Segreteria di Stato, o papale? di L.Sandri

Luigi Sandri
www.laspia.it, 20 ottobre, 2013

L’avvicendamento, nella Curia romana, il 15 ottobre, tra il cardinale Tarcisio Bertone, e monsignor Pietro Parolin, nella carica di “Segretario di Stato” ripropone, in controluce, la questione del papato.

A causa di complesse vicende storiche, a poco a poco sul vescovo di Roma si sono accumulate anche cariche e responsabilità politiche, divenendo infine, egli, anche capo di uno Stato, lo Stato pontificio. Nella Curia romana – l’insieme delle congregazioni, consigli, tribunali che aiutano il sommo pontefice a governare la Chiesa cattolica – emerse dunque la carica di cardinale “Segretario di Stato”. E così continuò anche dopo che, il 20 settembre 1870, le truppe piemontesi posero fine al potere temporale dei papi. Con la “conciliazione” del 1929 nacque lo Stato della Città del Vaticano, e perciò parve normale che ci fosse un “Segretario di Stato”.

Il Concilio Vaticano II (1962-65) non toccò, direttamente, questa problematica; e, tuttavia, la riflessione sulla Chiesa, dal punto di vista del Vangelo, fece sorgere, poi, a poco a poco, degli interrogativi sulla plausibilità ecclesiale che ci fosse un “Segretario di Stato”. La questione si mescolò con un’altra, e ben più complessa: quella del papato. Paolo VI si disse consapevole che proprio il papato era uno dei più grandi ostacoli sulla via della pacificazione tre le Chiese divise (cattolici, ortodossi, protestanti…), in quanto i cristiani non cattolici mai avrebbero accettato il carisma petrino così come storicamente venuto a configurarsi, con la figura del papa che in sé assomma compiti spirituali e cariche politiche (Sovrano della città del Vaticano!). Giovanni Paolo II e Benedetto XVI si dissero disposti a rivedere le “forme di esercizio” del primato papale, pur salvandone la sostanza; ma, in concreto, non fecero le necessarie riforme.

Il Concilio aveva affermato la “collegialità episcopale” – anche i vescovi, uniti a quello di Roma e obbedienti a lui, formano un collegio che ha suprema autorità nella Chiesa; ma il Sinodo dei vescovi, istituito dopo il Vaticano II, è rimasto a carattere consultivo, e di fatto i papi hanno continuato a governare da soli. Gli scandali e le rivalità nella Curia romana, che hanno caratterizzato il pontificato di papa Ratzinger, inducendolo infine alle sue clamorose dimissioni nel febbraio scorso, hanno avuto come conseguenza che nel pre-conclave i cardinali hanno insistito proprio sulla necessità di attuare profonde riforme per inverare la collegialità episcopale. Il che papa Francesco ha poi iniziato a fare, nominando una commissione di otto cardinali, provenienti dai vari continenti, per aiutarlo ad ipotizzare un’audace riforma della Curia romana, e, in essa, del ruolo del Segretario di Stato.

Perciò, nominando, il 31 agosto, Parolin successore di Bertone – ma l’entrata effettiva in servizio è avvenuta il 15 ottobre – Francesco ha iniziato la strada delle riforme. Tuttavia, ha lasciato perplessi che abbia dato anche a lui un titolo – “Segretario di Stato” – che stona davvero in quella “Chiesa povera e dei poveri” che il nuovo vescovo di Roma ha intrapreso coraggiosamente a delineare. Ma ci sono segnali che lasciano intendere che, una volta finalmente approntata la riforma della Curia (e quindi del “modo di esercizio” del primato petrino), scomparirà il “Segretario di Stato”, sostituito da un “Segretario papale”. E si chiuderà un’epoca