Neocolonialismo? Islamofobia? Razzismo?

Le Femen lottano per i diritti delle donne, tutte

Faby, Alessia, Giulia, Stregadellosciliar, ElenaC.
http://comunicazionedigenere.wordpress.com

Il mio corpo mi appartiene e non è di nessuno. Al diavolo la vostra morale” questo scriveva Amina, giovane tunisina, sul suo corpo qualche settimana fa.

Da allora le notizie che circolano su di lei sono tantissime, molto diverse e confuse.  Inizialmente si era parlato di lapidazione, poi di sequestro da parte di un gruppo di fondamentalisti e infine le notizie circa il suo ricovero forzato in una struttura psichiatrica. Le notizie che hanno fatto il giro del mondo sono state soprattutto quelle relative al timore che la sua vita fosse in pericolo, a seguito della fatwa ricevuta da un predicatore. Anche se in Tunisia la pena di morte non è più contemplata, leggiamo qui che:

Come ogni fatwa, si tratta di una dichiarazione, un auspicio, non giustificato dalle parole del Corano. Ma rischia di creare intorno a questa ragazza un clima tesissimo, soprattutto nella Tunisia di oggi, scossa da fermenti di estremismo religioso che talvolta esplodono fragorosamente nella violenza.

Tramite Giulia Globalist possiamo apprendere l’evolversi della vicenda, in modo cronologico: Amina ha un amico fotografo, gli fa sapere che ha intenzione di riprendere le azioni delle Femen  e che ha bisogno di qualcuno che la fotografi, lui condivide i suoi ideali così decide di aiutarla e sostenerla. Amina scrive sul corpo la frase citata all’inizio dell’ articolo, dopodichè la foto viene postata sul profilo facebook del ragazzo – perché come afferma lui stesso l’azione era condivisa e quindi anche la responsabilità – e nel giro di poche ore la foto fa il giro del mondo.

E mentre il mondo incuriosito vuole intervistarla e sapere di lei, lei scompare perchè teme per la sua incolumità fisica e quella della sua famiglia, date le numerosissime minacce e intimidazioni ricevute, si nasconde per due settimane e poi viene arrestata mentre prende un caffè nel centro di Tunisi dopo la denuncia di scomparsa fatta dai suoi genitori.

Da allora di lei non si sa più nulla, il suo amico e fotografo Zied afferma convinto che Amina sia segregata in casa dai suoi genitori, che considerano il suo gesto frutto di una malattia mentale, e che la sedino con psicofarmaci per convincerla a chiedere scusa e ritrattare per quelle immagini e quel messaggio.

Ma la sua volontà è espressa chiaramente in questa intervista lasciata su Vanity Fair  poche ore prima di sparire, e lo leggiamo nelle sue parole quando la giornalista le chiede se ha paura e lei risponde: No, non sarà peggio della condizione in cui noi donne siamo costrette a vivere tutti i giorni

Amina vuole lottare per se stessa e per tutte le donne del suo paese, schiacciate da una mentalità indottrinata da una religione patriarcale e ultraconservatrice. Sono le ultime sue dichiarazioni e tutto il mondo, grazie all’iniziativa lanciata dalle Femen che ha permesso di amplificare e far circolare la notizia dell’accaduto, nel frattempo si mobilita con messaggi e foto di topless in segno di solidarietà nei suoi confronti.

Così  è stata indetta la “Giornata internazionale Topless Jihad” il 4 aprile scorso. In diversi paesi gruppi di Femen hanno protestato davanti ad ambasciate o moschee. Sempre sul tema segnaliamo l’articolo di Stefania Prandi.

Kiev: due attiviste di Femen hanno espresso la loro solidarietà ad Amina a seno nudo davanti alla moschea di Kiev con lo slogan ‘Amina libera’ tatuato sul corpo. Le ragazze sono state poi violentemente bloccate, strattonate e portate in caserma dalla polizia.

Milano: blitz davanti al consolato tunisino di Milano. Tre attiviste di Femen hanno manifestato a seno nudo con degli slogan per la liberazione di Amina.

