SeminarioCDB – Alcune note sul Seminario del 1-3 novembre

Antonio Guagliumi
Cdb San Paolo – Roma

La bontà della scelta dell’argomento è stata confermata dalla grande e attiva partecipazione di uomini e donne provenienti da diverse esperienze, attenti alle stimolanti informazioni e suggestioni di qualificati studiosi e studiose di varie discipline direttamente o indirettamente attinenti al tema (vedi programma)

Se si passa poi a riflettere su ciò che è concretamente emerso dall’evento, occorre riconoscerne, accanto alla ricchezza dei contenuti, anche una specificità, non per sminuirne la positività ma anzi per evidenziarla come prodromo di altri eventi di eguale importanza che si auspicano per il futuro. Questo che si è appena concluso è stato infatti un incontro, utilissimo e necessario, per sottolineare ancora una volta, principalmente per un pubblico di cristiani che si interrogano sul loro essere, che il concetto di un Dio creatore e patriarcale dominante nelle scritture ebraiche e nella dottrina e prassi di una Chiesa trasformatasi in centro di potere, è definitivamente superato e irrecuperabile.

Questa mia impressione sarà a tutti evidente, credo, quando si potranno leggere su “Viottoli” le trascrizioni integrali di tutte le relazioni. Accennarne qui brevemente è necessario ma rischioso perché la sintesi può lasciar fuori, anche involontariamente, aspetti importanti.

Delle sei relazioni previste, le prime due sono state svolte nel pomeriggio di venerdì 1° novembre rispettivamente dai Proff. Biondi e Giorello, l’uno per illustrarci l’evoluzione, l’altro per rifletterci sopra con l’occhio del filosofo della scienza. Entrambi hanno ribadito e motivato il loro convincimento della non necessità dell’esistenza di un Dio per spiegare la realtà, anzi della pericolosità che può assumere una fede dogmatica quando pretende di sovrapporsi alla libera ricerca. Nella mattinata di Sabato 2 si sono succedute Luciana Percovich, che ha parlato di “Quando Dio era una donna” per riprendere il titolo di un libro di Merlin Stone da lei recensito su “Viottoli” e di come le religioni patriarcali si siano sovrapposte anche violentemente a questa religiosità di stampo femminile riuscendo a stravolgerne i significati e a cancellarne quasi del tutto le tracce, e Letizia Tomassone, pastora della Chiesa valdese, alla quale era stato chiesto di parlare di Mary Daly. Costei è, come le donne ben sanno, (gli uomini assai meno, ma sono stati esortati più volte ad aggiornarsi) un archetipo del femminismo, che per la precocità (i suoi primi scritti in merito risalgono alla metà degli anni ’60) e la radicalità delle sue posizioni ha lasciato un segno e una scuola. Per uscire dall’invisibilità nella quale il potere patriarcale le ha da sempre rinchiuse, Mary Daly traccia per le donne percorsi di separatezza che rivoluzionino il linguaggio, smascherino l’ambiguità dei simboli, ripensino in modo radicale il senso del divino. Anche la figura di Gesù non sfugge alla critica per la sua “solitudine come redentore ed eroe unico che rende passivi/e i/le credenti in attesa di una salvezza che viene da fuori” (cito dall’articolo della Tomassone apparso su “Viottoli” n°1/2013, con riferimento ad uno dei libri fondamentali della Daly: “Al di là di Dio padre” del 1973: Editori riuniti 1994)

Nel pomeriggio del sabato Giovanni Franzoni ha svolto un intervento complesso e suggestivo, citando anche alcuni passi dalla letteratura rabbinica di commento al mito della creazione contenuto nella Genesi dai quali traspare un atteggiamento di “creazione rispettosa”, con lo Spirito che sfiora con le sue ali l’uovo del creato senza violentarlo. Ha sottolineato poi il concetto di un “Dio straniero”, destinato ad essere rifiutato da un mondo ostile, come tutti coloro che vogliono seguirne le orme. Questo Dio inoltre “tenta” i propri figli e le proprie figlie perché non vuole da loro sacrifici, ma dialogo. Ha parlato di alcune delle caratteristiche che distinguevano Gesù dai rabbini suoi contemporanei, ecc. E’ stata una relazione difficilmente sintetizzabile in poche righe, che lascia comunque aperta la questione del rapporto tra il detto di Gesù in Lc 11,20: ”il regno di Dio è tra voi” (anche se in divenire), con le attuali riflessioni sull’evoluzione.

