Lotte ma non rivoluzioni! A meno che… di A.Antonelli

Don Aldo Antonelli
Parroco ad Antrosano e coordinatore di “Libera” per la Provincia dell’Aquila

In un lucido, interessante ma non sufficientemente esplicativo articolo dal titolo “La Rivoluzione fragile”, apparso sul quotidiano La Repubblica del 22 Luglio scorso, Roberto Esposito si chiede come mai al desiderio di rivolta si accompagni quello di obbedienza ai populismi e ai poteri anonimi e i vari conflitti non si trasformino in politica.

“Da qualche tempo il mondo è battuto dal vento della rivolta. Non un unico incendio, ma tanti fuochi che si accendono come per contagio reciproco – scrive. (….) Da Rio a Istanbul, da Il Cairo a Damasco, da Atene a Los Angeles, folle sempre più numerose si rovesciano nelle piazze sfidando il potere”.

Lotte che “pur nella profonda diversità dei problemi e dei contesti, qualcosa di comune sembra unire queste piazze ribelli. Se finora si è globalizzata la finanza, oggi a farsi globale appare anche la rivolta. A collegare tra loro tali sommosse è per ora un elemento negativo, vale a dire lì indeterminazione politica, l’inidoneità a costruire istituzioni stabili, la continua reversibilità”.

A detta dell’articolista, a creare queste incapacità non è solo l'”arretramento della politica”, ma un mutamento antropologico che crea i suoi effetti nelle stessa percezione del tempo, per cui “ad appannarsi, insieme alla visione politica, è la stessa dimensione del futuro”.

Sacrosante verità che però non costituiscono la causa prima dell’impasse attuale, essendo esse stesse, a nostro avviso, conseguenze di quel liberismo spinto il cui presupposto è stata la riduzione del soggetto ad individuo, l’adesione a una antropologia privatista, che considera la relazione interumana del tutto estranea all’identità soggettiva.

“La teoria economica, che si è sviluppata in Occidente a partire dagli anni della modernità, scrive il teologo Giannino Piana, è radicalmente incentrata su un’antropologia individualista. Il presupposto fondamentale sul quale l’economia si regge è infatti costituito dall’individuo il cui agire è finalizzato al perseguimento del proprio interesse egoistico ed è contrassegnato dalla competizione con gli altri”. (Rocca 14/09)

A creare incapacità, allora, non è tanto il mancato rapporto con i tempo (“La dimensione del futuro, appiattita e risucchiata dall’urgenza del presente”), quanto la ipostatizzazione dell’essere nella figura dell’individuo e, in quanto tale, impotente a legarsi con altri e a connettersi con un progetto a lungo termine.

In questa desolante situazione, consacrata come una conquista della modernità che, si dice, ha cancellato le ideologie, vantando come realtà quella che è essa stessa una ideologia, il neoliberismo, non resta come collante che la paura del nemico, vero o finto, reale o paventato. Figura necessaria che se manca va creata.

Il nemico affascina più che un ideale e la lotta contro un nemico è più facile che la lotta per un ideale!
“L’uomo, abbandonato nella solitudine affettiva – denunciava tempo fa Pietro Barcellona – è diventato ‘cannibale’, perché la fine di ogni legame sociale ha trasformato ogni altro essere umano in un nemico da sopprimere o in un oggetto da divorare”. (InterCulture n. 15-16 2010 p.231).

Come uscirne? Occorre convincersi e convincere la gente che i guasti e le iniquità cui quotidianamente assistiamo sono in larga misura provocati da quell’iperliberismo che facendosi potere dominante, distrugge la solidarietà, abbatte le protezioni per i più deboli, assolutizza il mercato, rende servile il lavoro e mercifica la vita.

Non ci sono scorciatoie né vie alternative.Con buona pace per i molti che teorizzano la scomparsa e/o il non senso della fondamentale e necessaria distinzione Destra/Sinistra. Grillo compreso.