Nel mosaico delle fedi di B.Salvarani

Brunetto Salvarani
Rocca, 15 marzo 2014

Disarmanti, ma non sorprendenti (purtroppo), i risultati di un sondaggio che la chiesa valdese ha
commissionato a Gfk-Eurisko e resi noti qualche settimana fa.

Ma soprattutto utili, una volta di più, a riflettere sulla nostra scarsissima competenza in merito al
fenomeno religioso. La ricerca, infatti, non ha potuto che rafforzare la sensazione diffusa che a queste
latitudini il sapere religioso è ancora -nonostante tutti gli istituti teologici aperti ai laici, nonostante il dettato
conciliare, nonostante… – roba da preti, e poco più. Come ci conferma ulteriormente un corposo tomo a
più mani, appena uscito a cura dello storico Alberto Melloni, intitolato Rapporto sull’analfabetismo
religioso in Italia (Il Mulino 2014).

La Bibbia: tanti ce l’hanno, pochi la leggono

Qualche dato. Se neppure un italiano su tre è capace di elencare i quattro evangelisti, meno di uno su
quattro sa indicare le virtù teologali. Addentrandosi nelle pagine bibliche, non va meglio: domandare chi
abbia mai dettato i dieci comandamenti a Mosè sul Sinai comporta, in otto casi su dieci, sentirsi rispondere
un nome del tutto improbabile.

Ci si può fermare qui, per carità di patria, nell’amara certezza che un eventuale allargamento del test alle
altre religioni peggiorerebbe ancor più il quadro. Del resto, quanti dichiarano di leggere individualmente la Bibbia
– testo molto posseduto e ben poco frequentato, si direbbe – sono appena il 29%: non è un caso che, al riguardo,
regni gran confusione! Ad esempio, quasi nessuno si mostra in grado di cogliere qualche differenza fra
risurrezione e reincarnazione… Eppure, la dimensione religiosa non si posiziona, per l’inchiesta, ai margini
della vita quotidiana dei connazionali: fra l’altro, dal campione emerge il fatto che tre italiani su quattro
pregherebbero anche al di fuori delle celebrazioni che si svolgono nelle chiese, rivolgendosi a Dio (47%), a
Maria (31%), a Cristo (21%) e ai santi (12%). Non solo: la ricerca riferisce che ci aspetteremmo risposte
al bisogno di sacro dalla scuola e dall’università, dai media e dalle parrocchie, o dalle comunità religiose di
appartenenza (sempre più declinate al plurale). Tuttavia, i riscontri che giungono dal pianeta istruzione e dai
media sono considerate insoddisfacenti, mentre, a dispetto della secolarizzazione dominante, per gli intervistati
le parrocchie svolgono comunque un ruolo educativo non secondario in una società ormai definitivamente
multireligiosa.

Religione e appartenenza culturale

Il tutto, a fronte di un curioso paradosso: il 76% degli italiani si proclama credente, mentre il 79% si
definisce cattolico… l’apparente incongruenza è, probabilmente, da imputare a un’interpretazione culturale
dell’appartenenza confessionale, per cui l’adesione alla confessione maggioritaria non corrisponde a un’intima
convinzione, ma è determinata piuttosto da fattori ambientali, dalla tradizione (il non possiamo non dirci
cristiani di crociana memoria) o semplicemente dal classico conformismo. In questa chiave, il dirsi cattolici
sembra connotarsi più come un elemento identitario, che si accompagna semplicemente a quello della cittadinanza,
che il reale compimento di un itinerario di consapevolezza e di crescita di fede. Il che spiegherebbe le tante
occasioni di conflitto sociale verificatesi negli ultimi anni intorno a questioni solo all’apparenza religiose,
ma in realtà collegate al tema spinoso della mancata valorizzazione delle diversità culturali e religiose nei
contesti locali: dalla presenza del crocifisso in scuole e tribunali fino all’ostilità verso l’edificazione di moschee
o templi hindu (per fare solo un paio di esempi). In altri termini: la battaglia perché l’ignoranza del Fattore R
sia socialmente percepita come un problema serio sarebbe da affrontare ora, prima che sia troppo tardi. Si
tratta infatti di un’emergenza vera e propria, anche perché qui risiede la radice di troppi pregiudizi e di
altrettante conflittualità.

