Laicità fra religioni e ideologie di M.Vigli

Marcello Vigli
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Il 26 maggio prossimo si svolgerà a Bologna un referendum consultivo, richiesto da 13.000 cittadine e cittadini, per impedire che il Comune continui a finanziare le scuole materne private (due sole su 27 sono non confessionali)

in aperto contrasto con il dettato costituzionale e prescindendo dalla politica dei tagli seguita per le scuole pubbliche.

I promotori, rivolgendosi al Sindaco avevano evidenziato questa anomalia in una città che dal giorno della sua Liberazione è divenuta esempio nel mondo per la sua capacità di costruire democrazia nella partecipazione, innovazione amministrativa e buon governo.

In essa, invece, oggi per la prima volta, trecento bambini che chiedevano di iscriversi alla scuola d’infanzia sono rimasti senza scuola pubblica

Non è stata, inoltre, accolta la loro richiesta di abbinare la consultazione referendaria con le elezioni politiche che si sono tenute in febbraio che avrebbe favorito una alta partecipazione, condizione essenziale per il successo di ogni referendum. Il sindaco e con lui buona parte del Pd bolognese sostiene, infatti, l’attuale sistema “integrato” fra pubblico e privato perché utile alla città.

Sono molti che ritengono invece che solo una scuola pubblica di qualità e aperta a tutti può assumersi credibilmente “il compito di rimuovere gli ostacoli di ordine economico e sociale che, limitando di fatto la libertà e l’eguaglianza dei cittadini, impediscono il pieno sviluppo della persona umana”.

Non c’è da meravigliarsi, se si ricorda che la legge sulla parità scolastica, che ha legalizzato il sistema scolastico integrato, è frutto dell’iniziativa del ministro diessino Luigi Berlinguer, ma solo da riflettere sull’opportunismo che induce quelli, che pur rivendicano la fedeltà alla Costituzione come criterio preminente per le scelte politiche e per la difesa delle Istituzioni, siano pronti, sulla scuola, a derogare per non turbare i buoni rapporti con la gerarchia ecclesiastica e la sensibilità di cattolici integralisti.

In verità la difesa della laicità non ha trovato seguaci neppure fra i politici e sindacalisti di sinistra che hanno accettato, come “posti di lavoro a tempo indeterminato”, quelli creati con la concessione del ruolo ai docenti di religione cattolica in aperto contrasto con i fondamenti dello stato di diritto.

In questi giorni il fenomeno rischia di ripetersi fra i responsabili del Cesp (Centro per la scuola pubblica promosso dai Cobas), che stanno riflettendo sulla possibilità di organizzare a Roma un convegno con l’intento di favorire la creazione di “cattedre” di Materia alternativa all’insegnamento della religione cattolica … per garantire “posti di lavoro”. In verità le Attività alternative, previste solo per consentire agli studenti maggiore libertà di non avvalersene, sono incompatibili con la cultura e la struttura della scuola mentre contribuiscono a legittimare la presenza confessionale nella scuola attraverso un insegnamento appaltato alla gerarchia ecclesiastica.

Appare evidente che l’affermazione della cultura della laicità è del tutto estranea a queste scelte fatte in nome della pur sacrosanta difesa del diritto al lavoro, senza tener conto del tipo di lavoro che s’intende difendere.

Al loro atteggiamento si conforma di fatto l’indifferenza dei grillini locali che non si sono schierati a sostegno di questa iniziativa imposta dalla base. Il Comitato articolo 33 (quello della Costituzione che limita il diritto alla istituzione di scuole private alla mancanza di oneri per lo Stato), che l’ha promosso, è infatti nato per iniziativa di Gruppi e associazioni della scuola raccogliendo adesioni e contributi da cittadini di diverso orientamento. Fra di essi molti di cattolici in dissenso con le direttive della gerarchia che, della difesa della “scuola cattolica”, ha fatto una bandiera intorno a cui mobilitare i “fedeli”.

Si può estendere la riflessione se si sposta l’attenzione alle analisi e progetti, sulle condizioni disastrose in cui si dibattono partiti, gruppi, associazioni della sinistra, diffusi in questi giorni, fra i tanti decisi a non rassegnarsi alla fine di una stagione, in cui ben più grande era la sua influenza politica e la sua presenza nelle istituzioni.

Pur senza rievocare che l’Italia ha avuto il più grande partito comunista d’occidente e che forti sono state anche le formazioni di Nuova sinistra, non si può ignorare che le frammentazioni e la divisione della sinistra italiana, frutto della radicale sconfitta sociale e politica degli ultimi decenni, non hanno ancora trovato una spiegazione del tutto soddisfacente, senza la quale è difficile porre le premesse per una rinascita.

Forse alla sua ricerca può contribuire l’associare ai tanti altri motivi culturali e cause strutturali la pressoché totale assenza di un’attenzione alle tematiche della laicità, considerata, in genere, come semplice appendice di quella borghese. Essa, invece, nella sua accezione più ampia consente di cogliere non solo il nesso e il peso delle religioni nella vita politica, ma anche quelli delle ideologie nella costruzione dei soggetti politici specie se con intenti rivoluzionari. L’ideologia può diventare una gabbia, che condiziona le scelte e le azioni politiche, specie se usata come criterio assoluto di identificazione e di discriminazione.

Religioni e ideologie, pur nella loro radicale diversità e in tempi di “rinascita” delle prime e di “crisi” delle altre, costituiscono patrimoni ideali da perseguire, ma non criteri interpretativi della realtà o modelli da realizzare senza tener conto delle condizioni reali in cui ci si trova ad operare.

Se è vero che “per cambiare il mondo occorre pensarlo in modo diverso”, non ci si può limitare a pensarlo senza mettere in campo azioni e spinte adeguate per costruirlo sul modello proposto, ma soprattutto creare un soggetto capace di coniugare ideologia e prassi.

Di tutto questo non c’è eco nei dibattiti che animano la stampa e i convegni sul futuro della sinistra, nella recente analisi, pur autocritica, elaborata dalla Direzione di Rifondazione comunista e nel progetto politico lanciato da Fabrizio Barca per fare del Pd un partito di sinistra e radicato sul territorio.

Non si cerca di ridefinire il rapporto fra patrimonio ideologico e prassi politica che tanto continua pesare nelle differenziazioni a sinistra, né tanto meno si affronta il nodo del rapporto politica religioni.

Se è pur vero che la “questione cattolica” nella forma assunta fin qui nella politica italiana ha subito profondi cambiamenti per l’evoluzione della società, i mutamenti interni al mondo cattolico e l’indebolimento della gerarchia ecclesiastica, ha ancora un suo peso. Proprio in questi giorni all’interno del Pd è tornata a costituire motivo di divisione, come emerge dalla lettera di Matteo Renzi a la Repubblica, che prende le mosse dalla frase “Ci vuole un Presidente cattolico” in voga, a suo dire, nel suo partito. La lettera sembra ispirata alla concezione pienamente condivisibile che non si deve ridurre il messaggio di fede a un semplice chiavistello per entrare nelle stanze dei bottoni. In realtà ha un valore strumentale: serve solo a delegittimare la candidatura di Franco Marini al Quirinale. Non si può sapere che direbbe Renzi se fosse la gerarchia a sollecitare quella scelta, ma si può affermare che c’è ancora molta strada da fare perché la laicità diventi parte integrante della cultura della sinistra italiana.

C’è da augurarsi che un segno incoraggiante venga dalla giornata referendaria di Bologna.