Donne cardinale e «machismo in gonnella»

Andrea Tornielli
http://vaticaninsider.lastampa.it

A rilanciare l’idea è stato un teologo gesuita americano, padre James Keenan, che sul suo profilo Facebook ha proposto un cambiamento epocale nella struttura della Chiesa cattolica, con la nomina di donne nel collegio dei cardinali, il «club» più esclusivo del mondo al quale da secoli è conferito il potere di eleggere il Papa. L’ipotesi è stata ripresa da Juan Arias sulle colonne del quotidiano spagnolo «El País», accompagnata dall’attribuzione di un «pensiero» in questo senso a Papa Francesco. E un commento favorevole è arrivato dalla storica Lucetta Scaraffia, editorialista del quotidiano romano «Il Messaggero» (sulle cui pagine è comparso l’articolo) ma anche e soprattutto del quotidiano vaticano «L’Osservatore Romano».

«Nominare una donna cardinale: l’ipotesi-proposta del “País” non è del tutto nuova – ha scritto Scaraffia – Altre voci si sono alzate, negli anni – personalmente voglio ricordare la grande antropologa inglese Mary Douglas, cattolica – per indicare questa via maestra per dare autorità e quindi aumentare l’autorevolezza delle donne nella Chiesa. La nomina avrebbe infatti il grande vantaggio di essere possibile, senza implicare il problema spinoso dell’ordinazione sacerdotale femminile.

Costituirebbe un atto di cambiamento forte, significativo, di quelli che ormai siamo abituati ad aspettarci da Papa Francesco. E non stupirebbe poi molto, in fondo, dopo avere ascoltato le frasi impegnative che ha pronunciato recentemente il Papa sul ruolo delle donne nella Chiesa». Era stata proprio la storica editorialista de «L’Osservatore Romano» a lamentare, nei giorni dell’ultimo pre-conclave, la mancanza di donne nel corso delle discussioni destinate a delineare il futuro della Chiesa cattolica e l’identikit del nuovo Papa.

L’idea delle donne «porporate», da associare al tradizionale collegio dei cardinali, come ha notato anche Scaraffia, non è nuova. Iruppe anche nell’aula del Sinodo dei vescovi dedicato all’Africa, il 10 ottobre 1994, in presenza di Giovanni Paolo II, quando Ernest Kombo, vescovo gesuita del Congo, fece questa proposta: «Chiedo che le donne possano accedere ai posti più alti delle gerarchie della Chiesa, che possano essere nominate cardinali». Poco tempo prima si era verificata la prima ordinazione anglicana di donne prete nell’antica abbazia di Westminster, alla quale Papa Wojtyla aveva reagito con una breve ma densa lettera apostolica («Ordinatio sacerdotalis») che ribadiva l’impossibilità per la Chiesa cattolica di consacrare sacerdotesse.

Kombo, nel suo intervento accolto dal gelo dell’aula aveva detto: «Possa Dio ispirare l’ atteggiamento profetico che consisterebbe nel fare delle donne una parte importante tra i consacrati, sia numericamente che qualitativamente, nominandole a posti di responsabilità e cioè ai più alti della gerarchia, come cardinali-laici, se è possibile». Donne-cardinale quindi, e non donne-sacerdote.

È vero che il cardinalato di per sé è un titolo onorifico, non un ordine sacro. Un titolo che include il porporato – disposto a testimoniare la fede «usque ad sanguinis effusionem», fino al sacrificio estremo della vita – nel clero della diocesi di Roma e nel novero dei collaboratori e consiglieri del Papa. Ma è anche vero che il nuovo Codice di Diritto canonico promulgato nel 1983 è piuttosto chiaro in proposito: «Ad essere promossi cardinali – si legge nel primo paragrafo del canone 351 – vengono scelti liberamente dal Romano Pontefice uomini che siano costituiti almeno nell’ordine del presbiterato, in modo eminente distinti per dottrina, costumi, pietà e prudenza nel disbrigo degli affari; coloro che già non siano vescovi, devono ricevere la consacrazione episcopale».

Dunque «uomini» e «preti». E appena nominati, «devono» essere ordinati vescovi. Una legge, quest’ultima, introdotta da Giovanni XXIII: per secoli infatti c’erano stati cardinali soltanto preti e anche cardinali soltanto diaconi (l’ultimo cardinale diacono a non essere sacerdote fu Teodolfo Mertel, creato nel 1858 e morto nel 1899).

La regola dell’episcopato rimane in vigore, anche se durante il pontificato di Papa Wojtyla e poi di Benedetto XVI si è cominciato a derogare, nel caso l’interessato, a motivo dell’età avanzata al momento della nomina cardinalizia, chiedeva di essere esonerato dall’ordinazione a vescovo. Così hanno scelto diversi teologi che hanno ricevuto da porpora ultraottantenni (fra questi i gesuiti Henri De Lubac, Avery Robert Dulles, Roberto Tucci, Albert Vanhoye).

Inoltre va ricordato che il cardinale è, per definizione, membro del clero. Quindi l’essere “clericus”, ossia ordinato, non è solo un “requisito” stabilito dal Codice ma è un elemento costitutivo del cardinalato. Essere cardinale vuol dire essere annoverato tra i membri del clero della diocesi di Roma. Ed è a questo titolo che i cardinali sono abilitati a eleggere il vescovo di Roma.

