Pro e contro Francesco di R.LaValle

Raniero La Valle
Rocca n°21/2013

Una Corte ha bisogno di un re. Se il papa non fa il re, la Corte pontificia rischia l’estinzione, e dunque è costretta a combattere per se stessa. Ma non è solo la Corte: ci sono settori della Chiesa e anche del mondo secolare che erano convinti che il Concilio fosse ormai neutralizzato dopo quarant’anni di glaciazione, e sono ora allarmatissimi per l’arrivo di un papa che secondo loro – ed è un’accusa – rassomiglia al cardinale Martini, gesuita come lui. Così, mentre cresce in modo straordinario il consenso intorno a papa Francesco, è partita l’offensiva contro l’inquilino di Santa Marta.

Lefebvriani, atei-devoti, sanfedisti, anticonciliari, leghisti hanno aperto le ostilità. Il sito di Sandro Magister e dell’Espressonline ha dato spazio alle critiche. “Il Foglio” ha fatto dire a due giornalisti provenienti da Radio Maria perché “questo papa non ci piace”, ed ha accusato Francesco di eterodossia, modernismo, infedeltà alla Chiesa e adulterio con il mondo. Intollerabile sembra a Giuliano Ferrara che Bergoglio abbia visto nella Chiesa un “ospedale da campo della misericordia al posto dell’esercito angelico di Wojtyla e della cattedra razionale di Ratzinger”. Più raffinato l’attacco del prof. Pietro de Marco di Firenze, che ha in mano tutti gli strumenti del mestiere avendone appreso le tecniche, ma non lo spirito, alla cosiddetta “scuola di Bologna” di Dossetti ed Alberigo.

Le contestazioni sono molto pesanti e proprio così aiutano a comprendere la novità evangelica del pontificato di Francesco. Si prenda ad esempio la grande controversia che è stata aperta sul richiamo di papa Francesco alla libertà. “La questione per chi non crede in Dio sta nell’obbedire alla propria coscienza”, aveva scritto il papa a Scalfari. E qui l’accusa è di soggettivismo: perché se ciascuno deve fare ciò che la sua coscienza gli detta come bene, e combattere ciò che gli addita come male, verrebbe meno il bene inteso come valore oggettivo, ci sarebbe una sorta di immunità e ingiudicabilità della coscienza, la Chiesa perderebbe il suo mestiere di guida e controllo delle anime, non ci sarebbe più né grazia né peccato, e non resterebbe altro che una ”lotta di tutti contro tutti, una lotta strenua, perché compiuta per il bene e non per l’utile o altro contingente”. Secondo De Marco è per questo che le visioni particolari “devono essere regolate da un sovrano”, cioè da un’autorità esterna, che siano le leggi umane o la legge di Cristo, la quale “non ha alcuna sfumatura concessiva in termini individualistici”.

Qui però viene introdotto un conflitto tra eteronomia e autonomia che l’evento cristiano ha annullato inchiodandolo alla croce di Gesù. Quando papa Ratzinger ha detto che nella riconciliazione con l’età moderna, che è stata la vera “discontinuità” del Concilio, la Chiesa ha rivendicato la libertà non prendendola in prestito dall’illuminismo, ma attingendola dal suo “patrimonio più profondo”, diceva appunto questa verità fondamentale della fede: l’uomo è libero non perché si sottrae a un’autorità che gli si imponga dal di fuori, ma perché la libertà è l’immagine di Dio che Dio stesso ha impresso dentro di lui.

Il comando di Dio non precipita sull’uomo dall’alto, perché “Dio è nella vita di ogni persona”, secondo quella che è la “certezza dogmatica” di papa Bergoglio, che il Concilio corrobora dicendo che entrando con Cristo nella storia  “Dio si è unito in certo modo ad ogni uomo”. Perciò la libertà di coscienza, la libertà dell’atto di fede, e le libertà anche civili e politiche che ne derivano, sono radicate nella dignità stessa dell’uomo, come ha affermato nella “Pacem in terris” papa Giovanni staccandosi dal magistero pontificio dell’Ottocento; ed è così che il tema della libertà religiosa e della libertà umana tout court giunse alla riformulazione della dottrina quale si trova in quel documento del Concilio che non a caso si intitola “Dignitatis humanae”.

In quella dichiarazione sulla libertà religiosa il Concilio Vaticano II dice che l’uomo è “tenuto ad obbedire soltanto alla propria coscienza”, e ciò viene ripreso dall’insegnamento degli Apostoli ”istruiti dalla parola e dall’esempio di Cristo” . E questo primato ed autorità della coscienza deriva dal fatto che “l’uomo coglie e riconosce gli imperativi della legge divina attraverso la sua coscienza” che, come dice la Gaudium et Spes “è il nucleo più segreto e il sacrario dell’uomo, dove egli è solo con Dio, la cui voce risuona nell’intimità”; ed è Dio stesso che si fida della coscienza e si fida della libertà se, come aggiunge la Costituzione pastorale citando il Siracide, «Dio volle lasciare l’uomo “in mano al suo consiglio”».
Di molti altri gesti e parole rimproverati a papa Francesco si potrebbe richiamare l’origine nel Vangelo, nella grande tradizione e nel Concilio: segno che la posta in gioco con questo pontificato è la ripresa dell’attuazione del Concilio o il protrarsi della sua rimozione e, ancora di più, è l’alternativa tra legge e Vangelo, da cui dipende il senso stesso del papato e della Chiesa.