Nasce il governo Fatah-Hamas. Netanyahu ordina la ritorsione

Michele Giorgio
Il Manifesto, 2 giugno 2014

“Oggi ter­mina la divi­sione pale­sti­nese. E’ nostro inte­resse avere un governo di unità nazio­nale». Sono state que­ste ieri le prime parole del pre­si­dente dell’Anp Abu Mazen al ter­mine della ceri­mo­nia di giu­ra­mento del nuovo governo di con­senso nazio­nale. Un ese­cu­tivo tec­nico prov­vi­so­rio, for­mato da 17 mini­stri indi­pen­denti, gui­dato dal pre­mier Rami Ham­dal­lah, che avrà come com­pito prin­ci­pale quello di por­tare alle urne i pale­sti­nesi di Cisgior­da­nia, Gaza e Geru­sa­lemme Est. Dopo anni di divi­sione e duro scon­tro, i movi­menti Fatah e Hamas, hanno ricom­po­sto la frat­tura che per sette lun­ghi anni ha lace­rato la poli­tica e la società pale­sti­nese e con­tri­buito ad inde­bo­lire, per la sete di potere di entrambi, le aspi­ra­zioni di un intero popolo.

Hamas si è feli­ci­tato per for­ma­zione del nuovo ese­cu­tivo. «E’ il governo dell’intero popolo pale­sti­nese», ha detto il suo por­ta­voce Sami Abu Zuhri. Sullo stesso tono i com­menti giunti da altri diri­genti del movi­mento isla­mico. Hamas dopo giorni di trat­ta­tive ha rinun­ciato al dica­stero degli esteri che avrebbe voluto per Ziad Abu Amr, un docente di scienze poli­ti­che dell’università di Bir Zeit che nel 2006 aveva avuto, per un breve periodo, que­sto inca­rico nel governo di Hamas. Alla fine l’ha spun­tata Abu Mazen che ha ricon­fer­mato il mini­stro uscente Riad al Malki, gra­dito alle diplo­ma­zie occi­den­tali. Non solo. Il movi­mento isla­mico ha rinun­ciato anche alla for­ma­zione del mini­stero per i pri­gio­nieri che pure è stata per set­ti­mane una delle sue richie­ste prin­ci­pali. Iso­lati dall’Egitto gol­pi­sta, vit­time indi­rette della cam­pa­gna con­tro i Fra­telli Musul­mani sca­te­nata dall’Arabia sau­dita (sfo­ciata nell’isolamento del Qatar, lo spon­sor finan­zia­rio della Fra­tel­lanza), gli isla­mi­sti pale­sti­nesi hanno evi­den­ziato un debole potere con­trat­tuale. Hamas comun­que ha otte­nuto che il con­trollo di sicu­rezza a Gaza resti, almeno per ora, nelle sue mani, anche se il valico di Rafah con l’Egitto tor­nerà ad essere gestito dalla guar­dia pre­si­den­ziale di Abu Mazen. Il pre­mier isla­mi­sta Ismail Haniyeh, rima­sto in carica per sette anni dopo la presa del potere di Hamas a Gaza, ieri ha annun­ciato il dis­sol­vi­mento del suo governo. Per lui è pronto l’incarico di spea­ker del Con­si­glio Legi­sla­tivo dell’Anp, rima­sto inat­tivo per tutto que­sto tempo.

E’improbabile tut­ta­via che il par­la­mento dell’Anp possa ripren­dere ad ope­rare a pieno ritmo prima delle ele­zioni poli­ti­che e pre­si­den­ziali che, nelle inten­zioni pale­sti­nesi, dovreb­bero tenersi entro la fine del 2014. I depu­tati saranno costretti a tenere sedute in video­con­fe­renza, a causa delle restri­zioni ai movi­menti dei pale­sti­nesi tra Gaza e Cisgior­da­nia, attuate dalle auto­rità israe­liane. Senza dimen­ti­care che dopo il 2006 (anno della vit­to­ria elet­to­rale di Hamas) l’esercito di Israele ha arre­stato gran parte dei par­la­men­tari del movi­mento isla­mico (e non solo) resi­denti in Cisgior­da­nia, incluso lo spea­ker Aziz Dweik.

