Churchbook e il fattore tempo

Diego Andreatta
www.vinonuovo.it

L’indagine sui preti italiani e Facebook «svela» alcuni problemi aperti. Come il tempo da dedicare ai social

Il 20% dei preti diocesani e dei religiosi italiani – e quasi il 60% dei seminaristi – hanno dunque un profilo su Facebook, anche se lo usano con frequenza e modalità molto diverse. Nell’indagine “Churchbook. Tra Social Network e pastorale” – presentata giovedì dopo tre anni di lavoro dal Cremit dell’Università Cattolica di Milano e dal dipartimento Scienze Politiche dell’Università di Perugia per conto di WeCa (i webmaster cattolici italiani) – ci sono anche molti elementi qualitativi che indicano come i social media siano abitati con crescente entusiasmo (non solo dai preti giovani) e sia maturata in molti di loro la comprensione delle peculiarità di Facebook: dall’iniziale “dovere di esserci” e replicare la bacheca parrocchiale ad una presentazione più cauta e prudente, una valorizzazione della dimensione comunitaria in modo circoscritto e un rinvio alle occasioni d’incontro reale perché “essere sempre on line non significa necessariamente anche incontrare l’altro”.

La presentazione dell’indagine a Milano (disponibile su www.youtube.com/watch?v=sdhh_0rOnYA) in vista della Giornata delle comunicazioni sociali ha anche individuato quattro funzioni ricorrenti – quella dei “confessori”, degli “attivisti”, degli “esegeti” e dei “predicatori” – assunte da preti, religiosi e seminaristi, mentre le religiose appaiono particolarmente predisposte ad una modalità di accompagnamento spirituale, utilizzando “una comunicazione materno-affettiva”.

In questa fase di maturità dell’ “abitare” i social emergono provvidenzialmente anche alcune tentazioni. In primo luogo, l’accentramento narcisista che esalta lo schema clericale “uno verso tutti” piuttosto che una circolarità ricercata per favorire la comunione e lo sviluppo di reti in cui anche altri confratelli e i laici figurino come nodi credibili.

Ma “il problema dei problemi” – dentro la stressante quotidianità dei presbiteri italiani – è il fattore tempo. In un recente dibattito sulle relazioni nel Web 2.0 un pluriparroco ammetteva di aver riscoperto nuove fasce orarie nella sua giornata – il primo pomeriggio per messaggiare con i suoi studenti pendolari o la sera tardi per rispondere con calma alle richieste di alcuni parrocchiani – e la difficoltà di rispettare gli orari: “Ma se arrivo qualche minuto dopo – aggiungeva – immagino che la mia gente capisca ormai anche il motivo del mio ritardo”. E a tanti confratelli che giudicano “smanettoni” o “impallinati” i preti troppo presenti nella rete, risponde indirettamente l’esperto padovano don Marco Sanavio: “Anche se ne conosce le differenze, considero il tempo utilizzato nella relazione nei social come quello dedicato al dialogo interpersonale – ha detto in una recente intervista – D’altra parte è successo all’epoca anche per lo strumento del telefono. Ma chi oggi sosterrebbe che telefonare è una perdita di tempo e non può servire per coltivare relazioni e dialoghi anche per l’evangelizzazione?”.

Ma forse è “soltanto” un problema di equilibrio, non lasciarsi prendere dalla smania dell’onnipresenza virtuale e non arroccarsi in un distacco “duro e puro” che impedisce d’incrociare le persone nelle piazze più frequentate dei giorni nostri.

Sul tema lo scambio di esperienze potrebbe essere utilissimo, se è vero – come dice la sociologa dei social media Nicoletta Vittadini – che “condividere significa prendersi cura”.

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Chiesa e internet: esame di maturità

Moreno Migliorati

Siamo sempre più consapevoli che la vita è una, tanto nell’ambiente fisico quanto in quello digitale. Ma proprio per questo c’è uno stile di vita da ricercare anche sui social

Dei risultati della ricerca sull’uso di Facebook tra sacerdoti, religiosi, religiose e seminaristi presentati nel corso di “Churchbook. Tra social network e pastorale”, il convegno svoltosi lo scorso 29 maggio presso la Cattolica di Milano, ha già riferito Diego Andreatta. Il medesimo appuntamento è stato tuttavia ricco anche di altri spunti di riflessione che non sarà inutile, anche se brevemente, richiamare per sommi capi.

Quella che è emersa dalle varie relazioni è stata innanzitutto una visione estremamente positiva dell’ambiente digitale. Superate le iniziali diffidenze (che emergeva anche dai primi pronunciamenti magisteriali in merito) è entrato finalmente nel comune sentire, anche ecclesiale, che Internet è veramente un autentico “Dono di Dio”, come lo definisce Papa Francesco nel messaggio per l’ultima Giornata mondiale delle comunicazioni sociali. Anche la distinzione tra “vita online” e “vita offline” (imperante fino a poco tempo fa e fonte di non poche incomprensioni) sta perdendo terreno a favore della consapevolezza che la vita è una, sia che la si viva nell’ambiente fisico che in quello digitale. Altro importante punto dibattuto nella giornata di convegno è stato quello relativo al ruolo dei social media nella costruzione dello spazio pubblico. Essenziale, a questo riguardo, è la realtà del Web 2.0, basato sul superamento delle tradizionali forme di intermediazione e fondato invece sulla partecipazione e sulla condivisione. Al centro, è stato sottolineato, c’è l’io e tutto intorno un mondo fatto di reti concentriche. È in questo contesto che è possibile affermare che l’abbondanza informativa imperante attualmente (tanto da poter affermare che il vero potere è costituito dalla conoscenza) se da un lato è un fenomeno da valutare positivamente perché può favorire la trasparenza, rischia tuttavia di trasformarsi in opacità. L’ambiente digitale (anche questo è stato un tema dibattuto) è estremamente importante anche per costruire ed ampliare un proprio spazio relazionale e quindi per offrire a se stessi notevoli opportunità di crescita personale.

Se questi sono stati i punti positivi emersi durante la giornata milanese, non sono mancate neppure le criticità, o meglio, le attenzioni da porre in atto per vivere al meglio nel mondo digitale e in particola modo dei social network. Il primo rischio da evitare è quello di chiudersi in “bozzoli confortevoli” cercando il contatto solo con chi la pensa come noi. Rischio presente anche nella vita fisica ma che rischia di essere ampliato in quella digitale. Altro rischio da evitare è quello di considerare la rete unicamente come un mezzo per fare proselitismo. È essenziale, invece, proporre uno stile di vita che sia il più possibile coinvolgente e condivisibile evitando anche che la religione sia vista come un prodotto da smerciare al pari di un altro. Anche la velocità, così connaturata all’ambiente digitale e fenomeno sostanzialmente positivo, può essere un’arma a doppio taglio se impedisce lo sviluppo del pensiero e della capacità espressiva e narrativa. Altra attenzione va posta a che in rete (vista in questo caso come un palcoscenico) non emerga unicamente l’aspetto emozionale e narcisistico, visto che siamo noi stessi i manager della nostra identità sociale.

Se un appunto può essere fatto all’interessantissima giornata milanese, è di aver trascurato completamente il mondo della messaggistica, in particolare applicazioni tipo WhatsApp, così ampiamente diffuse, specie tra le nuove generazioni, e considerate alla stregua di veri e propri social network. Ma magari il tutto sarà oggetto di altri appuntamenti. Per il momento, il convegno del 29 maggio ha già fornito ampio materiale di riflessione alla Chiesa italiana e alla società intera.

(si ringrazia Simona Borello per la collaborazione)