Del magistero cattolico o della teologia come occultamento di A.Esposito

Alessandro Esposito, pastore valdese in Argentina
www.micromega.net

L’aveva già rilevato sul blog di MicroMega, con acume ed amara ironia, Pierfranco Pellizzetti: le alte sfere del cattolicesimo deplorano il progetto scolastico che prevede di diffondere l’educazione alla diversità di orientamento sessuale nelle scuole secondarie. A rilanciare la tesi oscurantista fatta propria dal cardinal Bagnasco ci ha pensato l’arcivescovo di Torino, Cesare Nosiglia. I documenti incriminati consistono in alcune schede didattiche dal contenuto semplice e chiaro, rispetto a cui gli studenti sono opportunamente chiamati a riflettere e ad esprimersi. Nulla di scandaloso, inutile rimarcarlo: come ha ineccepibilmente chiosato l’esponente del partito radicale Silvio Viale, ginecologo presso l’ospedale torinese Sant’Anna, “quelle schede sono improponibili per l’ortodossia che ammette un’unica posizione, non per la società pluralista”.

L’indignazione del prelato nasce dalla domanda contenuta in una delle schede che ha per oggetto il rapporto tra omosessualità e nuovo testamento; l’interrogativo viene formulato in questi termini: “La condanna dell’omosessualità è contenuta nel messaggio di Gesù o nelle parole di coloro che lo diffusero?”. Domanda interessante e pertinente, ma giudicata “ideologicamente unilaterale, distorta nello spirito come nella sostanza” dall’arcivescovo che, immancabilmente, rivolge il suo appello accorato agli insegnanti di religione (che egli stesso nomina, pur pagandoli con i soldi dello Stato) affinché essi “si facciano carico di spiegare in modo approfondito agli alunni il significato dei brani biblici indicati, sottolineando la superficialità delle domande che le schede propongono” (citazioni da “L’ira dell’arcivescovo sui corsi anti-omofobia”, di Gabriele Guiccione, La Repubblica-Torino, p. VII).

Risparmio alle lettrici e ai lettori le mie opinioni al riguardo, trattandosi di esternazioni che, ritengo, si commentano da sé. Preferisco piuttosto svolgere alcune osservazioni in qualità di “addetto ai lavori”.

Anzitutto, quanto rilevato dai curatori delle schede è incontestabile: diversamente, non susciterebbe rincrescimento in chi non ha alcun argomento da portare a sostegno del proprio fondamentalismo teologico. Scorrendo le pagine dei vangeli, che non hanno Gesù quale autore ma che riportano comunque l’essenza del suo insegnamento itinerante, non è possibile rinvenire alcuna affermazione di condanna dell’omosessualità.

Sensibilmente diverso è il quadro fornito dall’epistolario paolino (dal quale vengono estrapolati due testi significativi, che non offrono spazio alcuno all’apertura, se non a prezzo di improponibili acrobazie ermeneutiche: si tratta del passo contenuto in Romani 1:24-28.32 e di quello che figura in I Corinzi 6:9-10) e dalle cosiddette lettere deutero-paoline (ovverosia redatte in epoca successiva da discepoli di Paolo, come avviene per il terzo brano citato dalla scheda didattica in oggetto, contenuto in I Timoteo 1:10). Il semplice invito alla riflessione rivolto agli studenti, attraverso cui si chiede loro di rilevare se siano riscontrabili nella teologia di Paolo di Tarso (un invito ai giornalisti: aboliamo il “san” e parliamo dell’uomo) e dei suoi discepoli elementi omofobici, basta a far gridare allo scandalo.

Ma il vero scandalo è rappresentato dal divieto imposto di ricavare delle conclusioni a partire dall’analisi del testo: che si tratti di brani biblici, mi pare ovvio, costituisce un dato irrilevante. Sui testi letterari (nel cui novero si inscrive la bibbia, a maggior ragione in una scuola laica, posto che esista) ogni insegnante che si rispetti è chiamato a far riflettere i suoi allievi, contribuendo così a formare il loro spirito critico.

Ma è proprio quest’educazione alla libertà d’analisi e di giudizio ciò che le gerarchie cattoliche, di cieco ed inflessibile (pre)giudizio instancabili istigatrici, intendono in tutti i modi contrastare.