Se la ricon­ci­lia­zione Fatah– Hamas sarà di lungo respiro, defi­ni­tiva, potrà dirlo solo il tempo. Troppe sono le pul­sioni interne e le pres­sioni esterne sui lea­der poli­tici delle due parti. A sini­stra i sen­ti­menti sono con­tra­stanti. Il Fronte popo­lare per la libe­ra­zione della Pale­stina per anni ha lavo­rato alla ricon­ci­lia­zione nazio­nale, quindi guarda con favore alla ricom­po­si­zione della frat­tura tra Cisgior­da­nia e Gaza. Allo stesso tempo cri­tica gli obiet­tivi di un ese­cu­tivo che non si sgan­cia della coo­pe­ra­zione di sicu­rezza con Israele e dalle con­di­zioni poste da Stati Uniti ed Europa. «Un governo pale­sti­nese di vera unità nazio­nale deve pun­tare ad avere una piat­ta­forma poli­tica rico­no­sciuta e accet­tata da tutto il nostro popolo nei Ter­ri­tori occu­pati e in esi­lio e non cer­care il con­senso degli Usa», ci spie­gava ieri una diri­gente del Fplp, che ha chie­sto di rima­nere ano­nima, non man­cando di rivol­gere cri­ti­che ad Hamas: «Per anni ha esal­tato la resi­stenza e ora sostiene un governo che con­ti­nuerà la coo­pe­ra­zione con i ser­vizi segreti di Israele».

Benya­min Neta­nyahu è furioso. La ricon­ci­lia­zione nazio­nale pale­sti­nese non lo fa dor­mire la notte. Si rende conto che Hamas potrebbe otte­nere qual­che forma di legit­ti­ma­zione indi­retta, soprat­tutto in Europa. Per que­sto ha subito annun­ciato una serie di misure puni­tive, tra le quali l’interruzione di ogni con­tatto e il blocco dei fondi pale­sti­nesi. Israele inol­tre riterrà respon­sa­bile l’Anp per ogni razzo spa­rato da Gaza. Più di tutto Neta­nyahu dome­nica e ieri ha rivolto avver­ti­menti minac­ciosi alla “comu­nità inter­na­zio­nale”, ammo­nen­dola dall’offrire qual­siasi forma di rico­no­sci­mento al nuovo ese­cu­tivo pale­sti­nese. Parole rivolte anche agli alleati ame­ri­cani che da un lato, per bocca del segre­ta­rio di stato John Kerry, si dicono vicini alla linea dura espressa da Israele e dall’altro non hanno ancora preso una deci­sione defi­ni­tiva. Deci­sione che potrebbe essere presa oggi se, come annun­ciato, Kerry incon­trerà ad Amman Abu Mazen che , da parte sua, ripete che il nuovo governo rico­no­scerà Israele e gli accordi fir­mati in passato.

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Il sostegno Usa al governo palestinese fa infuriare Tel Aviv

Roberto Prinzi
Nena News

Il sostegno di Washington al governo di unità nazionale palestinese proprio non è andato giù ad Israele. L’ultimo in ordine di tempo a manifestare il suo disappunto è il Ministro delle Comunicazioni Gilad Erdan, membro del Gabinetto della Sicurezza e uomo molto vicino al Premier Netanyahu. “Purtroppo – ha dichiarato Erdan – l’ingenuità americana ha superato tutti i record. Qualunque collaborazione con Hamas che uccide donne e bambini è inaccettabile. La capitolazione americana può solo danneggiare le possibilità di ripristinare i negoziati di pace”.

Erdan, però, ha memoria corta. Dimentica ad esempio che nei mesi di “trattative” Israele ha annunciato la costruzione di più di un migliaio di unità abitative in Cisgiordania (illegali per la legge internazionale), ha ucciso più di 60 palestinesi e demolito 508 strutture palestinesi di cui 312 case. Così come non ricorda che è stata proprio Tel Aviv a far saltare i “colloqui di pace” lo scorso aprile quando ha stabilito di non liberare l’ultima tranche di prigionieri palestinesi, condizione indispensabile per iniziare gli “incontri di pace”. Lo stato ebraico aveva poi posto una nuova condizione: rilascio sì dei “terroristi” ma a patto che i colloqui vadano oltre il termine fissato di fine aprile. La risposta palestinese era stata (stranamente) unanime e audace: richiesta di adesione a 15 enti e trattati internazionali, no secco a qualunque estensione degli incontri, ma soprattutto l’annuncio “shock”: la riconciliazione tra Fatah e Hamas dopo anni di lotte per accaparrasi quel po’ che rimane di Palestina.

Un governo che, come tradizione palestinese insegna, ha visto finalmente luce ieri dopo non poche difficoltà. Un lavoro complicato per il Presidente Abbas pressato da Tel Aviv, dai nemici/fratelli di Hamas e dai donatori occidentali (americani in testa) ma che tuttavia sembra (al momento) convincere Washington.

“Per ora sembra che il Presidente Abbas abbia formato un governo ad interim di tecnici escludendo Ministri affiliati ad Hamas” ha detto ieri ai giornalisti Jen Psaki, portavoce del Dipartimeno di Stato Usa.

