Intorno al libro di Valerio Gigante e Luca Kocci “La Chiesa di tutti” di A.B.Simoni

Alberto Bruno Simoni
Koinonia forum 365 (9 novembre 2013)

Ho sempre sostenuto e auspicato una rivisitazione critica sugli eventi del dopo-concilio che sono andati sotto i nomi di contestazione, comunità di base, dissenso, cristiani per il socialismo, cristiani del disagio, ecc…, insomma quanto ha rappresentato l’”altra chiesa”. È anche per questo che ho ricevuto con piacere dall’amico Luca Kocci l’informazione del libro “La chiesa di tutti – l’altra chiesa” (Altreconomia, 2013, € 14,00: il libro può essere richiesto ad Adista, tel. 066868692; email: abbonamenti@adista.it; o acquistato presso la libreria online: www.adista.it), che egli ha scritto insieme a Valerio Gigante. Ed è con altrettanto piacere che l’ho letto, senz’altro un’ottima occasione per riprendere visione del fenomeno, come del resto era successo con “L’elogio del dissenso” di A.Thellung, e “Il dissenso soffocato” a cura di M.Castagnaro.

Ma anche questa volta l’interrogativo di partenza è stato: si tratterà solo di una rassegna e presentazione di “esperienze ecclesiali di frontiera, gruppi di base, movimenti e comunità non allineati”, o ci sarà il tentativo di un’analisi autocritica, in modo da rilanciare la stessa istanza innovativa su basi diverse? L’ottica con la quale mi accosto al libro, quindi, è appunto quella di chi pensa ad un cambiamento di strategia e ad un metodo di riforma non solo critico ma prima di tutto autocritico, che smonti sicurezze contrapposte.

La mia è sì una lettura viziata da questa pregiudiziale, ma nulla toglie al valore documentario del volume, strumento certamente esauriente per conoscere l’ampio panorama di tutte le iniziative di ”aggiornamento” che si sono succedute in questi anni e che, per quanto variegate, si ritrovano unite sotto la prospettiva di “chiesa conciliare”, intendendo con questo “un certo protagonismo del laicato cattolico, unito ad una crescente attenzione verso le fasce più deboli della popolazione” (p. 37); e quindi sotto la denominazione di “altra chiesa”, ad indicare l’”esigenza di dare il proprio contributo per rendere ‘altra’ – cioè più evangelica e credibile – la chiesa esistente: una Chiesa ‘altra’” (p.45). Per chiarirci meglio: ammesso che la chiesa esistente sia ancora di assetto e stampo “tridentino”, quella che va sotto il nome di “altra chiesa” ha la statura e la forza per sostituirla? Non si pretende tanto, naturalmente, ma il punto è se siamo sulla via giusta!

In sostanza, a dare un’anima unitaria a questo universo frammentato e disseminato di Popolo di Dio in ricerca, sono alcuni presupposti ideali di differenziazione dal sistema-chiesa vigente e alcune scelte pratiche di inserimento nella realtà culturale, sociale o politica del nostro mondo. Non manca qua e là qualche riserva critica di questo stato di cose, come quando si denuncia il “rischio di un ibrido.. tra un livello intellettuale ed uno militante che ancora fanno fatica ad armonizzarsi” (p.59), e quando ci si chiede “come mai una realtà tanto vivace e articolata come quella descritta possieda oggi una così scarsa capacità di incidere sui processi reali, sulla struttura e sulla organizzazione della istituzione ecclesiastica” (p.66).

Di questo stato di cose si dà una plausibile giustificazione, ma non se ne fa motivo di un ripensamento critico globale, lasciando aperto l’interrogativo di partenza e il dubbio che possa essersi creato un altro sistema mentale parallelo a circuito chiuso, a volte anche funzionale al sistema centrale che si vorrebbe abbattere. So che il discorso è poco generoso, ma non posso impedirmi di costatare che per la maggior parte le varie manifestazioni di “altra chiesa” sono filiazioni di strutture ufficiali preesistenti e di appartenenze istituzionali, quasi delle appendici.

