Il governo venezuelano alla prova più difficile. E la disinformazione dilaga

Claudia Fanti
Adista Notizie n. 22 del 14/06/2014

Per la rivoluzione bolivariana, si tratta forse della battaglia più difficile mai combattuta dal colpo di Stato dell’aprile del 2002. È la battaglia contro il caos in cui l’opposizione vuole trascinare il Paese; contro atti di violenza divenuti più sporadici, ma anche più mirati; contro la paralisi del dialogo di pace avviato il 10 aprile scorso e sospeso il 13 maggio per decisione della Mud (Mesa de Unidad Democrática, la coalizione dei partiti di opposizione divisa tra una corrente più moderata e una più radicale e violenta, appoggiata e finanziata da settori degli Stati Uniti e della Colombia); contro le pesanti difficoltà economiche, sicuramente aggravate dalla burocratizzazione e dalla corruzione che affligge permanentemente il processo rivoluzionario; contro una martellante campagna di discredito promossa dai mezzi di comunicazione nazionali e internazionali.

Addirittura, contro un piano per uccidere il presidente e provocare il collasso del Paese, denunciato da Nicolás Maduro con tanto di documenti, testimonianze e nomi di cospiratori (a cominciare da quello di María Machado, massima esponente, insieme a Leopoldo López, dell’ala più estremista, e in prima fila già durante il colpo di Stato del 2002), ma preso assai poco sul serio sul piano mediatico, dove ha trovato più ascolto chi, come il due volte candidato (sconfitto) dell’opposizione Henrique Capriles, ha sentenziato che Maduro «inventa storie per coprire la débâcle economica».

Eppure, se un golpe di tipo continua ad apparire pressoché impossibile a causa tanto della diffusa lealtà delle forze armate quanto del sicuro rifiuto internazionale, un piano per estendere la violenza e l’instabilità potrebbe aprire la strada, evidenzia Aram Aharonian (Rebelión, 3/6), a quello “scenario libico”, con successivo intervento straniero, a cui chiaramente aspira l’opposizione più radicale, stanca di subire, come nota Modesto Emilio Guerrero (Aporrea, 14/5), la maggiore quantità di sconfitte elettorali (17 su 18) «mai registrate da forze di destra in questo pianeta».

Un governo in affanno

Non mancano sicuramente errori da parte del governo. La persistente scarsità di beni primari intacca la popolarità di Maduro tra la popolazione, meno disposta di prima ad attribuirne la responsabilità alla “guerra economica” (come è stata chiamata la strategia di destabilizzazione portata avanti dalla destra attraverso l’accaparramento di prodotti di prima necessità e la fuga di capitali), sebbene, evidenzia Luismi Uharte (Rebelión, 30/5), ancora legata, affettivamente e simbolicamente, all’immaginario della rivoluzione. «Il costante aumento dei prezzi – sottolinea Uharte – sta provocando una perdita rilevante del potere d’acquisto in ampie fasce della popolazione», non adeguatamente compensata dai periodici aumenti salariali: neppure l’incremento del 30% del salario minimo deciso il primo maggio è riuscito a tenere il passo della «tremenda inflazione», giunta quasi al 100% nel settore alimentare. Se, come è noto, ciò è dovuto in gran parte all’accaparramento di prodotti promosso dalle destre al fine di provocare difficoltà di approvvigionamento («le lunghe code all’ingresso dei supermercati, oltre al simbolico impatto visivo, sono parte dell’“effetto discredito”» perseguito dall’opposizione), molto meno comprensibile, secondo Uharte, è «che manchino, per esempio, gli alimenti della rete statale Mercal e che poi appaiano nel mercato nero» o che migliaia di tonnellate di alimenti e benzina attraversino ogni settimana la frontiera con la Colombia: un fatto «assolutamente impossibile senza la complicità di funzionari dello Stato». Quei funzionari che, denunciano Humberto Trómpiz Valles e Minnori Martinez (Aporrea, 21/05), appaiono unicamente e spudoratamente impegnati a consolidare le proprie posizioni di potere nell’amministrazione pubblica.

