I gesti non fanno ancora primavera. Cresce l’attesa per la riforma della Chiesa

Claudia Fanti
Adista documenti n. 13/2014

Archiviato con grandi riconoscimenti il primo anno di pontificato di papa Francesco, le aspettative intorno alla riforma della Chiesa iniziano a farsi più pressanti: dopo aver applaudito i gesti, lo stile, le parole, ora si attendono, insomma, le prime vere riforme strutturali. Perché è vero che, come evidenzia l’analista messicano Bernardo Barranco (La Jornada, 12/3), papa Francesco ha risvegliato l’entusiasmo «in un cattolicesimo che sembrava essersi incapsulato ermeticamente nella tradizione», optando «per il dialogo anziché evangelizzare a colpi di bastone inquisitoriale» e così seminando il panico «tra i vecchi dinosauri della fede» (per quanto «non abbia cambiato neppure una virgola della dottrina della Chiesa»). Ma i gesti, per quanto «importanti nelle società mediatiche», non risolvono, sottolinea Barranco, la crisi della Curia romana, né comportano di per sé «una nuova e sognata primavera ecclesiale».

Papa Francesco, dunque, «dovrà andare oltre i gesti», favorendo «una nuova sintesi di fede e cultura», nuove ipotesi pastorali che consentano alla Chiesa di accompagnare «i grandi cambiamenti della nostra civiltà contemporanea», magari convocando «un Concilio Vaticano III che ridefinisca gli orizzonti». A tal proposito, se in molti tracciano un confronto tra papa Francesco e Giovanni XXIII, il teologo argentino Oscar Campana (Alai, 18/3) ricorda però che, «per quanto i gesti del “papa buono” esprimessero vicinanza e misericordia, furono le sue decisioni a modificare il quadro ecclesiale: a due mesi scarsi della sua elezione, papa Roncalli aveva già convocato un concilio ecumenico.

E oggi non staremmo a ricordare tanto la sua bontà se questa non avesse condotto a una tale decisione». In ogni caso, come evidenzia il direttore della rivista cattolica statunitense Commonweal Paul Baumann (in un articolo pubblicato su “www.slate.fr” del 16/3 e riportato in italiano su www.finesettimana.org), «papa Francesco non è un mago, non può modificare il corso della storia profana, né risolvere divisioni ideologiche sempre più profonde in seno alla Chiesa». In questo senso, secondo Baumann, l’attrazione che esercita rischia di essere dannosa, in quanto «favorisce l’illusione che i tormenti della Chiesa possano essere curati da un solo uomo, tanto più se nuovo», mentre «nessun papa possiede un tale potere, grazie a Dio».

Sull’esistenza, dietro a gesti ed atteggiamenti che dischiudono la speranza di una nuova primavera, di «un progetto solido e fattibile di rinnovamento di un’istituzione profondamente e francamente indebolita», si interroga anche l’Osservatorio Ecclesiale (uno spazio di articolazione ecumenica e di formazione sociale, teologica, politica e di genere nato in Messico nel 1999), esaminando «la possibilità reale di cambiamenti profondi e duraturi», anche a fronte del pericolo che le proposte del papa restino «senza eco in una prassi ecclesiale maggioritariamente conservatrice grazie all’eredità dei papi anteriori» (http://observatorioeclesial.wordpress.com, 13/3).

E se un primo ostacolo è dato dal «profilo» e dalla «probità morale» di alcuni dei cardinali chiamati a far parte della commissione per la riforma della Curia romana e di quella per gli affari economici dello Stato vaticano (a cominciare dal filogolpista Oscar Rodríguez Maradiaga), in gioco c’è, soprattutto, secondo l’Osservatorio Ecclesiale, un cambiamento nelle relazioni tra Vaticano ed episcopati nazionali nel segno della collegialità, «per non parlare di una maggiore rappresentatività ed equità di genere a livello di vertici ecclesiastici».

E se «un momento decisivo si rivelerà il Sinodo dei vescovi del prossimo ottobre, da cui si attendono decisioni rilevanti in risposta al clamore dei fedeli in temi di morale sessuale e familiare», secondo l’Osservatorio «su nessun altro aspetto della vita ecclesiale Francesco ha dato segnali reali di cambiamento» (senza dimenticare, aggiunge l’Osservatorio, l’infelice dichiarazione del papa secondo cui nessuno, in materia di abusi sessuali sui minori, avrebbe fatto di più della Chiesa cattolica, quando in realtà, «il vaso di Pandora della Chiesa è stato aperto grazie all’instancabile lotta delle vittime di abusi da parte del clero»).

E sull’«imperativo della collegialità» pone anche l’accento Mary McAleese, già presidente della Repubblica d’Irlanda dal 1997 al 2011 e affermata teologa, durante una conferenza sul tema del governo della Chiesa tenuta il 28 febbraio scorso al Von Hugel Institute presso la Cambridge University (e pubblicata l’8 marzo sul sito della Association of Catholic Priests, www.associationofcatholicpriests.ie).