Linguaggio e politica

Paolo Bonetti
www.italialaica.it| 19.06.2013

Dimmi come parli e ti dirò chi sei, questo in estrema sintesi potrebbe essere l’approccio più giusto per cercare di decifrare il carattere e le effettive intenzioni di un leader e di un movimento politico.

La violenza del linguaggio mussoliniano, il modo di porsi del duce nei confronti dei suoi avversari politici, trattati regolarmente con epiteti ingiuriosi, l’uso di metafore sessuali e le pose da macho che oggi possono sembrarci ridicole ma che allora facevano effetto sui suoi ascoltatori, segnalavano, al di là dei contenuti dei suoi discorsi, il disprezzo per le regole democratiche, la volontà di imporre con ogni mezzo le proprie scelte, il rifiuto di qualunque critica che potesse interrompere la fascinazione che il capo esercitava sui suoi seguaci. In questi ultimi anni noi abbiamo assistito alle esplosioni di violento turpiloquio di Beppe Grillo e molti le hanno giustificate con l’alibi che, di fronte a un regime partitocratico e corrotto, di fronte alle prevaricazioni della casta politica, anche i vaffa del comico genovese avevano una loro giustificazione, i suoi insulti insistentemente ripetuti potevano dare ulteriore forza ai suoi argomenti.

E’ pur vero che Grillo, teatralmente efficace nell’aggredire gli altri e le loro scelte politiche, appariva poi estremamente debole quando si trattava di fare concrete proposte alternative. Ma l’indignazione di tanta parte dell’opinione pubblica trovava nelle arroventate filippiche del comico un compenso, anche se puramente verbale, per le proprie frustrazioni. Quello di cui non ci si rendeva ben conto era, però, che la violenza verbale e il gusto insistito di una metafora sodomitica come il vaffa segnalavano un temperamento del tutto estraneo all’etica civile di una società in cui ci si confronta, anche aspramente, ma non ci si insulta come fra bulli di strada che vogliono dimostrare in questo modo una loro virilità fasulla. Chi fin dall’inizio ha giudicato la psicologia di Grillo come tipica di una mentalità fascista certamente non si sbagliava.

Adesso che il movimento cinque stelle conta in Parlamento più di cento deputati e di cinquanta senatori, il fondo autoritario del movimento e del suo capo viene emergendo con tutta evidenza. La linea politica, in questi primi mesi della legislatura, è stata tale da portare all’isolamento del movimento stesso, le elezioni amministrative hanno avuto un esito disastroso, deputati e senatori si sono incartati su questioni interne di compensi da accettare o da respingere mentre la crisi economica italiana si appesantiva in modo drammatico, ogni tentativo di coinvolgerli in un possibile governo del cambiamento è risultato vano. Grillo e il suo guru Casaleggio hanno dimostrato che dietro la violenza verbale c’è soltanto un vuoto desolante di proposte concrete, a parte quella sul finanziamento pubblico dei partiti.

Che qualcuno abbia cominciato a fare delle critiche al capo, lo abbia accusato di aver commesso errori e abbia chiesto una qualche rettifica della linea politica, è quanto di più naturale possa accadere in un qualsiasi organismo democratico. E, invece, anche in questa occasione si è risposto con una violenza di linguaggio (per di più esercitata sui propri aderenti) che fa somigliare il movimento grillino a qualcosa che sta a metà strada fra il tribunale della santa inquisizione e il comitato centrale del partito comunista sovietico di infausta memoria. Traditori, profittatori, tossici, velenosi, apportatori di infezione morale e politica: così sono stati gentilmente qualificati coloro che avevano manifestato qualche dubbio sulle virtù politiche del capo, invitati a fare pubblico atto di contrizione (come appunto nei processi dell’inquisizione e in quelli staliniani), sollecitati perentoriamente ad andarsene prima di essere espulsi.

Il duce Grillo non ha voluto sentire ragioni, ha chiesto ai suoi parlamentari (che pure, a norma di Costituzione, esercitano le loro funzioni senza mandato imperativo) di cacciare immediatamente i reprobi, minacciando in caso contrario di ritirare il suo sostegno al movimento. Francamente questo comportamento non ci meraviglia: era prevedibile che un uomo che adopera la violenza verbale come arma principale della sua lotta politica alla fine rivolgesse questa stessa violenza contro i suoi seguaci. Diciamo questo con sincero dispiacere, perché nel M5S sono confluite molte legittime attese di milioni di italiani, il bisogno di un’amministrazione più onesta, di diritti meglio garantiti, di quella trasparenza nei rapporti fra cittadini e classe politica che dovrebbe essere l’essenza della vita democratica.

Ma il rifiuto del dissenso e della critica, i processi e le condanne, l’odio e le calunnie verso coloro che osano esprimere opinioni non in linea con quelle del leader indicano chiaramente che c’è qualcosa di patologico in una forza politica che tende ad isolarsi e pensa più alle sue beghe interne che al dialogo con il resto del paese. I grillini pensano forse, in questo modo, di preservare una loro incontaminata purezza, di essere gli unici a salvarsi in un mondo di corrotti, ma il loro credere obbedire e combattere nel nome di Grillo ricorda altre esaltazioni e altri fanatismi che non hanno certamente portato fortuna all’Italia.