E qualche dubbio, tra la popolazione, esiste pure, secondo Uharte, riguardo all’intenzione del governo di stringere un patto nazionale con la “borghesia produttiva”, potendo interpretarsi la mano tesa agli imprenditori tanto «come un ripiego tattico che consenta di ristrutturare l’economia» quanto come «una rinuncia all’orizzonte socialista». In molti, del resto, pensano che il dialogo di pace sia un sintomo di debolezza da parte del governo Maduro, a cominciare dall’ex vicepresidente José Vicente Rangel: difficile, ha detto, «sedersi intorno a un tavolo quando di fronte a te c’è qualcuno che ha il pugnale nella manica o è pronto a ribaltare il tavolo in qualsiasi momento. Il dialogo non può procedere in un tale clima di incertezza e di dubbi» (Rebelión, 2/5).

Ma a favore del presidente giocano, da un lato, proprio le violente azioni della destra radicale, rigettate dalla stragrande maggioranza della popolazione, e, dall’altro, gli ancora alti investimenti sociali del governo, a cominciare dallo straordinario impulso dato alla Misión Vivienda, il piano bolivariano sulla casa. Un segnale incoraggiante, a giudizio di Uharte, viene anche dalla crescita costante delle comuni, una delle proposte più rivoluzionarie di cambiamento “dal basso”, finalizzata a coniugare la dimensione politica del “potere popolare” con quella economica della creazione di imprese di proprietà sociale, al di fuori del modello capitalista della proprietà privata. Un segnale tanto più importante in quanto – malgrado la Costituzione bolivariana contempli vari tipi di proprietà rispetto ai mezzi di produzione – a imporsi è stata nei fatti la convivenza di proprietà privata e di proprietà statale: come sottolineano Humberto Trómpiz Valles e Minnori Martínez, «l’appropriazione dei mezzi di produzione da parte dei lavoratori e delle comunità resta un compito irrisolto di questa rivoluzione». E non c’è da sorprendersene, considerando che, nota Aharonian, «il Venezuela è un Paese capitalista con un governo popolare e anti-imperialista impegnato a portare avanti un progetto di transizione al socialismo ancora ben lungi dal realizzarsi».

Disinformazione globale

Sembra invece perduta la battaglia informativa a livello internazionale, con i grandi mezzi di informazione che continuano imperterriti ad attribuire al governo bolivariano le violenze commesse invece dalle forze dell’opposizione più radicali: è su queste che ricade la responsabilità della massima parte delle oltre 40 persone uccise – agli inizi di maggio è stato il turno di un uomo della scorta di Maduro e di un personaggio centrale del movimento bolivariano come Eliécer Otaiza, vicinissimo a Hugo Chávez fin dal 1994 – e delle oltre 600 ferite, oltre che degli immani danni materiali prodotti da blocchi stradali, saccheggi, incendi e devastazioni di edifici pubblici, sedi ministeriali, metropolitane, università, centri medici, fino all’estremo di avvelenare un deposito di acqua potabile a Mérida e di appiccare il fuoco a un asilo con 75 bambini dentro. Atti di vandalismo e di terrorismo i cui responsabili – arrestati, processati e condannati dalla giustizia venezuelana nel pieno rispetto delle garanzie costituzionali – vengono presentati dalla stampa internazionale come giovani studenti indifesi che scendono in piazza per rivendicare i propri diritti democratici contro un governo dispotico.

E ciò a fronte del ben diverso trattamento informativo riservato, ricorda Salim Lamrani (Opera Mundi, 21/5), a casi come quello dell’arresto arbitrario di pacifici manifestanti da parte della polizia di New York nel 2011 o della polizia di São Paulo nel febbraio del 2014 (o, per passare alle vicende di casa nostra, dei militanti No Tav. E, sempre rimanendo a casa nostra, tra innumerevoli altri casi di disinformazione, si può almeno indicare lo speciale sul Venezuela trasmesso da “Di mattina” su Rainews 24, condotto da Emanuela Bonchino con la presenza dell’inviata di Rainews Liana Mistretta e della giornalista venezuelana Marinellys Tremamunno: lo si può rintracciare nell’archivio video del sito www.rainews.it).

