Katholikentag: la grande kermesse tedesca, “ponte” affollato fra cattolici e chiesa

Ludovica Eugenio
Adista Notizie n. 22 del 14/06/2014

Una ventata fresca, una partecipazione entusiasta, un bilancio positivo e ottimistico: questo è stato lo spirito con cui si è svolto a Ratisbona, dal 28 maggio al 1° giugno, il 99° Katholikentag, il più importante e storico convegno nazionale cattolico in Germania. Cinque giorni incentrati sul tema “Costruire ponti con Cristo”, durante i quali si sono affrontate moltissime questioni – dalla morale familiare a questioni finanziarie –, che hanno visto il dispiegarsi di un migliaio di eventi, tra cui circa 100 dedicati all’ecumenismo, nonché la partecipazione di 30mila persone per tutta la durata dell’evento più alcune altre decine di migliaia nei vari giorni, e l’intervento di molti personaggi di spicco del mondo cattolico e politico, dal presidente della Repubblica Federale, Joachim Gauck, già parroco in una Chiesa evangelica (che ha invitato le comunità religiose ad aumentare gli sforzi per la comprensione reciproca e il dialogo), alla cancelliera Angela Merkel, al card. Reinhard Marx, “stella” dell’episcopato tedesco e non solo.

Arcivescovo di Monaco e Frisinga, neopresidente della Conferenza episcopale tedesca (v. Adista Notizie n. 11/14), Marx è tra i più stretti collaboratori di papa Francesco (fa parte del consiglio degli otto cardinali ed è a capo del Consiglio per l’economia, di recente creazione) e presidente della Comece, la commissione dei vescovi dell’Ue. Il suo personale bilancio sul Katholikentag, occasione unica per il cattolicesimo tedesco per favorire il dialogo tra anime profondamente diverse, è entusiastico: «Il Katholikentag stesso è la costruzione di un ponte», ha detto in un’intervista al Münchener-kirchennachrichten.de (1/6). «Vi si ritrovano i gruppi più disparati, lo si nota nei numerosi stand, nei forum, dove le posizioni si incontrano e si scontrano, ma dove nonostante tutto c’è una sintonia. Lo si vede nelle celebrazioni, con le diverse forme di devozione. Il Katholikentag in sé è un ponte, dove i cattolici convergono e in un certo senso si riconciliano gli uni con gli altri e si incoraggiano reciprocamente a costruire ponti verso l’esterno».

Il concetto è stato ribadito da molti intervenuti: dal presidente del Comitato centrale dei cattolici tedeschi (Zentralkomitee der deutschen Katholiken, ZdK), Alois Glück, ma anche dal vescovo di Ratisbona, mons. Rudolf Voderholzer, il quale ha ribadito che è compito dei cristiani superare fossati e abbattere muri. Ma forte è stato anche il richiamo a vivere nella quotidianità i valori cristiani: «Per la nostra politica questo indica una chiara affermazione a favore della difesa della vita, della giustizia sociale, della sostenibilità, ma anche la difesa di simboli cristiani nell’ambito pubblico», ha sottolineato il presidente del Consiglio dei ministri della Baviera Horst Seehofer (Csu), affermando persino che, nel dibattito sui simboli cristiani nei luoghi pubblici, «la croce è parte della Baviera e della Germania». Concetto, questo, ribadito dalle parole preoccupate di Merkel, per la quale nella vita delle persone manca qualcosa se non si crede più nell’esistenza di risposte ultime; consapevole, però, del fatto che la Chiesa non è più quella di un secolo fa, con una immagine culturale-religiosa compatta, ha sottolineato che in Europa la Chiesa continua ad essere un corpo giovane, vivo e vitale.

Positività ed ottimismo è stato espresso anche dal presidente dell’Evangelischen Kirchentag (il Convegno nazionale evangelico) Andreas Barner, che ha valutato favorevolmente l’impegno ecumenico del Katholikentag, rinviando ad un appuntamento importante, quello del giubileo della Riforma del 2017, data essenziale per la Chiesa evangelica, ma anche per i cattolici, e annunciando un terzo Kirchentag ecumenico nel 2021.