Che cosa ha detto Francesco sul ruolo della donna? Nell’intervista pubblicata da «La Civiltà Cattolica», ha spiegato: «È necessario ampliare gli spazi di una presenza femminile più incisiva nella Chiesa», aggiungendo però di temere «la soluzione del “machismo in gonnella”, perché in realtà la donna ha una struttura differente dall’uomo. E invece i discorsi che sento sul ruolo della donna sono spesso ispirati proprio da una ideologia machista.

La Chiesa non può essere se stessa senza la donna e il suo ruolo. La donna per la Chiesa è imprescindibile. Maria, una donna, è più importante dei vescovi. Dico questo perché non bisogna confondere la funzione con la dignità». Come dire che l’indispensabile valorizzazione della donna nella Chiesa non dovrebbe passare attraverso la sua «clericalizzazione». Trarre da queste osservazioni l’idea delle «cardinalesse» appare piuttosto azzardato. Per essere valorizzate e vedersi attribuire responsabilità nella Chiesa non dovrebbe essere indispensabile la veste color porpora.

———————————————————

La svolta della donna cardinale. Papa Francesco e l’ultimo tabù

Lucetta Scaraffia
Il Messaggero, 24 settembre 2013

Nominare una donna cardinale: l’ipotesi-proposta del Paìs non è del tutto nuova. Altre voci si sono
alzate, negli anni – personalmente voglio ricordare la grande antropologa inglese Mary Douglas,
cattolica – per indicare questa via maestra per dare autorità e quindi aumentare l’autorevolezza delle
donne nella Chiesa. La nomina avrebbe infatti il grande vantaggio di essere possibile, senza
implicare il problema spinoso dell’ordinazione sacerdotale femminile. Costituirebbe un atto di
cambiamento forte, significativo, di quelli che ormai siamo abituati ad aspettarci da Papa Francesco.
E non stupirebbe poi molto, in fondo, dopo avere ascoltato le frasi impegnative che ha pronunciato
recentemente il Papa sul ruolo delle donne nella Chiesa.

Certo, sarebbe una rivoluzione così forte da scuotere la posizione di diffidenza e di disinteresse che
gran parte del clero assume nei confronti delle donne, religiose e laiche, perché è ormai chiaro che
le esortazioni a tenere conto in modo diverso della presenza femminile – avanzate sia da Giovanni
Paolo II che da Benedetto XVI – non hanno dato che modesti frutti. Papa Francesco ha parlato
senza mezzi termini di donne in posizioni importanti, ma non è facile realizzare in modo decisivo
questa riforma. Certo, a tutti – cioè al mondo al di fuori delle gerarchie ecclesiastiche – sembra
molto strano, e in particolare chiaramente sbagliato, che non ci siano donne in posizioni direttive
all’interno di organismi decisionali come i Pontifici Consigli che trattano di temi che le coinvolgono
in prima persona: non ci sono donne, infatti, nell’istituzione che regola i problemi dei Religiosi –
anche se le donne costituiscono i due terzi del numero totale dei religiosi –; nel Pontificio Consiglio
per i laici, che ovviamente almeno per metà sono donne; nel Pontificio Consiglio della famiglia,
dove la loro presenza dovrebbe essere ovvia. Ma anche nell’istituto che regola l’assistenza sanitaria,
in gran parte gestita – e bene – da congregazioni femminili. E non dobbiamo poi dimenticare che le
donne dovrebbero partecipare alle decisioni di tipo culturale, o a quelle che riguardano le
comunicazioni. In entrambi questi ambiti, al di fuori della Chiesa, ma in parte anche all’interno, le
donne ormai ricoprono ruoli importanti, dando prova di grandi capacità.

E ancora: perché nelle congregazioni che precedono il conclave i cardinali elettori non hanno avuto
modo di ascoltare neppure una donna, religiosa o laica? Oggi le donne si rifiutano di essere
rappresentate da uomini in qualsiasi occasione, ed esigono, giustamente, di essere ascoltate. Quello
che manca alla Chiesa è proprio questo: la disponibilità ad ascoltare le donne, considerate solo
come obbedienti esecutrici di direttive altrui, o fornitrici di servizi domestici.
Dimenticando che la Chiesa deve veramente tanto alle donne che ne hanno fatto – e ne fanno
tutt’ora – parte. Cosa sarebbe la mistica senza Teresa d’Avila? E chi ha proposto la devozione in
assoluto più diffusa al mondo, cioè il Sacro Cuore di Gesù, se non una monaca francese, Margherita
Maria Alacoque? E quanto deve a tutte le fondatrici di congregazioni di vita attiva dell’800 che
hanno creato una rete di scuole, ospedali, orfanatrofi, garantendo alla Chiesa – nel momento della
massima tensione anticlericale – un’immagine positiva e utile alla società che le ha assicurato la
fedeltà di molti credenti allora in bilico? Anche oggi le religiose stanno nel cuore di tutte le
situazioni difficili e dolorose, e sanno intervenire con coraggio e buon senso, senza chiedere né
sperare alcun riconoscimento. E che dire delle monache di clausura, che sostengono la fede di tutti
noi, e la purezza della Chiesa, con la loro orazione incessante? E le tante catechiste che assistono i
parroci sempre più oberati di lavoro, e spesso depressi?

Sembra veramente incredibile che le gerarchie ecclesiastiche pensino che queste donne non abbiano
nulla da dire, nulla di interessante da suggerire. Che non siano, cioè, interlocutori indispensabili per
creare un futuro vitale alla Chiesa. Ma Papa Francesco, che vuole soprattutto “scaldare i cuori”, sa che le donne, nel fare questo, sono maestre e che un futuro diverso, più vivo, non può essere realizzato senza il loro attivo contributo