Una campagna di disinformazione, quella promossa dai grandi mezzi di informazione – e pienamente accreditata dalla gerarchia ecclesiatica, v. Adista Documenti n. 15/14 – che ha pienamente centrato l’obiettivo, essendo riuscita, nota Modesto Emilio Guerrero, «a convincere mezzo pianeta che in Venezuela esiste una dittatura assassina» e che non c’è libertà di stampa (malgrado nel Paese, su circa 2.900 mezzi di informazione esistenti, più di 2.300 siano in mani private): «Molti – sottolinea ancora Guerrero – sono convinti che i morti siano tutti oppositori», così come ignorano che, nelle poche azioni di violenza riconducibili allo Stato, il governo ha già provveduto a punire i responsabili.

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USA e Venezuela: sanzioni e illusioni

Fabrizio Casari
www.altrenotizie.org

Mercoledì scorso, il Congresso degli Stati Uniti ha approvato un progetto di legge a firma di Ileana Ros Lehtinen, contenente una serie di misure ostili al Venezuela. Chi è questa signora? Conosciuta come “la lupa feroce” è parte importante del braccio politico e legislativo della Fondazione Nazionale Cubano-Americana e risponde alle lobbies di Miami composte dai fuggitivi causa socialismo di Cuba, Nicaragua e Venezuela.

Controlla il flusso di voti di destra in Florida e New Jersey, due stati chiave per vincere o perdere le elezioni presidenziali e spinge ogni disegno di legge e ogni iniziativa terroristica contro Cuba in particolare e contro i paesi democratici latinoamericani in generale.

Tra i suoi migliori amici figura l’assassino e terrorista Luis Posada Carriles, per il quale aprì persino un apposito fondo finanziario per pagare la difesa legale nel suo processo-farsa per immigrazione clandestina negli Stati Uniti. L’establishment di Washington non ha una grande considerazione della deputata cubanoamericana ma il suo peso elettorale non può essere ignorato. Sostenitrice senza sosta della famiglia Bush, è in prima fila per cercare di portare l’ulimo della nidiata, Jeb Bush, alla Casa Bianca.

Il suo riferimento costante, quando si tratta di legiferare sull’America latina non devota a Washington, è la legge Helms-Burton, cioè il concentrato di pirateria internazionale che estende le già illegali sanzioni contro Cuba a tutti i paesi del mondo che con Cuba si relazionano. Dalla sua nascita, l’obbrobrio legislativo ha bisogno del reiterato veto presidenziale a diversi paragrafi della legge, per evitare sanzioni e misure di reciprocità da parte del resto del mondo contro gli Stati Uniti

Un progetto simile a quello del Congresso è stato presentato anche al Senato, a firma del senatore democratico Bob Melendez e del repubblicano Marco Rubio, entrambi eletti in Florida con il voto della gusaneria cubano americana. Ci sono state opposizioni, in particolare quella di 14 deputati democratici, che con l’invio di una lettera al Presidente Obama si sono dichiarati contrari ad introdurre sanzioni contro Caracas. Entrambi i progetti di legge potrebbero essere armonizzati in un unico testo prima di essere inviato alla scrivania del presidente, che potrebbe comunque porre il veto e rifiutarsi di firmare.

In entrambi i testi viene previsto il blocco delle proprietà e il divieto di entrata negli Stati Uniti per i funzionari governativi venezuelani “che hanno violato i diritti umani ” durante gli scontri tra le forze di sicurezza e i guarimberos della destra in corso da Febbraio ad oggi. Inoltre, il disegno di legge prevede il divieto di trasferimento di “dispositivi tecnologici che possono essere utili per il controllo e la repressione” e, soprattutto, stabilisce l’invio di un “aiuto finanziario alla società civile”.

