Segretario Cei: meno politica e più religiosità

Alberto Melloni
Corriere della Sera 2 gennaio 2014

La nomina di monsignor Nunzio Galantino a segretario generale ad interim della Cei è il segno che
il papa vuole restituire la Conferenza episcopale ai vescovi. Una nomina era attesa da quando a
novembre, Francesco aveva «promosso» monsignor Crociata alla sede di Latina, senza la porpora
che avevano avuto i suoi predecessori Ruini, Tettamanzi e Betori al termine del loro servizio. Una
punizione, dicevano in molti, anche se onestamente non si capiva per cosa. La chiamata del vescovo
di Cassano, invece, ha chiarito che il Papa ha chiuso con morbida imperiosità la stagione della Cei
come volano della politica e volano delle carriere.

La politica era al cuore della Cei di Paolo VI, che vedeva nel segretario generale la valvola fra
società, episcopato, Santa Sede e partiti. Wojtyla cambiò linea e individuò in Camillo Ruini un
plenipotenziario titolare di quella mediazione politica che Moro aveva guadagnato ai tempi del
centrosinistra. Ratzinger e Bertone smontarono quel sistema, ma a prezzo di conflitti devastanti e di
quel collateralismo fai-da-te che si è messo all’opera con Monti un anno fa e di recente con Alfano.

Galantino è scelto per non occuparsi di questo. Francesco si fida dell’«heroísmo patriótico» di
Napolitano e capisce di non poter offrire nulla di più all’Italia di oggi (se la chiesa avesse formato
due persone l’anno, oggi avrebbe quaranta riserve per la repubblica, ma ha fatto altro e il Papa ne
prende atto). Galantino inoltre non è stato scelto per coronare la carriera di un ordinario di
antropologia fatto vescovo, ma proprio perché non ha cercato né voluto quel posto.

Se dopo l’interim il nuovo segretario sarà scelto così, se il nuovo presidente della Cei sarà eletto con
questi criteri molte ambizioni sono destinate a rimanere deluse e quel senso di spaesamento che
oggi si legge in volto ai vescovi che già pensavano a grandi sedi e a cappelli rossi è destinato ad
aumentare. Viceversa ci sono ottimi pastori di piccole diocesi che potrebbero sentirsi chiedere «per
favore» di assumere responsabilità anche più grandi di quelle date ora a monsignor Galantino.

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“Don Nunzio” da parroco di paese alla guida della Cei

Marco Politi
il Fatto Quotidiano, 3 gennaio 2014

Parte con la nomina del nuovo segretario della Cei, la ristrutturazione della conferenza episcopale
italiana. La scelta è chiaramente simbolica. Un vescovo-parroco dell’estrema periferia d’Italia.
Mons. Nunzio Galantino è infatti vescovo della più piccola diocesi di Calabria, Cassano Jonio. Una
diocesi minuscola che abbraccia soltanto cinquantuno parrocchie. E parroco, nell’animo, ha voluto
rimanere Galantino, ordinato vescovo appena due anni fa.

Di Galantino parlano bene tutti. È una personalità semplice e colta. Felice della sua esperienza
pastorale iniziale come parroco in una delle zone più difficili della sua città natale Cerignola, in
Puglia, e come assistente spirituale dell’Azione Cattolica Ragazzi. Nel 1977 è passato a insegnare
Antropologia nella Facoltà teologica dell’Italia meridionale. Nel 2004 è diventato responsabile in
Cei del Servizio nazionale per gli studi superiori di teologia.

Una buona preparazione, una carriera essenziale, un carattere affabile nelle relazioni umane,
pastorali e professionali, Galantino è piaciuto a papa Francesco per il suo stile sobrio – si fa
chiamare “don Nunzio” e basta – e anche per il suo rifiuto “bergogliano” di andare a sistemarsi nel
palazzo arcivescovile di Cassano Jonio.

Non è stato un vezzo. Galantino ha spiegato che si è trasferito a vivere nel seminario locale perché
gli piace stare accanto ai suoi sacerdoti e ai due seminaristi. Nel frattempo ha aggiunto al seminario
minore un centro vocazionale, dove i momenti tradizionali di preghiera si alternano a corsi di
aggiornamento e ad iniziative culturali e religiose. E anche questo è piaciuto a papa Francesco,
quando gli è stato fatto conoscere il “profilo” di Galantino. Invece di ubbidire alle legge
dell’efficienza, che in tante parti d’Italia ha portato alla chiusura di seminari minori praticamente
vuoti, Galantino ha scelto una strategia opposta: trasformare il seminario minore in un centro di
animazione della diocesi. Infatti ha anche offerto alle associazioni e ai movimenti cattolici del
territorio di usufruire di propri spazi all’interno dell’edificio per svolgere le attività associative.

Non ha detto che preferisce vivere in una più larga compagnia per “motivi psichiatrici” – come si è
espresso scherzando papa Francesco, quando gli hanno chiesto perché aveva scelto di stare nella
residenza Santa Marta e non nell’appartamento papale – ma quando a mons. Galantino hanno
domandato come mai viveva in seminario ha risposto soddisfatto: “Ora sto già con sei sacerdoti, i
due seminaristi, tre studenti di teologia e per i preti di passaggio il seminario è sempre aperto… mi
piacciono queste cose”.

Non è un caso che abbia chiesto al pontefice di poter continuare a risiedere a Cassano Jonio,
guidando la sua diocesi, e Bergoglio ha acconsentito volentieri. Anzi ha preso carta e penna,
scrivendo ai fedeli della diocesi per chiedere loro il “permesso” di togliere loro per un po’ di tempo
il vescovo, accettando che faccia il pendolare e spiegando che lo “commuove” vedere quanto
Galantino sia legato al suo gregge.

Il nuovo segretario della Cei è ad interim. Tutta l’attenzione del pontefice è ora concentrata sul
processo di riorganizzazione della conferenza episcopale. Il cardinale Bagnasco dovrà presentare a
maggio la bozza del nuovo statuto della Cei all’assemblea plenaria dei vescovi italiani e in quella
sede i presuli dovranno esprimersi sull’ipotesi di diventare una conferenza episcopale normale, che
si elegge da sola il presidente.

Francesco vuole infatti che le conferenze episcopali abbiano in futuro maggiori competenze e che
dunque anche quella italiana sappia autogovernarsi sul serio. Al di là degli aspetti statutari la Cei ha
comunque bisogno di un radicale rinnovamento.

L’organismo è rimasto chiaramente spiazzato dalla rivoluzione di Bergoglio. In tutti questi anni la
Cei non è stata capace di dare spazio ad una rappresentanza del laicato cattolico, non ha messo in
piedi strutture serie per contrastare gli abusi sessuali del clero e portare alla luce quelli commessi in
passato.

In queste settimane non ha organizzato una trasparente consultazione di massa in merito al
sondaggio sui problemi familiari e sessuali, promosso da Francesco in vista del Sinodo mondiale
dei vescovi del prossimo ottobre. Se si parla di portare le donne in posti decisionali, alla Cei
nessuno ha un’idea o una proposta. Se a maggio si approverà il nuovo statuto, bisognerà ricostruire
una conferenza episcopale adeguata alla situazione attuale e al modello di Chiesa voluto da
Francesco. Ed è probabile che nel 2015 si elegga il nuovo presidente.