Parigi: blitz delle Femen di fronte alla Moschea di Parigi, tre attiviste, due francesi e una tunisina, hanno bruciato la bandiera salafita come simbolo della lotta delle donne contro estremismi religiosi. Una di loro è stata presa a calci da un uomo di passaggio che ha poi lanciato degli oggetti ad un’altra.

Le immagini potete trovarle sul sito ufficiale delle Femen, hackerato due volte e dove in homepage sono state lasciate una serie di minacce e insulti: «Sporche maiale! Nessuno vi scopa nemmeno i vostri uomini! Venite qui in Tunisia! Vi taglieremo i seni e li daremo da mangiare ai nostri cani! Puttane. Prostitute di Israele!»

A differenza del medio scalpore generato dalle loro azioni realizzate contro la religione Cattolica al Vaticano o nella Cattedrale di Notre Dame a Parigi, quest’ultima protesta  ha scatenato reazioni più accese.

Le loro gesta sono state  mal recepite – e forse in alcuni casi anche mistificate –  da molti e molte.

Qui su Uagdc avete potuto leggere il post della nostra Laura, che ha riportato il punto di vista delle “Muslim Women Against Femen”, gruppo di donne musulmane nato per ora principalmente su facebook per esprimere il proprio parere contrario ad alcune femministe occidentali e tra queste anche le Femen, accusate di neocolonialismo e islamofobia. Tra le accuse rivolte alle ragazze di Femen c’é anche quella di utilizzare il loro corpo per dare vita ad atti osceni.

Alcune donne e uomini di varie nazionalità intervengono riportando frasi del corano e si inzia a parlare di Muslim Pride, orgoglio musulmano quindi. La pagina é gestita principalmente in inglese. Oltre a questa pagina sono molti i blog e i giornali che in questi giorni hanno avvallato la teoria di un presunto attegiamento neocolonialista del gruppo di Femen, considerando sbagliato il loro modo di essere femministe.

Ma perchè alle Femen vengono lanciate tali accuse? Prima della manifestazioni del 4 aprile alla moschea di Parigi, le Femen hanno più volte manifestato dinanzi ad altri luoghi sacri, come il Vaticano ad esempio dove circa tre mesi fa Inna fu malmenata da un’anziana signora durante l’Angelus del Papa, eppure proprio in quell’occasione furono appoggiate e sostenute anche da chi fino al giorno prima le aveva aspramente criticate; nessuno quel 13 gennaio di sarebbe mai sognato di chiamarla razziste, nei confronti degli italiani, o cattolicofobe.

Sin dall’inizio della fondazione del loro collettivo le Femen hanno ribadito con forza che la loro lotta contro il patriarcato comprendeva necessariamente anche la lotta alle tre grandi religioni monoteiste che per secoli hanno prodotto, perpetuato e consolidato una condizione di schiavitù e sottomissione del genere femminile. L’uso del corpo scoperto come portatore di un messaggio politico é parte della loro forma di attivismo.

La loro lotta femminista, neo-femminista, sexestremista – o chiamiamola come vogliamo –  nasce dalla convinzione che solo una società laica possa essere paritaria. E questa posizione vale nei confronti di ogni religione, senza sconti. Se la religione non rispetta le donne, i gay, i transessuali, allora non merita il nostro rispetto (semplifichiamo, ma é per capire meglio l’essenziale del loro messaggio anti-religione).

Alcune donne italiane si sono sentite prevaricate dalla protesta di Femen a Piazza San Pietro, ma molte di noi no. Oltre a credere nella libertà di espressione, noi, come italiane, pensiamo che in quella azione non si sia mancato di rispetto a nessuno.  Se vogliamo avere la libertà di manifestare contro gruppi di credenti cattolici – che ci impongono la loro visione del mondo chiamandoci assassine se abortiamo o troie se vogliamo vivere liberamente la nostra sessualità, se vogliamo morire in santa pace senza accanimenti terapeutici – ci chiediamo: perché non possiamo essere libere di protestare contro una delle tante religioni che provocano una cultura in cui c’è pochissima attenzione per i diritti e la condizione delle donne?

