E la sinistra in Italia? di M.Vigli

Marcello Vigli
www.italialaica.it

I risultati delle recenti elezioni per il Parlamento europeo offrono, più che in passato, materia di riflessione sul panorama politico italiano perché, almeno nell’immediato, sono apparsi chiari e condivisi.

Le tradizionali e stucchevoli dispute per individuare vincitori e vinti ci sono state risparmiate e ne è stata favorita la ricerca sugli orientamenti espressi nel voto. Il confronto fra le previsioni della vigilia, che hanno riservato sorprese e suscitato interrogativi, con i dati reali dei voti espressi e la sua integrazione, nei giorni successivi, con i dati sui flussi elettorali hanno offerto sufficienti elementi per districarsi nell’analisi della loro distribuzione fra le diverse liste e per interpretare il futuro.

Restano, ovviamente, spazi per interpretazioni soggettive che sono attendibili e con ridotto margine di errore solo se non condizionate dall’interesse ad usarle per giustificare scelte politiche predeterminate.

In questa ottica sono significativi i dati che interessano le sorti della sinistra: l’affermazione del Pd, la sconfitta del grillismo e il raggiungimento del quorum della lista Tsipras.

Quanto alla prima una riflessione sul rapporto fra le percentuali ottenute dalle diverse liste e il numero dei votanti consente di ridimensionare il valore della pur significativa affermazione del partito. Il 40% dei voti ottenuti dalla sua lista valutato sul 58% dei votanti, corrisponde a poco più del 20% dei cittadini aventi diritto. È ovvio che in democrazia chi si astiene ha torto, ma non è irrilevante sapere che solo un cittadino su quattro è pronto a rivolgersi al Pd; un Pd che, per di più, in queste elezioni ha perso metà dei propri elettori, come afferma Carlo Buttaroni nel riportare su l’Unità l’analisi dei flussi di voti confluiti su di esso.

Il Partito Democratico che ha vinto le elezioni europee è, infatti, un partito molto diverso da quello che «non ha vinto» le elezioni politiche. Il PD di Renzi è un partito dove solo il 52% aveva votato il PD di Bersani. Gli altri voti arrivano da elettori «nuovi» e se il principale affluente del nuovo bacino elettorale nasce da Scelta Civica, un’altra importante quota di voti arriva da chi aveva disertato le urne lo scorso anno.

A lui non interessa definirlo «più di sinistra» o «più di destra», non si può, invece, non rilevare che

i 12 milioni di voti ottenuti dal Pd nelle elezioni politiche del 2008 rapportati alla totalità dell’elettorato rappresentavano il 27%, e, sommati con voti della sinistra e centro-sinistra, raggiungevano oltre il 32%.

Se si considera inoltre che nel profondo nord, specie in città “bianche” come Como e Brescia, Verona e Vicenza, la percentuale di voti al Pd è superiore alla media nazionale possiamo affermare che il partito ha più che dimezzato il suo elettorato di sinistra – pur se in Emilia Romagna hanno tenuto le zone rosse – per diventare espressione di un elettorato moderato deluso dal fallimento del disegno berlusconiano e spaventato dall’incognita grillina.

È ovvio che d’ora in avanti il partito, portato da Renzi a questa straordinaria vittoria, dovrà modellarsi sulle istanze di tale elettorato, più che su quelle dei giovani tra i 15 e i 24 anni, privi di lavoro al 46%, e dei tre milioni e mezzo di disoccupati, in costante aumento negli ultimi anni.

Né certo questo arretramento della sinistra si può considerare compensato dal relativo successo della Lista Tsipras.

Questo, come l’indubbia affermazione del Pd, resta un dato fortemente positivo, ma conferma la debolezza della stessa sinistra già evidente nella scelta di dover assumere il leader greco come referente per sperare di ridurre l’effetto Ingroia. Per di più i voti conquistati sono inferiori alla somma di quelli ottenuti da Rivoluzione civile e da Sel nelle politiche dello scorso anno.

Se l’illusione, che gli eletti grillini si possano spendere per una politica di sinistra, ha subìto un ulteriore colpo con la scelta di Grillo d’imporre a livello europeo l’alleanza con l’euroscettico Nigel Farage leader dell’Ukip, trova conferma la tesi che il potenziale elettorato di sinistra in Italia non ha ancora trovato un gruppo dirigente capace d’interpretarne le istanze traducendole in proposta politica complessiva e aggregante.

D’altro canto se non bastassero i diversi fronti di lotta aperti su obiettivi particolari, locali e nazionali a testimoniarne l’esistenza, tale potenziale, si è espresso nella capacità di mobilitazione e di organizzazione che ha consentito, in breve tempo e senza i mezzi, di portare al successo la lista L’Altra Europa con Tsipras proposta e fortunosamente creata da un comitato di intellettuali. La spinta dal basso di gruppi, associazioni, pezzi di sindacato ha avuto la meglio su personalismi e interessi settoriali, su pretese di primogenitura e pianificazioni di carriere, ma anche su rivendicazioni di identità ideologiche e gelosie culturali.

Questi eterni mali della sinistra hanno, però, preso di nuovo il sopravvento non appena l’elezione di tre parlamentari ha dato concretezza al progetto mentre si va ri-proponendo l’ormai mitico “che fare” questa volta tradotto in tre domande dal sito www.controlacrisi.org.

Secondo te, dopo il 4% della lista Tsipras, come va costruita la Syriza italiana?

1. Sciogliere i partiti politici, dal Prc a Sel, e avviare subito la costituente dal basso con principio “una testa un voto”

2. Dar vita solo ad una federazione tra partiti, associazioni e movimenti

3. In nessun modo, meglio rafforzare i partiti così come sono mantenendo il dialogo a sinistra.

Mentre sul web affluiscono numerose le risposte si è, da un lato, acceso un inatteso e polemico scambio di opinioni su chi degli eletti deve andare a Strasburgo dopo che Barbara Spinelli, pare su sollecitazione dello stesso Tsipras, ha messo in discussione la sua dichiarazione iniziale di volere essere solo una candidata di servizio, dall’altro, si è sviluppato un prevedibile conflitto all’interno di Sel e di Rifondazione sul come rapportarsi con il progetto di dare continuità all’esperienza della Lista.

All’insegna della contrapposizione fra riformismo e rivoluzione, si ripropongono le difficoltà da sempre incontrate quando si tenta di dar vita ad un soggetto rappresentativo delle istanze del popolo di sinistra. Nutrite di opinioni e aspettative diverse, sulla base di analisi e di obiettivi diversi, tali difficoltà hanno un loro fondamento anche nella incapacità di chi è coinvolto nell’impresa a coniugare sistematicamente la politica, come arte del possibile, con la lotta per la costruzione della società ideale, subordinando interessi e aspettative personali al progetto che dice di condividere.

Per superarle non serve la passione del rivoluzionario o la dedizione del missionario, è sufficiente la seria professionalità di chi si propone di onorare l’impegno preso con l’adesione ad un partito o il giuramento formulato nell’assunzione di una carica istituzionale.