che deve interrogare le nostre coscienze: cosa sta diventando questo Paese dal momento che non siamo più in grado di fare i conti con un malessere causato in larga parte dalla precarietà, dalla disoccupazione, o da occupazioni saltuarie? Ed ancora, quanti suicidi fin qui verificatisi sono da ascrivere a questi fattori di rischio che non trovano risposte adeguate ai frequenti fenomeni di perdita di autostima, di depressione?

Un recente studio dell’INCA CGIL ha rilevato che sono proprio i lavoratori cosiddetti atipici e gli inoccupati i maggiori fruitori dell’industria farmaceutica dei sonniferi e degli psicofarmaci.
Una mia amica, commentando la morte del giovane precario, mi raccontava di un suo vicino che ha perso il lavoro a cinquant’anni. “Con pudore ed imbarazzo”, mi diceva, “la mattina, quando la moglie va al lavoro, lui non esce di casa, non apre le persiane, non alza il volume della televisione, non risponde al telefono, né al citofono. Finge di non essere in casa. Si seppellisce vivo, perchè si vergogna di farsi vedere dagli altri. Riemerge solo la sera, quando nessuno può fargli troppe domande imbarazzanti alle quali non sa (o non può) dare una risposta. Solo allora “finge” di vivere un’ esistenza normale, decorosa: va a fare la spesa, aiuta la moglie a fare i lavori di casa”.

Essere disoccupati o precari è divenuto purtroppo lo stigma del nostro tempo e non potrebbe essere diversamente in questa società che misura lo spessore umano e sociale dalla capacità di spesa delle persone. Quando l’identità e il “portafoglio” si sovrappongono non c’è futuro, non c’è progetto di vita e tutti i rapporti umani, anche quelli più belli ed importanti, quelli con i compagni di vita, con i figli, con gli amici, rischiano di essere fagocitati in un vortice senza fine.

Quel che manca oggi è una speranza concreta da offrire a quanti ( e sono tanti) che ogni giorno impattano con …il mal di vivere! La speranza in un Paese meno indigente, più uguale, maggiormente solidale, capace di intercettare le solitudini. Un’Italia capace di restituire fiducia in se stessi e nel proprio futuro, dove le persone non vengano più trascinate in una spirale perversa nella quale si può arrivare a ritenere che non ci sia scampo, scegliendo, talvolta, di porre fine alla propria esistenza.