Il ruolo della scuola

Chiediamoci, allora, alla luce dello scenario descritto: quale può essere il ruolo della scuola, in un progetto di
ri-alfabetizzazione religiosa? La domanda, a dispetto delle apparenze, è tutt’altro che scontata, in quella che
Edgar Morin designa come quarta era dell’umanità (l’età planetaria). Perché, a sorpresa, le religioni
hanno saputo uscire indenni dalla sfida sferrata loro dai processi di secolarizzazione e di modernizzazione.
Materia sempre più incandescente, ovvio, soprattutto in tempi liquidi (Z. Bauman) quali i nostri,
contrassegnati dalla crisi dei legami comunitari, da identitarismi costruiti ad arte, da fondamentalismi
(religiosi e non), assai più che da dialoghi e accoglienza. Eppure, le religioni, nelle scuole italiane, ci sono
già perché un gran numero di studenti fa riferimento a diversi mondi religiosi; ci sono perché da anni si
discute più o meno strumentalmente – lo si accennava – sul senso del crocifisso nelle aule, su presepi e
canti natalizi da insegnare o meno agli alunni. Ma non ci sono, se non in modo assai periferico, come
materia di studio e connotato essenziale per una cultura che si pretenda completa e al passo coi tempi.
Com’è noto, esiste sì una disciplina, l’Insegnamento della religione (sic!) cattolica (Irc), però facoltativa e
di marca confessionale.

Come uscire da questa situazione ingessata e, apparentemente, priva di sbocchi? Secondo Melloni, che
l’Irc non abbia ridotto e non riduca la portata dell’analfabetismo religioso, ma l’abbia addirittura
aumentato, lo dice la sua stessa dizione, che l’identifica come insegnamento della religione cattolica,
anche se è noto che il cattolicesimo non è una religione, nemmeno nella propria autodefinizione, ma
semmai una confessione appartenente al cristianesimo come esperienza di fede.

Mutazioni del panorama religioso europeo

Tanto più che, negli ultimi decenni, il panorama religioso europeo è mutato clamorosamente,
virando su rotte che un tempo sarebbero apparse agli osservatori del tutto inconcepibili. Ad esempio, chi
avrebbe potuto immaginare una così forte presenza islamica a Roma o a Londra, a Parigi o a Madrid?
Diversamente rispetto a un passato recente, oggi persino una rapida istantanea sulle religioni le fotografa come
un autentico work in progress: tanto che si può scegliere di essere atei, seguire un’ortodossia religiosa, cambiare
confessione, ritagliarsi un proprio percorso spirituale, in ossequio a un processo di soggettivizzazione delle
credenze ormai dilagante. Il quadro appare più frastagliato, meno stabile rispetto al passato, con le grandi
istituzioni religiose più vulnerabili e l’assolutezza del messaggio religioso messa in discussione dalla
pluralità delle opzioni plausibili che ci troviamo davanti.

L’inatteso pluralismo che ci sta attraversando è, in effetti, destinato a porre a dura prova la nostra
tradizionale ignoranza in campo religioso, invitando l’universo della scuola a un impegno più serio e
approfondito: in che direzione, dovremmo parlarne! Sarà impossibile, in ogni caso, continuare a considerare
il fatto religioso come elemento puramente individualistico o folkloristico, privo d’influssi culturali,
economici e sociali. Come ogni novità, anche questa potrà provocare paure e chiusure intellettuali, e lo sta
facendo, ma altresì stimolare a una feconda stagione di ipotesi innovative, se sarà vissuta con la dovuta
laicità (poiché la laicità aperta è il presupposto di ogni sano pluralismo).

Di questo si dovrebbe discutere, e non si discute, perché il tema risulta un tabù neppure nominabile; perché
coinvolge il nuovo (!) Concordato stilato trent’anni or sono, quando esistevano ancora il Muro a Berlino e le
Twin Towers a New York; perché questo paese non è ancora convinto, e lo dimostra quotidianamente,
dell’irreversibilità del suo processo di multireligiosità…

Sarebbe vitale, dunque, avviare una discussione pubblica: con l’obiettivo – minimo, ma non banale —
di rilanciare il dibattito al riguardo, in una fase storica densa di rappresentazioni del religioso nello spazio
pubblico eppure poco favorevole al pluralismo religioso e alla discussione su temi alti.

