La vera chiesa dei poveri

Michael Löwy
Adista Documenti n. 18 del 18/05/2013

Il primo papa latinoamericano, Francesco, sembra volersi distinguere, nelle idee e nella prassi, dal suo predecessore, riferendosi a san Francesco d’Assisi e ponendo la povertà al centro del suo pontificato. Provenendo dall’America Latina come la Teologia della Liberazione, si può dire che papa Francesco sia vicino a questa teologia? Possiamo dubitarne…
Ciò che è normalmente designato come Teologia della Liberazione – un corpus di testi prodotti fin dal 1971 da figure quali Gustavo Gutiérrez, Hugo Assmann, Frei Betto, Leonardo Boff, Pablo Richard, Enrique Dussel, Jon Sobrino, Ignacio Ellacuría, per citare solo i più noti – non è nient’altro che l’espressione intellettuale e spirituale di un vasto movimento sociale, nato almeno un decennio prima, che si manifesta attraverso una stretta rete di pastorali popolari (della terra, operaia, urbana, indigena, della donna), di comunità ecclesiali di base, di gruppi di quartiere, di commissioni di giustizia e pace, di settori dell’Azione Cattolica, che hanno assunto in maniera attiva l’opzione preferenziale per i poveri. Non nella forma tradizionale della carità, ma come solidarietà concreta con la lotta dei poveri per la loro liberazione. Senza la prassi di questo movimento sociale – che potremmo definire come cristianesimo della liberazione – non si possono comprendere fenomeni sociopolitici importanti nella storia recente dell’America Latina, come l’avanzamento della rivoluzione in America Centrale (Nicaragua, El Salvador), il sorgere di un nuovo movimento operaio e contadino in Brasile o la sollevazione zapatista in Chiapas.

UNA RELIGIONE COMUNITARIA DI SALVEZZA

Il cristianesimo della liberazione e, in particolare, le comunità ecclesiali di base non si inquadrano né nel paradigma di “Chiesa”, né in quello di “setta”; piuttosto in quello che il sociologo Max Weber (1864-1920) definiva, nel 1915, come una religione comunitaria di salvezza, cioè una forma di religiosità radicata in un’etica religiosa di fraternità – la cui fonte è l’antica etica economica del vicinato – che può sfociare, in certi casi, in un “comunismo di amore fraterno”.
Se fosse necessario riassumere l’idea centrale del cristianesimo della liberazione in un’unica formula, ci si potrebbe richiamare all’espressione consacrata dalla Conferenza Episcopale Latinoamericana di Puebla (1979), quella dell’“opzione preferenziale per i poveri”. Qual è la novità? La Chiesa non è stata forse sempre caritatevolmente attenta alla sofferenza dei poveri? La differenza – fondamentale – è che, per il cristianesimo della liberazione, i poveri non sono più percepiti come semplici oggetti (di aiuto, di compassione, di carità), ma come i soggetti della loro storia, come gli attori della loro liberazione.
Il ruolo dei cristiani socialmente impegnati è quello di partecipare a questa lunga marcia degli oppressi verso la Terra promessa, la libertà, offrendo loro il proprio contributo alla loro autorganizzazione e autoemancipazione sociale. L’altra differenza rispetto alla posizione caritatevole e alla tradizione assistenzialista della Chiesa – ben rappresentata dal nuovo papa argentino – venne formulata anni fa dal vescovo brasiliano dom Helder Câmara: «Quando do da mangiare ai poveri mi chiamano santo. Quando chiedo perché sono poveri mi danno del comunista…».

IL PRINCIPALE AVVERSARIO DELLA DITTATURA

Nel corso degli anni ‘60 e ‘70, i regimi militari si imposero in molti Paesi dell’America Latina: Brasile, Cile, Argentina, ecc. I militanti del cristianesimo della liberazione parteciparono attivamente alla resistenza contro le dittature e offrirono un prezioso contributo al loro declino a partire dagli anni ‘80, costituendo un fattore importante, e a volte decisivo, per la democratizzazione di questi Paesi. In Brasile, nel corso degli anni ‘70, la Chiesa dei poveri apparve, agli occhi della società civile e degli stessi militari, come il principale avversario della dittatura, un nemico più potente (e radicale) di una tollerata (e docile) opposizione parlamentare.
Al contrario che in Brasile, in Argentina, il settore maggioritario della Chiesa, storicamente vicina all’autoritarismo dell’esercito, appoggiò l’atroce dittatura militare, responsabile, negli anni dal 1976 al 1983, della morte o della “scomparsa” di 30mila persone.
Molti cristiani, rappresentanti del clero o laici, pagarono con la vita il loro impegno nella resistenza ai regimi autoritari in America Latina, o semplicemente la loro denuncia delle torture, degli assassinii e delle violazioni dei diritti umani. È quanto avvenne in El Salvador all’arcivescovo Oscar Romero, ucciso da paramilitari nel marzo del 1980, e a Ignacio Ellacuría e ai suoi cinque colleghi gesuiti dell’Università Centro-Americana di San Salvador, assassinati dall’esercito nel novembre del 1989.
Il Vaticano condannò, nel 1985, mediante la Congregazione per la Dottrina della Fede (il cui prefetto era il cardinale Joseph Ratzinger, il futuro Benedetto XVI), la Teologia della Liberazione come un’eresia «ancora più pericolosa in quanto vicina alla Verità»… Per il Vaticano, la regola continua ad essere: Roma locuta, causa finita (Roma ha parlato, il caso è chiuso).
Ma i teologi della liberazione hanno continuato, ciascuno a suo modo, a difendere la loro interpretazione del cristianesimo. Alcuni, come Leonardo Boff, hanno preferito lasciare il sacerdozio per mantenere la propria libertà di espressione; altri, come Gustavo Gutiérrez, evitano conflitti intraecclesiastici, senza però rinunciare alle loro convinzioni o alla loro militanza.