E’ bastata questa timida apertura degli Usa a scatenare la rabbia del Ministro dell’Intelligence israeliano. Yuval Stenitz ha infatti accusato gli alleati statunitensi di avere due voci: una pubblica e un’altra durante gli incontri privati: “non potete presentarlo privatamente come un governo di Hamas per poi dire pubblicamente che è formato da tecnici” ha dichiarato furioso alla radio militare israeliana.

Il ragionamento di Steinitz è semplice: “Se questi ministri sono persone che si identificano con Hamas, Hamas si identifica con loro e quindi li ha incaricati. Perciò sono rappresentanti di Hamas. Questo è un governo di Hamas e Hamas è una organizzazione terroristica”.

E per limitare il “pericolo” Hamas, Israele ha già pronto un piano: impedire la partecipazioni dei candidati del movimento islamico alle elezioni parlamentari e presidenziali palestinesi programmate fra sei mesi in Cisgiordania e nella Striscia di Gaza. Nel Gabinetto di sicurezza, convocato in tutta fretta ieri, è stato deciso che lo “stato ebraico” non negozierà con i palestinesi finché Hamas sarà parte del governo. Si è ribadito, in poche parole, quanto era già stato votato dal governo israeliano lo scorso 24 aprile.

Il primo Ministro, Benjamin Netanyahu, è stato chiaro: “Oggi [ieri, ndr], Abu Mazen [il Presidente palestinese Abbas, ndr] ha detto sì al terrorismo e non alla pace. Questa è la logica conseguenza della politica di Abu Mazen che rifiuta la pace”.

Come punire i palestinesi lo sa da tempo il Ministro dell’Economia Naftali Bennet, leader di Casa “Ebraica” il partito più degli altri è megafono delle istanze dei coloni israeliani. Secondo Bennet Israele dovrebbe annettere l’area C (il 60% della Cisgiordania) come ritorsione per la formazione del governo nazionale palestinese composto da “terroristi in giacca e cravatta”. “E’ tempo di passare all’offensiva piuttosto che stare sulla difensiva – ha aggiunto Bennet – e fare quel che è meglio per Israele”. Il Ministro non è il solo a sostenere questa soluzione. Se il suo partito suggerisce di “dare una risposta sionista appropriata” costruendo migliaia di case in Cisgiordania, i parlamentari Levin (Likud Beitenu) e Struck (Casa ebraica) consigliano al Premier di annettere gradualmente la “Giudea e la Samaria” [Cisgiordania, ndr].

Ma se questi sono unanimemente considerati “falchi” non è meno aggressivo il “moderato” Ministro delle Finanze Yail Lapid. Lapid non propone (ancora) l’annessione dell’area C. Tuttavia considera la cooperazione Fatah-Hamas “l’ennesima prova che i palestinesi non vogliono la pace”. Secondo il capo del “centrista” “Yesh Atid”, “ora la comunità internazionale ha capito che sono i palestinesi quelli che rifiutano la pace”.

I laburisti guidati da Herzog invitano alla moderazione e a non compiere passi unilaterali. Secondo lo storico partito israeliano bisogna aspettare le mosse del nuovo governo e in base a quelle agire di conseguenza. Voce fuori dal coro è la sinistra sionista rappresentata da Meretz la quale, a proposito del nuovo governo palestinese, parla di opportunità per raggiungere la pace. “L’unione di Hamas e Fatah – ha detto la leader Gal-On – è necessaria e renderà Abbas Presidente di tutti i palestinesi finché il suo governo accetterà le condizioni del Quartetto [Nazioni Unite, Unione Europea, Russia, Stati Uniti, Regno Unito, ndr]”.

Intanto Abbas ha comunicato che le elezioni presidenziali si terranno entro sei mesi e che l’obiettivo del governo appena nato sarà quello di facilitare il processo elettorale. Resta però da capire quale sarà la sua tenuta. La decisione del riconfermato Premier Rami Hamdallah di sostituire il prestigioso incarico di Ministro dei Prigionieri con una commissione guidata da Shawqi al-Ayasa ha scatenato le furie di Hamas. Il partito islamico ha parlato di una “pugnalata dietro la schiena” per i prigionieri palestinesi e per chi è in sciopero della fame. La frattura sembra essere stata risanata subito. Ieri Abbas ha chiamato Haniyeh (l’ex Premier del governo Hamas a Gaza) e lo ha ringraziato per l’impegno profuso per avvicinare le due principali forze palestinesi. Resta solo da vedere ora quanto e a quali condizioni la luna di miele continuerà.