Il dibattito sull’eutanasia e sulla morale

Un tema cui è stato dedicato ampio spazio è stato quello dell’eutanasia. In un’intervista a due voci sul quotidiano bavarese Süddeutsche Zeitung (30/5), si è delineata una sostanziale omogeneità di vedute tra il card. Marx, per il quale è opportuno che si indaghino i veri motivi che possono spingere all’autodeterminazione in caso di malattie incurabili (per esempio, ha detto, la paura della solitudine e del dolore, con la conseguente necessità di investire di più nella medicina palliativa), e il presidente dello Zdk Glück: non si tratta solo del “diritto all’autodeterminazione”, ha detto quest’ultimo. Se il suicidio diventasse un atto considerato scontato, ciò cambierebbe radicalmente la situazione degli ammalati gravi. Per questo motivo, ha ribadito Marx, il legislatore è tenuto a prendere come punto di riferimento il più debole.

Sul tema della morale sessuale, i due hanno mostrato posizioni in parte divergenti: se per Glück la posizione della Chiesa può risultare per molti sempre più superata, Marx ha sottolineato che non è intenzione della Chiesa stilare un catalogo di divieti, quanto piuttosto di offrire suggerimenti positivi. Se, ha detto, il desiderio di due persone che si sposano è quello di costruire un rapporto che duri nel tempo, la Chiesa deve offrire un modello di vita che permetta di raggiungere questo obiettivo; entrambi concordano però sul fatto che sarebbe un errore interpretare i messaggi del papa attendendosi grandi rivoluzioni.

I diritti degli omosessuali

Nessuna pietà ma riconoscimento: è quanto hanno chiesto i gay cattolici al Katholikentag, come rilevato da Nils Rusche, coordinatore della rete KjGay della Katholische Jungen Gemeinde. L’atteggiamento della Chiesa è contraddittorio, ha detto: «Da qualche parte si viene accolti con amore, altrove si sbatte contro un muro». Da un lato «l’istituzione con i suoi divieti, niente sesso prima del matrimonio, niente mezzi contraccettivi artificiali, il peccato dell’omosessualità praticata. Dall’altro la vita dei cattolici, e in mezzo un profondo fossato, quello dell’incomprensione, dei reciproci rimproveri e anche del potere autoritario». Ora, alle porte del Sinodo sulla famiglia, il fossato tra le due realtà è stato accertato ufficialmente, grazie ai risultati del Questionario inviato alle diocesi di tutto il mondo. Un fossato che coinvolge soprattutto i giovani: «Sappiamo bene dove si pongono le differenze tra i giovani e la Chiesa”, ha affermato Eva-Marie Düring, direttrice del Kjg: «Contraccezione, sesso fuori dal matrimonio, omosessualità. Forse però si riesce anche a trovare qualcosa in comune», e cioè «un’alta concezione di valori nei giovani, che la Chiesa deve aiutare e sostenere nella loro strada». Tre giovani su quattro desiderano una convivenza duratura, la percentuale di coloro che desiderano avere dei figli aumenta.

«Le cose si muovono», ha affermato fiducioso Nils Rusche, il quale ritiene che la Chiesa debba «abbandonare l’idea che solo una forma di relazione sia l’unica vera», e che gli omosessuali non hanno bisogno di compassione, ma di riconoscimento, che le loro relazioni possano essere positive come quelle eterosessuali. Per arrivare a quel punto occorrerà ancora lottare, anche se ora c’è, per i gay credenti, la possibilità di scambiare esperienze: cosa impensabile fino a dieci anni fa.

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Katholikentag: l’effetto Francesco e il tema della povertà nella ricca Germania

Ludovica Eugenio

Che al Katholikentag si sia respirato un “effetto” Francesco, è fuor di dubbio e lo ha confermato anche l’arcivescovo di Monaco, card. Reinhard Marx: «Se ogni giornalista me lo chiede, evidentemente questo effetto dev’esserci stato. Tutti si interrogano su questo, tutti ne parlano. Nelle tavole rotonde, ma anche bevendo una birra o durante i pasti, in quasi ogni discorso il papa è stato uno degli argomenti. C’era un vento favorevole che spirava da Roma, poiché la grande maggioranza dei cattolici e anche dei non cattolici vedono positivamente questo papa».