Si è avuta poi la relazione dei “gruppi donne delle CdB italiane e non solo”, costruita sulla memoria di vari precedenti incontri e letta e animata più voci. Basta leggere alcuni titoli di questi incontri per avere un’idea significativa del percorso e del metodo seguito dalle donne: “Al di là di Padre nostro” (Monteortone 2001); “Il divino: come liberarlo, come dirlo, come condividerlo in un corpo sessuato” (Frascati 2002); “Il divino, come liberarlo, come dirlo, come condividerlo: quel divino tra noi leggero” (Trento 2004); ”Il divino: abitare il vuoto” (Genova 2006). “Questa libertà di movimento” si legge nella relazione”ci ha permesso di metterci in una posizione mobile e dislocata, caratterizzata da un andare e venire, dal continuo porsi dentro e fuori della tradizione, consentendoci di partecipare alla vita comunitaria, ma anche di criticarla pur standoci dentro”. “Il divino non potrà espandersi senza una trasformazione radicale della società e delle chiese”. E ancora, “Dentro l’oscuro presente che occupa questo nostro tempo, come riuscire a far avanzare una sottile striscia di futuro? “ (citazione dalla “Cassandra” di Christa Wolf).

E’ seguito infine, nella mattinata della domenica, un coinvolgente momento di spiritualità e di condivisione cui hanno fatto seguito le domande rivolte ai relatori e alle relatrici, da molte delle quali è emerso il permanere di una esigenza di approfondire quegli aspetti della vita (che si chiamino trascendente, Dio maiuscolo o minuscolo o divino è relativo) che la scienza da sola non può spiegare.
Certo, se una casa è talmente mal ridotta da non dare fiducia sulla sua stabilità, meglio abbatterla che ristrutturarla. Ma poi, se ne abbiamo bisogno, ne va costruita una “nuova”. Cito, a proposito di questo bisogno, l’inizio di un articolo di Arianna Huffington, nota giornalista statunitense, comparso il 10 agosto scorso nella sua rubrica fissa sul “Venerdi” di Repubblica, che ben riassume il problema: “Negli esseri umani, l’istinto alla spiritualità è innato. E’ il nostro quarto istinto, accanto a quello di sopravvivenza, all’istinto del potere e a quello sessuale. E’ un istinto di origine genetica, fisico ma dallo scopo metafisico. E’ una naturale fame di nutrimento sovrannaturale”.

Un fondamento stabile per questa ricostruzione sembra a me e a molti, ancor oggi, quel Gesù di Nazaret, il quale, prima di diventare Cristo Re, ha rivelato che cielo e terra sono uniti in un unico destino, tutto da scrivere, e ha dato a ciscuno/ciascuna di noi la possibilità e la responsabilità di collaborare o di opporsi all’avvento del “regno di Dio”. Vi sono teologie contemporanee, sia quella femminista (della quale nel corso dell’incontro si è avuto un saggio) sia maschile (per esempio l’ultimo libro di Vito Mancuso: “Il principio passione”) le quali, previa descostruzione di paradigmi ormai superati e ringraziando Darwin, osservano che la visione di Gesù di un regno di Dio “fra noi”, o “dentro di noi”, come la frase di Luca può anche essere tradotta, pur espressa nei modi allora comprensibili, supera il suo tempo senza subire smentite, ma anzi ricevendo conferma dalle moderne teorie sulla origine dell’universo e sulla evoluzione della specie umana. Come non richiamare qui anche la bella intuizione dell’apostolo Paolo in Romani, 8,22: “Tutta la creazione geme e soffre fino a oggi nelle doglie del parto”?

Basti pensare questo: quale altro essere vivente, prodotto dall’evoluzione, è in grado non solo di riflettere su se stesso e sulla sua evoluzione, ma può anche influire su di essa, nel bene e nel male (per esempio modificando l’ambiente) o addirittura distruggere se stesso e con sé molta parte degli esseri viventi? L’evoluzione, nella sua espressione più articolata e complessa, può dunque suicidarsi. E ci si chiede: dalle ceneri di un olocausto atomico potrebbe essa ripartire ricreando le specie distrutte, o sarebbe un treno per sempre perduto, (almeno sul nostro pianeta)? Questa singolarità non è spiegata, mi pare, da alcuna scienza e se ne devono far carico quei sognatori e quelle sognatrici chiamati filosofi/filosofe o teologi/teologhe o uomini e donne “di buona volontà” che insistono, con tutti i problemi che ci sono, nel fare “teologia”. La teologia non è morta, come qualcuno sostiene facendo con ciò egli stesso teologia; è morto un certo tipo di teologia, sono morti certi suoi argomenti del passato, ma oggi essa, come il divino, “è diffusa tra noi”. “L’umile insegnerà le parole al sapiente” dice una nostra preghiera eucaristica, e il sapiente, la sapiente, si faranno umili ascoltando e condividendo il loro sapere con tutti e tutte.
Al termine dell’incontro ho sentito anch’io quel soffio di speranza che conclude la relazione dei gruppi donne: ”A noi sembra che la sottile striscia di futuro, tra mille difficoltà e reazioni sconnesse, si stia già allargando!”

Insomma, ce n’è di materiale su cui discutere, e se posso condensare in una formula provocatoria questa convinzione, dico che ci vorrebbe un nuovo seminario dal titolo “Un prodotto dell’evoluzione: Dio”.