INTEGRARE LE SFIDE DEL MULTICULTURALISMO

Ciò non significa che il loro pensiero non abbia conosciuto un’evoluzione. Al contrario, la Teologia della Liberazione ha aperto nuovi cantieri, analizzando l’oppressione delle donne, delle comunità nere, degli indigeni e accogliendo le sfide del multiculturalismo e dell’ecologia, del pluralismo religioso e del dialogo interconfessionale.
E, in primo luogo, ha sottoposto alla critica, teologica e politica, il neoliberismo, la nuova forma assunta in America Latina da quel sistema, ai suoi occhi intrinsecamente perverso, che è il capitalismo.
In questo contesto, alcuni teologi hanno sviluppato una nuova relazione con il pensiero di Marx, per criticare il capitalismo neoliberista come una falsa religione, radicata nell’idolatria del mercato e del dio Mammona. Per questi teologi, come Hugo Assmann o Franz Hinkelammert, i nuovi idoli capitalisti, il lucro, il denaro, il debito estero, proprio come quelli denunciati dai profeti dell’Antico Testamento, sono Moloch che esigono sacrifici umani, un’immagine usata dallo stesso Marx ne Il Capitale. La lotta del cristianesimo della liberazione contro l’idolatria capitalista è, agli occhi della Teologia della Liberazione, uno scontro tra divinità, tra il Dio della vita e gli idoli della morte (Jon Sobrino) o tra il Dio di Gesù Cristo e la moltiplicità degli dei dell’Olimpo capitalista (Pablo Richard).

UN NUOVO PARADIGMA DI CIVILTÀ

Nel corso degli ultimi anni, la critica del capitalismo è sempre più associata, per i teologi della liberazione, alla problematica ecologica. Il pioniere in questo campo è stato Leonardo Boff, da molto tempo impegnato con la questione ambientale, da lui affrontata tanto in uno spirito di amore mistico e francescano per la natura, quanto in una prospettiva di critica radicale del sistema capitalista. Il nuovo paradigma di civiltà dovrà fondarsi su un’etica della vita e su una solidarietà planetaria.
Senza dubbio, l’influenza della Teologia della Liberazione si è ridotta in molti Paesi del continente. In seguito alle nomine episcopali da parte di Wojtyla (Giovanni Paolo II) e di Ratzinger (Benedetto XVI), l’episcopato latinoamericano è diventato molto più conservatore. Anche coloro che adottano posizioni progressiste a livello sociale condividono le opzioni conservatrici del Vaticano contro il diritto delle donne a disporre del proprio corpo (divorzio, contraccezione, aborto).
Ciò detto, in un Paese come il Brasile, il cristianesimo della liberazione mantiene una presenza importante all’interno delle comunità di base, delle pastorali popolari, dei movimenti laici come Fé e Política, animato dal teologo domenicano Frei Betto, che riunisce migliaia di militanti in tutto il Paese.
I cristiani socialmente impegnati, inoltre, rappresentano una delle componenti più attive del movimento altermondialista degli anni Duemila, in particolare, ma non solo, in Brasile, ossia nel Paese che ha accolto le prime edizioni del Forum Sociale Mondiale, uno dei cui iniziatori, Chico Whitaker, della Commissione Giustizia e Pace della Conferenza dei vescovi brasiliani, appartiene a tale tendenza.
È difficile prevedere quale sarà il futuro del cristianesimo della liberazione in America Latina. Il suo radicamento socioreligioso gli ha permesso di sopravvivere, malgrado l’opposizione attiva degli ultimi due pontefici. Indipendentemente dall’atteggiamento di papa Francesco, è probabile che continuerà a praticare ostinatamente quel “comunismo dell’amore fraterno” di cui parlava Max Weber…