Tuttavia, al di là del clima generale e della “ventata fresca” che ha permeato tutto l’evento, anche nel programma e nelle discussioni, le priorità espresse da Bergoglio si sono fatte sentire, in particolare nel discorso della Chiesa povera per i poveri, che, ha affermato Marx, «è una salutare provocazione per una Chiesa imborghesita». Ciò non toglie che Marx abbia difeso l’importanza di una solida protezione del patrimonio della Chiesa. A differenza degli Stati, ha detto, la Chiesa non può fare debiti a spese delle future generazioni, ma deve garantire in maniera durevole il sostegno economico per i suoi collaboratori, per gli edifici e i beni culturali. Per quanto riguarda il patrimonio del papa, Marx ha detto di aver sostenuto, anche in sede di Consiglio vaticano per l’Economia, il perseguimento di tre obiettivi: servire all’annuncio, aiutare i poveri e assicurare un sostegno materiale ai collaboratori. Ma a Ratisbona numerose – era prevedibile – sono state le proteste espresse ad alta voce quando Marx ha detto di aver molto sofferto durante i mesi in cui era esploso lo scandalo delle spese faraoniche del palazzo vescovile di Limburg (v. Adista Notizie nn. 4, 7 e 14/14): la Chiesa, ha replicato Marx, deve imparare a presentare in maniera più credibile la sua posizione sulla questione del patrimonio ecclesiastico.

Al di là della questione Limburg, è evidente in ogni caso che la Chiesa tedesca sta soffrendo una sorta di senso di colpa per la propria condizione di Chiesa ricca, quando invece i discorsi del papa vanno in un’altra direzione. Ecco perché al Katholikentag si è molto parlato di denaro e di povertà, abbracciata e condivisa ma percepita nella difficoltà di una concreta applicabilità: come può la Chiesa tedesca farsi povera nel senso auspicato da Francesco? Significativa la battuta dell’esperto di Diritto canonico Thomas Schüller: «Posso immaginare il momento in cui, nella Cappella Sistina, fu chiesto a papa Francesco: “Quale nome vuole darsi?”. E lui disse: “In onore di san Francesco d’Assisi, scelgo il nome Francesco”. Allora ho capito: questa la dovremo mandar giù. E in senso buono».

Un boccone difficile per una delle Chiese più ricche del mondo: «Diversi anni fa camminavo per le strade di Ratisbona – racconta Schüller – con il vicario generale di allora, che mi diceva: quello è nostro, quello è nostro, quello è nostro, sì, e quello è della principessa, quello è nostro, quello è della principessa… Se noi dovessimo rendere pubblico tutto questo in maniera trasparente, diventerebbe chiaro quanto sia ricca la Chiesa». Di conseguenza, Schüller consiglia più controlli finanziari dall’esterno uniti ad una maggiore sobrietà da parte dei vescovi: «Che i loro stipendi non siano insomma un’immutabile “verità di fede”». Alla fine, spiega il canonista, si tratta di una questione di potere: «Chi dispone di denaro, decide quali sono le priorità di contenuto». Gli ha fatto eco il vicario generale dell’Assia, mons. Klaus Pfeffer: «Qui possiamo dire meravigliosamente: la Chiesa deve rinunciare a questo denaro e dare il denaro ai poveri. Ma noi prendiamo il denaro da qualsiasi parte. E la Chiesa siamo noi. Tutti, allora, sono coinvolti, forse anche persone che sono qui con la loro comunità. Non ho ancora sentito nessuno dirmi: può togliere un po’ a noi e dare agli altri, non lo fa nessuno. Tutti vogliono avere».

La povertà, dunque in Germania è prima di tutto una sfida spirituale, «è una spina nella nostra carne il fatto che abbiamo ancora così tanti poveri. Questo dovrebbe davvero farci male», ha detto mons. Leonardo Steiner, segretario generale della Conferenza episcopale brasiliana e francescano. L’opzione per i poveri, secondo Steiner, ha in America Latina inevitabilmente una dimensione politica, ma può essere “utilizzabile” anche nel ricco Occidente: «Al giorno d’oggi – ha detto – penso che la Teologia della Liberazione debba essere più teologia della relazione. Ho proprio l’impressione che le nostre relazioni siano “frantumate”. Perché tanta violenza? Perché i poveri non sono inseriti nelle nostre comunità? Perché non hanno alcuna chance? La risposta è: perché le nostre relazioni sono frantumate. In questo senso sono convinto che la nostra Teologia della Liberazione possa ancora essere molto utile».