Maria non vorrebbe essere cardinale di G.Codrignani

Giancarla Codrignani
Leggendaria, gennaio 2014

Proprio perché considero il pontificato di Francesco importante per il rinnovamento di una Chiesa che, fino a poco tempo fa, ripiegata sulla tradizione, sembrava avviarsi all’estinzione, temo che il suo stile, in certa misura simile a quello di Giovanni XXIII, corra il pericolo che corse – e subì – il Concilio, giudicato dai conservatori “pastorale” e, quindi, da disapplicare nelle riforme previste, perché inadeguato a ridare “forza”, anche dogmatica, al cattolicesimo.

Le religioni, in particolare le monoteiste, hanno storicamente prodotto anche guerra e violenze; ma i messaggi fondatori sono tutti indirizzati alla pace e possono ancora aiutare l’umanità a prendere coscienza dei limiti e delle responsabilità che li guidano nella storia. In questo terzo millennio, che certamente non è cristiano se non per convenzione, le speranze umane potrebbero ancora giovarsi del contributo dei principi evangelici se venissero espressi nelle forme che questo Papa cerca di recuperare e diffondere. Chi ha esperienza dell’ambiente cattolico (ma anche chi semplicemente scandaglia Internet) sente che i tradizionalisti, i “devoti” e, non scandalizziamoci, i cattolici sostenitori degli interessi di destra che vediamo in azione nel campo politico, stanno avanzando perplessità e critiche sulla svolta “rivoluzionaria” di un Papa “dissacratore”, “relativista” e “anticlericale”.

Papa Francesco, che è anche un gesuita, sa bene che non basta riempire piazza San Pietro, ma che bisogna prevenire l’affermarsi di una dinamica ostile al cambiamento, anche perché la crisi economico-finanziaria che imperversa nel mondo gli consente di enunciare principi, non di aiutare le conversioni di sistema.

Per questo gli chiederei:

Santità, perché non interpella i laici, a cui il Vaticano II ha dato autorevolezza ponendo il popolo di Dio al primo posto e travolgendo la piramide gerarchica? So bene che, abituati a quell’obbedienza che non è mai una virtù e all’ossequio sacrale, sono ancora timidi; ma perché non proporre, per esempio, che venga loro affidata la gestione amministrativa delle diocesi per liberare l’episcopato da funzioni (e tentazioni) di potere improprie? Molti uomini, ma soprattutto molte donne potrebbero secondare il rinnovamento della Chiesa, se chiamati alla corresponsabilità.

Ho parlato dei laici come di uomini e di donne. Leggo il messaggio per la Giornata della pace del 1° gennaio 2014, intitolato “Fraternità, fondamento e vie per la pace”. Mi limito a fare statistica della terminologia di genere: il testo è piuttosto lungo e ripetitivo e potrei sbagliare, ma gli uomini sono menzionati insieme con le donne non più di un paio di volte, le donne in quanto tali mai, le sorelle ci sono nella misura in cui i preti dicono “cari fratelli e sorelle” (fin lì ci sono arrivati), le figlie entrano perché Dio è padre e così via. Non intendo squalificare il femminismo pretendendola sororità: quello che denuncio è il solito spreco dell’intelligenza femminile che potrebbe tornare utile proprio quando ci sono riforme da realizzare. Confermare il ruolo di comodo della donna legandola indissolubilmente alla famiglia, significa rifiutare di ripensare il ruolo dell’uomo. Sarebbe ora di fare qualche passo avanti critico, oltre e citare la tristezza di Abele e Caino. La famiglia è il luogo in cui avvengono delitti gravi: i minori incontrano anche la pedofilia, le donne i maltrattamenti, gli stupri, i femminicidi. Per diminuire il tasso di violenza nella società, sarebbe più utile partire dalle donne o dagli uomini, dai fronti di guerra o dall’interno delle famiglie?

Papa Francesco da sempre auspica una «presenza più incisiva della donna nella Chiesa» e «soffre di vedere le donne nella Chiesa come servitù»; addirittura «crede che noi non abbiamo fatto ancora una profonda teologia delle donne». Perché, Santità, non chiama qualche teologa che, almeno, le fornisca la bibliografia? Il Papa è un uomo come gli altri, per giunta celibatario e, di conseguenza, della famiglia conosce solo quella d’origine da cui anche i preti si emancipano. Papa Francesco può perfino parlare un linguaggio “di genere”: «la Chiesa non è “il”, ma è donna e madre»; ma non si accorge che la conferma del ruolo materno non risarcisce le donne di un Dio che resta solo padre e di una trasmissione apostolica solo maschile.

Quindi non basta dire che «una Chiesa senza le donne è come un Collegio Apostolico senza Maria» se chi lo dice non percepisce che la ragazzina palestinese che diede il suo assenso a Dio (gentiluomo che le chiese il consenso) non vorrebbe mai un posto da cardinale. Perché proprio la “vergine e madre” è un’icona idealizzata, ma è esclusa dal fare magistero. Inutile riconoscere le donne come «le prime testimoni della Resurrezione», se non si traggono le conseguenze della consegna dell’annuncio che il Risorto fa a Maria di Magdala. A me viene spontanea una domanda: come mai è diventata così “potente” la non particolarmente significativa espressione «tu sei Pietro» da aver dato origine alla successione apostolica e al ministero “petrino” del Papa, e si sono lasciate nell’insignificanza le parole di Gesù – «va e annuncia…»?

Molte donne chiedono il sacerdozio femminile, anche se molte suore non desiderano affatto di diventare “questo prete” e nemmeno le protestanti, che possono diventare anche vescove, riescono a dare immagine “di genere” alla cultura dei ministeri. Tuttavia le teologhe e gli stessi sacerdoti, tranne i sessuofobi estremi, sanno bene che non esistono motivi contro l’ordinazione delle donne né scritturali né teologici, anche se il diktat di Giovanni Paolo II sembra confermato da Francesco. Un progresso sarebbe lasciare le donne, almeno le teologhe e gli ordini femminili, libere di avanzare le loro argomentazioni. Personalmente non domando nemmeno questo; mi resta solo l’interrogativo: perché?Papa Francesco, perché la suora può distribuire un’ostia consacrata da un uomo e non può consacrare?

Se non può agire «in persona Christi» solo per l’esteriorità biologica del suo apparire, è un’insensatezza: tanto varrebbe dire che le donne sono escluse dalla salvezza. Ma se invece la persona femminile porta sulle spalle il pregiudizio dell’impurità (quella per cui alla rabbina il giornalista chiede se può tenere il culto quando è mestruata), allora bisognerà ragionare su molte cose. A partire dal perché il magistero della Chiesa è maschile e autoritario sull’altro genere e dalle ragioni per cui la Chiesa è l’unico luogo abitato solo da maschi, a causa del celibato obbligatorio che a noi donne sembra l’espressione suprema della paura che inficia la purità del sacro, escludendoci.