Giovanni Franzoni: una vita per la Chiesa di M.Vigli

Marcello Vigli

Un’autobiografia, che non voglia essere una confessione pubblica o un’autocelebrazione, colloca le vicende dell’autore nella storia del suo tempo. Gli anni di vita di Giovanni Franzoni coincidono con quelli in cui il mondo e la chiesa cattolica hanno subito profonde trasformazioni. Non era pertanto facile darne conto. Nel libro Autobiografia di un cattolico marginale emergono, invece, ben integrate la profonda umanità dell’uomo Franzoni, il coinvolgimento nella gestione dell’istituzione ecclesiastica del Giovanni benedettino e abate di San Paolo, la presenza attiva e significava del “cattolico marginale” alla intensa stagione di ricerca vissuta dal cattolicesimo postconciliare per costruire una chiesa altra da quella istituzionale, ed, infine, del cittadino partecipe dal basso alla vita politica di un Paese in profonda crisi di identità democratica.

La narrazione procede piana e scorrevole anche quando affronta i momenti difficili e i nodi intricati che l’autore si trova a raccontare nei primi capitoli muovendo dal suo riconoscersi “moderato” costretto a scoprire sulla sua pelle le contraddizioni e la mondanità della gerarchia ecclesiastica chiamata a guidare la Chiesa che lui si è impegnato a servire: giovane monaco fra gli scouts, rettore di collegio, abate, padre conciliare. A sollecitarlo contribuivano le realtà con le quali era chiamato a misurarsi e ai cui interrogativi non aveva voluto sottrarsi: il ruolo dei fratelli conversi in abbazia; i cappellani militari che legittimavano la guerra; la scomunica dei comunisti aggirata dall’autorizzazione a ricevere i sacramenti, purché in privato, se catto-comunisti; il vaglio dei nuovi preti con il contributo della psicanalisi; la non violenza dopo l’assassinio di Martin Luther King; l’attenzione ai problemi degli operai; i problemi ecclesiologici emergenti in Concilio.

Le conseguenti scelte, spesso contrarie alle posizioni prevalenti nella gerarchia ecclesiastica, definirono il suo modo di stare e di fare nella Chiesa, che ben presto attirò l’attenzione delle superiori autorità. I loro richiami e avvertimenti non lo indussero a cambiare e, in particolare, non lo distrassero dalla scelta di condividere le sue riflessioni, in preparazione delle omelie domenicali, con la comunità costituita di laici, che si riunivano nella “sala rossa” dell’abbazia sollecitati dalla nuova consapevolezza prodotta dall’evento Concilio, prima ancora che dalle nuove formulazioni teologiche, dei suoi documenti.

Questa scelta insieme all’apertura alla cultura “laica” – citava Kant nelle sue omelie – gli consentirono di lasciarsi coinvolgere nella ricerca di autenticità evangelica nella stagione di rinnovamento esplosa nella comunità ecclesiale per l’impatto fra il diffondersi nella base cattolica del messaggio conciliare e la domanda di trasformazione sociale maturata nelle società occidentali fra la fine degli anni sessanta e la morte di Allende, che segnò l’inizio della reazione violenta del sistema.

Il “dissenso” dell’Isolotto si era trasformato in proposta di Altra Chiesa – come recita il titolo di una ricerca condotta per Mondadori nel 1970 da Arnaldo Nesti – nell’esperienza di tante altre Comunità di base fra le quali confluì quella dell’abate Franzoni quando, costretta a lasciare l’abazia in seguito alle sue dimissioni, nel 1973 si trasferì nella sede di via Ostiense diventando la Comunità cristiana di base di san Paolo. In quello stesso anno, come numero speciale del settimanale Com che lo stesso Franzoni aveva contribuito a far nascere, fu pubblicata la sua Lettera pastorale La Terra è di Dio in occasione del giubileo convocato da Paolo VI.

Da allora la vita dell’ex abate, ben presto ridotto anche allo stato laicale, s’identifica con quella della sua Comunità senza esaurirsi in essa. Il libro, nella seconda parte, ne ripercorre le tappe attraverso narrazioni, ricordi, riflessioni, un’ampia selezione di lettere ricevute e inviate, documenti, atti della Curia, che costituiscono il ricco materiale con cui dà conto di questi quarant’anni ricchi di presenze e di esperienze nelle realtà ecclesiale, politica e sociale, italiana e internazionale, nonostante l’emarginazione sistematicamente perseguita dalle autorità e dai media.