Perché, per timore di essere definite islamofobe o neocolonialiste o razziste, non possiamo gridare che quello che in molti e molte definiscono onore o tradizione mette a reprentaglio i diritti umani e la libertà di autodeterminazione delle nostre compagne, di qualunque provenienza nazionalità religione esse facciano parte? Non sarebbe ipocrisia e incoerenza pura?

Non ci sembra che da parte di Femen sia stato imposto nulla, non ci è parsa un’azione volta a insegnare qualcosa alle donne musulmane, a sovradeterminarle; questa azione puramente dimostrativa ci appare invece semplicemente coerente con la loro modalità di militanza, coerente nell’andare contro il patriarcato, coerente nell’uso simbolico del corpo svestito, coerente nel voler lanciare un messaggio di liberazione per le donne.

Prendiamo un esempio che ci riguarda più da vicino: i gruppi e le associazioni anti-abortiste sono tante. Che effetto ci fa quando noi, femministe, incontriamo donne o uomini che in nome della religione cattolica vogliono decidere per noi dei nostri corpi? Che effetto ci fa quando qualcuno cita la Bibbia per impedire l’uso del preservativo? Rivendicando l’attuazione della legge 194 noi non lottiamo contro le  tradizioni altrui, non imponiamo nessuna verità sen quella della lotta per i nostri diritti! Sappiamo bene che i femminismi, In Occidente come in Oriente, sono molteplici. Sono molte le donne musulmane che la pensano come Amina e hanno bisogno di non sentirsi sole, di non richiudersi in realtà di segregazione.

Perchè se manifesto contro il Vaticano vengo appoggiata  e se lo faccio davanti a  una moschea vengo mistificata e accusata di razzismo e neocolonialismo? Perché urlare slogan a seno nudo per sostenere una compagna che vuole essere libera e che lotta per la sua e la nostra libertà, deve essere censurato, accusato e interpretato così aspramente? In Italia una bestemmia viene mal percepita ma una donna nuda umiliata su un cartellone pubblicitario é ordinaria amministrazione.  Il fatto che in certe città italiane non sia possibile abortire non fa granché notizia. Chi decide che certe religioni non si toccano ma altre sì? In nome di quale morali o moralismi?

Accusare le ragazze di Femen di neocolonialismo significa non comprendere a fondo il contesto in cui il movimento nasce, l’Ucraina: un paese con una situazione culturale e politica delicata e ammorbato dalla piaga del turismo sessuale a causa dalla povertà. Si può inoltre dire lo stesso quando vengono accusate anche di sovradeterminare le scelte delle sex workers e di opporsi quindi alle libertà individuali. Mistificazione in totale contraddizione con i presupposti delle loro battaglie, dal momento che le loro azioni sono volte esclusivamente a portare avanti un’importantissima lotta per la liberazione dei corpi e la riappropriazione della libertà individuale, contro ogni sfruttamento a scopo sessuale e il turismo mondiale che ne consegue.

Le Femen hanno manifestato per Amina, erano in contatto con lei prima della sua scomparsa e le hanno dimostrato appoggio.

Amina per prima ha scelto, per esprimersi, le modalità di lotta delle ragazze di Femen, facendosi ritrarre a seno nudo e con frasi significative scritte sulla pelle. Le attiviste del gruppo hanno risposto nel loro modo, appoggiato, evidentemente dalla stessa Amina.

D’altra parte, tempo fa, un’altra ragazza, Aliaa Elmahdy, appartenente all’area geografica dominata dalla religione islamica (Egitto) si era mostrata nuda, in una foto, sul suo blog, per protestare contro la condizione delle donne in Egitto. Segno che un nudo femminile, in certi contesti culturali è ancora fortemente rivoluzionario e ha ancora una forte valenza “liberatoria”.

Con i precedenti di Aliaa Elmadhy e di Amina, perché mai le ragazze di Femen avrebbero dovuto evitare la loro forma di protesta tipica? Non sarebbe stato in quel caso, il loro, un atto incoerente?

Un linciaggio mediatico, e non solo, al quale sono esposte queste giovani ragazze che lottano, rischiando la vita, anche per noi, che scriviamo sedute comodamente da un computer. Anzi questo continuo dubitare, criticare, attaccare le modalità che i Femminismi in tutto il mondo (e in ogni tempo!) individuano per annientare definitivamente il Patriarcato non sono esse stesse il volto- più inquietante e subdolo- di cui esso si manifesta e si serve di noi?