Avviare una discussione pubblica

Rompendo l’assordante silenzio su una questione sì complicata, peraltro imprescindibile, se
assumiamo come cornice le parole dell’Osservatorio nazionale per l’integrazione degli alunni stranieri e
l’educazione interculturale del Ministero della Pubblica Istruzione nel documento del 2007 La via
italiana alla scuola interculturale, in cui si evidenziava l’opportunità «di allargare lo sguardo degli alunni
in chiave multireligiosa, consapevoli del pluralismo religioso che caratterizza le nostre società e le
nostre istituzioni educative e della rilevanza della dimensione religiosa in ambito interculturale».

Mentre nel numero 2 del 2010 della rivista della Morcelliana Humanitas in una lunga recensione di
Alberto Anelli — mi scuso per l’autocitazione — al mio Educare al pluralismo religioso (Emi 2006) si
prendeva come caso serio, «la complessa questione del ruolo delle religioni nella scuola pubblica»:
«Merito indiscutibile del volume è senza dubbio quello di rompere il silenzio su una questione
estremamente complessa e compromessa. Purtroppo, almeno finora, sembra che nemmeno questo libro
sia riuscito a sollevare dubbi, a suscitare significative domande e riflessioni di una certa ampiezza in
ambito nazionale. È quanto il suo autore probabilmente si augurerebbe ed è anche quanto ogni suo
lettore onesto non può che auspicare». Credo che Anelli, sostanzialmente, abbia (ancora) ragione.

Mi è capitato spesso, nel corso degli ultimi anni, di presentare Educare al pluralismo religioso in
svariate occasioni, ricevendo consensi e raccogliendo — ovviamente — pure perplessità, ma in
effetti i mondi che avrebbero potuto (e, a mio parere, dovuto) battere un colpo, non l’hanno fatto. In
primo luogo, il mondo della politica e quello della chiesa cattolica ufficiale, silenziosi per motivi che
non è difficile intuire. Il fatto è che domina ancora, in troppi ambiti, la paura di toccare argomenti
che scottano, mentre, di converso, posso testimoniare per averlo sentito raccontare a più riprese,
aumenta il disagio vissuto da tanti (spesso ottimi) docenti di Irc nel loro lavoro quotidiano, di cui
ben poco si dice. E che le nostre istituzioni educative non sono in grado di far fronte al crescente
pluralismo religioso odierno, condizione normale per un paese europeo. Mentre solo una forte
competenza religiosa è garanzia di laicità, e la laicità non può prescindere da una seria competenza
religiosa: per passare, riprendendo Régis Debray, da una laicità di incompetenza a una laicità di
intelligenza. E solo una scuola che favorisca e promuova il dialogo interreligioso e interculturale sarà
in grado di contribuire a rafforzare il fondamento della civiltà e della convivenza sociale.
fedi in dialogo

Con ragione l’autorevole intellettuale ebreo Amos Luzzatto sostiene che ogni bambino ha il diritto
di leggere il Libro sacro degli altri bambini, «poiché fino a quando i cattolici leggeranno solo il
Vangelo, gli ebrei solo la Torà e i musulmani solo il Corano sarà impossibile realizzare una vera
integrazione a scuola e nella società». La vasta presenza delle seconde e terze generazioni nelle aule
italiane mostra del resto chiaramente, con l’evidenza delle cifre in progress , che il mosaico delle fedi
richiede un’analisi della situazione dell’insegnamento religioso a scuola a più alto livello di una semplice
contrapposizione ideologica.

Perché l’educazione interculturale non può non fare i conti con le
religioni: la considerazione del pedagogista Andrea Canevaro può essere lo slogan per avviare una
riflessione su quanto l’ambito religioso e interreligioso costituisca oggi un terreno potenzialmente
fertile per il microcosmo della scuola, dell’educazione e della formazione. Sarà possibile ragionarvi, a
mente serena, e coinvolgendo quella classe politica che dà continuamente segni di completo disinteresse al
riguardo (basti pensare all’iter faticosissimo delle Intese e alla mancata realizzazione di una qualsiasi
Legge sulla libertà religiosa)? E farlo senza chiusure preconcette, ma prendendo le mosse dal dato
oggettivo e realistico di un’ignoranza crescente sia della Bibbia sia delle religioni in genere? Una
discussione che non sia venata né da un vecchio e sorpassato laicismo incapace di fare i conti con il sacro,
ma neppure da un risorgente neoclericalismo… una discussione autenticamente laica, insomma! Come
si può immaginare che i cittadini di domani possano vivere assieme gestendo nonviolentemente i
conflitti (religiosi e culturali) se, in pratica, si fa di tutto perché rimangano analfabeti dal punto di vista
(multi) religioso?