Ha scritto libri, di cui si sta curando la edizione integrale, dettato lezioni, tenuto conferenze in convegni nazionali e internazionali, partecipato a titolo personale a dichiarazioni politiche impegnative, assunto ruoli nelle istituzioni locali, ma non è mai mancato alle eucarestie domenicali della Comunità di san Paolo, ha curato la formazione catechistica dei suoi ragazzi ed ha partecipato sistematicamente agli appuntamenti nazionali e internazionali del movimento delle Cdb.

Fare chiesa, costruendo giorno per giorno la comunità, e vivere la città, impegnandosi in politica senza più certezze o ideologie, è il messaggio, che l’autobiografia di questo cattolico marginale affida alle pagine del libro sintetizzandolo nel capitolo conclusivo, in cui si lascia interrogare dalle persone della comunità che in questi anni hanno condiviso con me gli eventi.

Muove dalla constatazione che in questi quarant’anni si è attenuata la fiducia nei cambiamenti derivanti da processi radicalmente innovativi condotti da movimenti o forze politiche pur senza finire in quella che viene detta “antipolitica”, per ripensare l’esperienza comunitaria e farne un bilancio, riconoscendo che chi si propone come riformatore non ha sempre la soluzione ai problemi che si pone.

Negata la interpretazione che le difficoltà incontrate dalle Cdb a far comprendere il loro messaggio siano derivate dall’aver avuto fretta cioè impazienza nel voler applicare subito i principi innovatori del Concilio, l’autore riconosce che piuttosto si è trattato di ingenua fiducia nella disponibilità dei fedeli a lasciarsi coinvolgere nel rinnovamento. Il devozionismo popolare, che si configura come una vera mancanza di fede di cui sono intrisi gli italiani, ha reso difficile promuovere maturazione e responsabilità diffuse, invece, in altri paesi.

E’ necessario quindi sfidare questa religiosità, talvolta contigua ad associazioni criminali, e promuovere gruppi che dal basso ritrovino autenticità evangelica senza finire in nuovi fondamentalismi. Non sono mancati preti come don Puglisi o vescovi come Romero che hanno testimoniato con il loro martirio la difficoltà a rompere certe compromissioni con il potere mafioso e non. La rottura di tali connivenze e del conformismo, che le accompagna, è una discriminante per avviare il cambiamento fondato sulla assunzione da parte dei laici del loro ruolo nella Chiesa, dopo avere riscoperto la sostanza del messaggio evangelico.

In questa prospettiva per le Comunità è stato essenziale riappropriarsi della lettura della Bibbia accompagnata dalla recupero del valore di certe formule e liturgie tradizionali che, se vissute senza furia iconoclasta, raccomanda Franzoni, e fuori di ogni compromissione culturale e politica, garantiscono la continuità nelle relazioni intraecclesiali.

Il crocefisso, ad esempio, può essere assunto, se ci si trova in un contesto liturgico, come simbolo per ricordare e partecipare alle sofferenze del Redentore, ma deve essere bandito dalle aule delle scuole e dei tribunali, dalle corone dei sovrani e dal petto dei prelati per impedirne l’uso blasfemo di simbolo di potere.
Il simbolico nelle Comunità resta parte integrante dell’immaginario collettivo di un’esperienza di fede, non ridotta a mero esercizio intellettualistico, da condividere in nuove forme liturgiche con il popolo delle parrocchie.

Anche la conservazione di ministeri tradizionali degli addetti al culto, alla parola, all’amministrazione, è riconosciuta funzionale alla vita delle Comunità per renderla ordinata nella partecipazione. Si tratta, però, una ministerialità diffusa e plurale affidata a membri designati dall’assemblea non inclusi in ruoli a tempo indeterminato. E’ un adeguarsi alla immagine sottile per concepire il Regno di Dio come sempre prossimo, o addirittura presente, e sempre da raggiungere senza la pretesa di diventare modello da proporre/imporre ad altri.

A conclusione di questa ricostruzione del cammino delle Comunità, all’interlocutore che gli chiede se vede un futuro plausibile, concreto, per la nostra testimonianza e per il movimento in generale Franzoni risponde citando un giudizio del pastore valdese Giorgio Girardet – fin dai primi tempi attento al cammino del movimento delle Cdb – che dopo averlo riconosciuto al di là delle confessioni e delle denominazioni religiose ….ha detto precisamente “Questo è come sarà la Chiesa” .

Giovanni Franzoni, Autobiografia di un cattolico marginale, Rubbettino editore, Soveria Mannelli, 2014