La sfida che rimane ancora un sogno è se sia possibile che qualcosa nasca “ex novo” e non come rattoppamento di vestiti vecchi, grazie allo Spirito di Cristo che abita e vive in noi come lievito nuovo e nuova pasta. Per la verità, nel libro viene indicato un esempio, un criterio, una prospettiva che vanno sotto il nome di don Milani, quando si citano queste parole da Esperienze pastorali: ”…quale tragedia più grossa potrà mai venire?… con tutta questa dovizia di mezzi divini ed umani… essere derisi dai poveri… avere la chiesa vuota… sapere che presto sarà finita la fede dei poveri”.

Il dramma certamente si rinnova, come dimostrano i capitoli 3 e 4 del libro su “La chiesa e i soldi” e su “I principi non negoziabili”. Ma se la posta in gioco è davvero “la fede dei poveri” che sta finendo, o che non è valorizzata, allora il discorso è diverso: viene senz’altro chiamata in causa la “Grande chiesa”, ma neanche la base può accontentarsi di gesti dimostrativi o di realizzazioni parziali risolutive. Il problema andrebbe posto e chiarito nei suoi termini prima di avanzare qualunque soluzione: verrebbe da ripensare ancora a don Milani e al suo Pipetta!

È una questione di mentalità, di cultura che investe sì minoranze “profetiche”, ma non può non guardare alla “fede dei poveri” di una chiesa vivente. Va tenuto presente che questa chiesa non è solo struttura gerarchica e centro di potere ma anche riserva inesplorata di sensus fidei da investire. È triste che la partita tra vertice e base spesso si giochi in nome del Popolo di Dio, ma in realtà sulla sua testa.

Se il primato della “fede dei poveri” diventa davvero nuova ottica per tutti, non può non cambiare una strategia di riforma, spesso abortita perché impegnata a dare rivestimenti ad una fede ridotta a manichino o attaccapanni, piuttosto che essere essa stessa fonte di interrogazione, di discernimento e di orientamento. Perché è da qui che il cambiamento dovrebbe cominciare, facendo una cosa senza omettere l’altra, in una rinnovata capacità di sintesi dopo infinite analisi.

Valerio Gigante e Luca Kocci, nella loro ricerca, fanno cenno anche a Koinonia – in maniera molto corretta – una volta nella sezione “Riforma della Chiesa” e poi nell’elenco di riviste e siti, a p. 157 e a p. 181. Forse è l’occasione per chiedersi cosa rappresenti Koinonia nel contesto storico ecclesiale documentato dal loro libro e rispetto a storie più note e più illustrate. Mi permetto di ricordare che la scelta di vita da cui essa nasce matura all’interno o accanto alla vicenda Isolotto, e l’ipotesi di lavoro a cui essa voleva rispondere era se fosse possibile rispondere alle istanze avanzate in quel conflitto uscendo da contrapposizioni intra-strutturali e ripartendo da zero, senza garanzie e pretese istituzionali, se non l’imperativo di annunciare il vangelo ai “poveri”.

Niente quindi di dirompente, se non la volontà di non avvalersi di organismi preordinati e di mettersi alla prova in campo aperto, scommettendo sulla potenza del Vangelo ad essere dono di salvezza per chiunque creda. Se una opposizione e presa di posizione c’è stata, questa è sempre venuta dal centro nei nostri confronti, o di disconoscimento o di non accettazione, per una iniziativa che continua a vivere solo grazie alla libera e spoglia partecipazione di quanti vi si sentono chiamati. Si potrebbe dire: la koinonia è in mezzo a noi, così come si dice del Regno di Dio (cfr Lc 17,21).

“La chiesa di tutti” è senz’altro, in questo particolare momento storico, un provvidenziale sasso nello stagno, perché gli entusiasmi intorno a Papa Francesco non nascondano i problemi reali. Ma da parte mia mi sono permesso di gettare qualche sasso in piccionaia perché le diverse voci critiche e profetiche non si contentino di essere a loro volta allettanti sirene, ma si sintonizzino evangelicamente con quella dell’intero gregge e tra di loro. Sarà possibile?