Questo progetto rappresenta una nuova tappa negli Stati Uniti la politica ingerenti sta nei confronti del Venezuela e segue lo stesso percorso di altre leggi che negli ultimi 30 anni sono stati approvate per cercare giustificazioni giuridiche e legislative per le attività di sovversione statunitensi in America Latina .

Mentre è pura propaganda ideologica fa il divieto di ingresso negli Stati Uniti di funzionari governativi presunti responsabili di violazioni dei diritti umani, l’aspetto di sostanza sono i finanziamenti richiesti per sostenere la destra, impropriamente chiamata “società civile”.

La richiesta di fondi statali USA, infatti, indica la volontà di mettere a bilancio, cioè sulle spalle dei contribuenti, il denaro finora fornito dalle organizzazioni come la NED e USAID, nonché enti governativi travestiti da ONG che si sono sommati ai fondi occulti erogati direttamente dalla CIA e da imprenditori locali in accolita con settori dell’imprenditoria colombiana.

Finora la Casa Bianca non sembra essere intenzionale ad appoggiare i due progetti di legge. Il Sottosegretario di Stato per l’America Latina, Roberta Jacobson, ha detto che “non è il momento” e ha sottolineato come l’ultima parola spetta al presidente Obama che, volendo, anche avrebbe potuto applicare sanzioni contro il Venezuela anche in assenza di una legge specifica. Pertanto, suggerisce la Jacobson, se non l’ha fatto è perché non considera utile, in questo momento, una strada di questo tipo nel confronto con Caracas.

Dunque Obama non firmerà la legge? “Se Obama vuole bloccarla, il leader democratico Harry Reid può evitare di sottoporla al voto del Senato, cosa molto più facile e più tranquilla del veto presidenziale”, ha detto Mark Weisbrot, co-direttore del Centro di analisi, politica e ricerca economica .

La Jacobson, in un commento alla stampa, ha detto che “ciò che accade in Venezuela non ha nulla a che vedere con le relazioni bilaterali tra Caracas e Washington, ma è piuttosto una questione tra venezuelani” pur esprimendo dubbi circa la possibilità che il Segretario di Stato John Kerry possa incontrare il Cancelliere venezuelano Jaua al margine dell’assemblea OSA che si svolge questa settimana ad Asunciòn, in Paraguay.

Sebbene nella stessa occasione lo scorso anno l’incontro tra i due ebbe luogo in Guatemala, secondo la Jacobson “ora i due paesi non sono nella stessa punto”. Inoltre, come previsto, ha respinto le accuse del governo bolivariano contro l’ambasciatore statunitense in Colombia, Kevin Whitaker, socio dell’ex presidente colombiano Uribe, istigatore dei paramilitari e anima nera della congiura contro il Venezuela .

Obama è conscio che le sanzioni produrrebbero un netto rifiuto da parte della comunità latinoamericana e del Vaticano, impegnati nella difficile mediazione tra il governo bolivariano e la destra nella Mesa de dialogo nacional. E’ poi necessario considerare che Washington continua ad avere dal Venezuela circa il 23% del suo fabbisogno energetico; dunque inasprire la tensione può rivelarsi controproducente.

Obama è freddo verso l’opzione delle sanzioni, comprendendo bene come sarebbe illusorio pensare di piegare il Venezuela misure inutili e odiose, che andrebbero incontro solo a critiche internazionali. Ha chiaro che, come nel caso di Cuba, una escalation di sanzioni, un blocco persino, non avrebbe alcun effetto significativo per il cambiamento di regime politico che auspica Washington e servirebbe solo a ricompattare ancora più i venezuelani in difesa della loro sovranità nazionale.

Porre sanzioni, infine, potrebbe spingere ulteriormente Caracas verso l’intensificazione delle relazioni con Russia, Cina e Iran, fino a far intravvedere una vera e propria possibile partnership commerciale e militare. Un incubo per la Casa Bianca che ben vale il rifiuto di una firma presidenziale all’isterìa di una destra a caccia di vendette.