Renzi, ovvero lo spirito non laico

Attilio Tempestini
www.italialaica.it

Se dicessi che Renzi non è uno spirito laico riferendomi ad una laicità, come quella che maggiormente caratterizza il sito “italialaica”, rischierei di sfondare una porta aperta. Sia perché nel governo che egli presiede nulla Renzi ha da ridire su una ministra dell’Istruzione la quale, tra le figure via via a capo di tale dicastero, appare una delle più attive nella confessionalizzazione della scuola pubblica e nel favor per le scuole private. Sia perché è pur sempre lo stesso Renzi che, durante un governo Prodi, partecipò al “family day” organizzato contro la prospettiva di leggi sulle “coppie di fatto”.

Mi riferisco, però, ad una laicità più ampiamente (o comunque, diversamente) intesa: quella che concepisce la politica come un confronto tra opinioni, ugualmente libere di mettersi in gioco. Un’accezione di laicità di cui peraltro non sfuggirà -facendo essa perno, sull’attribuzione di uguali porzioni di libertà- la congenialità rispetto ad un’accezione relativa, specificamente, alla religione. Nel contempo, proprio perché ogni opinione giunge al confronto in uno status non superiore alle singole altre, un corollario è che cercherà di farsi valere rispetto a queste esponendo gli argomenti a proprio sostegno.

Ebbene, a voler per una tale laicità parlare di uno spirito laico, indubbiamente esso in Renzi manca. Per cominciare, manca nel termine in cui egli concentrava il suo iniziale lessico politico: “rottamazione”. Evidentemente rottamare non significa, sostenere la propria opinione contro altre; significa porsi, da giustiziere.

Né va in direzione di uno spirito laico, quello che si può chiamare l’attivismo di Renzi: pretendere cioè che una intensa attività politica abbia pregio in quanto tale, prescindendo dalle inevitabili scelte di merito che essa comporta e dalla discutibilità che tutte le scelte di merito hanno. Così, vediamo celebrata la politica “del fare” (per la verità Renzi si trova, in buona compagnia: perché un linguaggio del genere c’era già nei governi Berlusconi nonché nel governo Letta).

L’attivismo, poi, si intreccia col e si rispecchia nel populismo. So bene che quest’ultimo termine è, di problematica definizione: ma appare difficile non chiamarlo in causa, allorché il Nostro afferma “abbiamo bisogno … di lasciar fare alla gente quello che la gente vuol fare”.

Due pennellate ancora, al profilo che sto delineando. Il rifiuto di discutere sul merito dei problemi, già emerso nelle precedenti righe, segue anche la strada di addurre -piuttosto- argomenti muscolari: aver vinto le primarie del 2013, aver vinto le elezioni europee… Così come la strada, di chi alle critiche risponde con toni di disprezzo: ecco attribuirsi ad un “manipolo di studiosi”, alcune voci che avevano criticato l’ipotesi di legge elettorale concordata, da Renzi, con Berlusconi.

Ma si potrà forse, questo complessivo spirito non laico, definirlo in forma diversa che attraverso un “non”? In effetti, qui “non laico” sta per “autoreferenziale”. Quale prova migliore di ciò, dell’appello alla disciplina di partito che Renzi ha rivolto contro le resistenze opposte, nel PD, alla modifica costituzionale da lui presentata in materia di Senato? Si tratta infatti del medesimo Renzi il quale, alle primarie di coalizione che precedevano le elezioni politiche del 2013, si è presentato malgrado lo statuto del PD disponesse che in primarie di coalizione questo partito sarebbe stato rappresentato, dal proprio segretario (che era Bersani).