Nel caso specifico di Femen, gli attacchi non mancano dal più becero mondo maschilista composto tanto da uomini quanto da donne, quanto dal mondo del femminismo stesso che quasi all’unisono si trova d’accordo nel condannare (quando non espressamente sottoforma di “perplessità”) questo movimento, salvo a ritagliarsi visibilità su autorevoli testate nazionali, sfruttando la forza mediatica del “brand Femen”, per manifestare la propria solidarietà al gruppo per gli attacchi subiti.

Chi detiene il monopolio interpretativo per dire cosa è e cosa non è femminismo, quale femminismo sia giusto e quale sbagliato? Alcune femministe, vecchie e giovani, ritengono di averlo in nome di una (presunta) superiorità morale (magari conferitagli da qualche autorevole lettura o follower su Facebook?). Ma proprio il fatto che le ragazze Femen subiscano attacchi trasversali tanto dal fronte esterno “laico”, quanto dal fronte interno femminista ci dà la conferma che la direzione di Femen è quella giusta.

Smuovere immaginari radicati non è facile (neanche per le femministe) e non piace (a talun*) mettere in discussione il proprio “ordine simbolico”. Rispetto alla questione specifica sulla nuova etichetta (l’ennesima!) con cui si articola l’attacco a Femen cioè quella di neocolonialismo. Se è vero che un rischio sempre dietro l’angolo per noi europee, ma è un rischio “vecchio” classico del Femminismo occidentale, è quello di cadere nella trappola “colonialista”, le Femen hanno una posizione molto netta al riguardo.

Inna Shevchenko ha scritto nel suo blog per l’Huffington Post:  I need to reveal to you all a terrible secret about civilization – a woman is not a human being.This secret is thousands and thousands of years old. This dogma, the subjugation of women, has been spelled out in all texts that are considered to be sacred to humanity – the Bible, the Torah, the Koran. It is refected in the art and folklore of all peoples and nations. It is even evident in legal systems and legislations. The doctrine of the subjugation of women is shared to some degrees by all countries from the East to the West.

Le religioni, dalla cristiana all’islamica, sono espressioni millenarie del patriarcato. Le Femen hanno manifestato più e più volte in luoghi simbolici della chiesa cristiana, pensiamo a Notre Dame e al Vaticano. Riteniamo quantomeno “coerente” che facciano lo stesso rispetto alla “chiesa” islamica. In linea con un principio di liberazione universale dal patriarcato, che non conosce limiti nazionali, culturali nè confini geografici.

Non a caso Femen ha organizzato diverse azioni di protesta nei confronti di Berlusconi, a Kiev come a Milano. Ha dato un forte supporto al gruppo russo delle Pussy Riot, un supporto che è costato “caro” a Inna: lasciare l’Ucraina per trasferirsi a Parigi. Il fatto che l’ipotesi “colonialista” spunti quando Femen, coerentemente, assuma come bersaglio anche l’Islam, ci pare quantomeno infondato.

Immaginiamo se la stessa protesta che uno sparuto gruppo di ragazze “orgogliosamente islamiche” sta portando avanti in questi giorni contro Femen su internet, provenisse dalle ragazze di Comunione e Liberazione o Azione Cattolica? Nessuna avrebbe dimostrato tanta “sensibilità”, anzi: sarebbe partita la gara al linciaggio di quelle che sarebbero state definite con ogni probabilità “bigotte imbevute di catechismo”.

Cosa dovrebbero fare le Femen allora? Restare un movimento strettamente eurocentrico? Ignorare il resto? Scegliere quale “religione” “attaccare”? Ci chiediamo se questi confini, oggi siano ancora possibili e attuabili. Crediamo di no. Da italiane non dovremmo porci domande e cercare risposte anche sull’Islam? Rivendichiamo la stessa libertà con cui ci interroghiamo e critichiamo le religioni cristiane anche nei confronti dell’Islam, senza dover rischiare di essere tacciate di islamofobia, odio religioso e neocolonialismo.