Tranquilli, ragazzi. Da Cristo nessuno ci può separare

(a proposito della scomunica di Martha Heizer e del marito Gert)

Gilberto Squizzato
Cdb di Busto Arsizio

Ho sentito aleggiare, in alcuni amici e in qualche comunità, aria di sconfortata angoscia dopo la scomunica da parte del vescovo di Innsbruck dei fondatori del movimento ecclesiale “Noi siamo Chiesa” Martha Heizer e del marito Gert. Capisco magari qualche sbandamento iniziale, visto che in molti di noi è forte la preoccupazione di non separarci dalla Chiesa (cosa che peraltro non ci è mai passata per la testa, in quarant’anni e passa di storia delle CdB italiane). O per meglio dire, capisco l’ansia di chi può temere –per colpe tutte da dimostrare- di essere separato a forza dal corpo ecclesiale. Ma mi sembra che riflettendo serenamente su quanto è accaduto questi stati d’animo dolorosi possano essere superati e metabolizzati se adottiamo dei paradigmi di pensiero meno formali e più evangelici.

Il problema infatti non è (non sarebbe) il rischio di una separazione a forza, di una estromissione dalla Chiesa, ma quello di una separazione da Cristo: cosa questa che, se permettete, compete a Cristo e non alle autorità ecclesiastiche! Ci soccorre Paolo, nella lettera i Romani, capitolo 8, che mi permetto di citare con due brevi note aggiuntive, che inserisco fra parentesi nel suo testo così sfolgorante e appassionato. L’Apostolo delle Genti ci conferma che l’amore di Gesù per noi è totale, assoluto, indefettibile. Nessuno potrà mai separarci da lui. L’unica possibile tragedia sarebbe se Gesù di Nazareth cessasse di amarci. Ma vi pare mai possibile immaginare un’idiozia simile?

“Fratelli, se Dio è per noi, chi sarà contro di noi? Egli che non ha risparmiato il proprio Figlio, ma lo ha dato per tutti noi, come non ci donerà ogni cosa insieme con lui? Chi accuserà gli eletti di Dio? Dio giustifica. Chi condannerà? Cristo Gesù, che è morto, anzi, che è risuscitato, sta alla destra di Dio e intercede per noi? Chi ci separerà dunque dall’amore di Cristo? Forse la tribolazione, l’angoscia, la persecuzione, la fame, la nudità, il pericolo, la spada (o magari la scomunica comminata dal Diritto Canonico)? Ma in tutte queste cose noi siamo più che vincitori per virtù di colui che ci ha amati. Io sono infatti persuaso che né morte né vita, né angeli né principati, né presente né avvenire, né potenze (né poteri ecclesiastici), né altezza né profondità, né alcun’altra creatura potrà mai separarci dall’amore di Dio, in Cristo Gesù, Nostro Signore”. Stiamo sereni, e siano lieti anche Martha e Gert. Nessuno potrà mai separarli dall’amore di Gesù di Nazareth!

Se poi andiamo a vedere la loro colpa, quale sarebbe? Di aver celebrato l’Eucarestia, di aver fatto memoria della sua cena, di aver pronunciato le sue parole “Questo è il mio corpo, questo è il mio sangue” in assenza di un prete “legittimamente” ordinato ? Da tempo abbiamo smesso di pensare –almeno nelle comunità di base- che il prete amministri un potere sacro (o peggio: magico) che consentirebbe di attivare la “transustanziazione” del pano e del vino. “Fate questo in memoria di me” non va riferito alla pronuncia formale, fonica, di quelle parole, ma al gesto, alla scelta pericolosa e mortale che esse ingiungono al credente: dare la vita per gli altri come Gesù sceglie di fare nella notte della sua ultima celebrazione pasquale.

Esaminino se stessi, dunque, Martha e Gert e si chiedano: stiamo dando la nostra vita, giorno per giorno, agli altri? Solo loro e il Signore possono dare una risposta! E noi? Noi laici, noi preti, noi vescovi, noi la stiamo dando davvero la nostra vita per gli altri? L’Eucarestia, il ringraziamento al Padre per il dono di Gesù, non è un gesto magico, ma il rischio mortale di chi si impegna alla donazione di sé. Ma chi può, dentro la Chiesa, sentirsi perfettamente a posto davanti a questo invito di Gesù, che ha un valore discriminante? Credo nessuno: e allora tutti dovremmo essere scomunicati!

Qualcuno mi dirà: ma la celebrazione deve essere “legittima”! Ma cosa vuol dire “legittimo” nella prospettiva del vangelo? Io non lo so, non capisco la domanda. Anzi, sono sbalordito, stupefatto, ammirato dal fatto che a Emmaus i due credenti incerti e confusi scoprano di aver partecipato all’Eucarestia (hanno pranzato con Gesù, hanno spezzato il pane con lui) senza neppure accorgersene, se non “dopo”! Non è l’estremo paradosso?! Non siamo invitati da questo episodio a credere che dovunque c’è condivisione fra due persone che si rispettano, e condividono le loro paure e le loro debolezze e il loro cibo e le loro vite, là c’è Cristo?

“Legittimo”. Parola pericolosa. Legittimo in base a che cosa? In base al Diritto Canonico, si dirà. Ma appunto: che c’entra il Diritto Canonico (scaturito concettualmente dalla tradizione giuridica latina e mutuato per secoli dalla Chiesa romana divenuta purtroppo “stato”) con lo spirito evangelico? Non è il Diritto Canonico qualcosa di datato, di spurio, di estraneo alla sostanza del kerigma evangelico? Non è tempo che la Chiesa (e la Curia romana, e tutte le curie vescovili, e il Vaticano stesso) decidano di mandarlo in pensione? E a dir il vero, non ci sarebbe richiesto il coraggio di archiviare finalmente, in questo inizio di XXI secolo, lo stesso termine “curia” che (assunto dalla consuetudine statale dell’Impero Romano) sta ancora oggi ambiguamente a indicare “la cancelleria” del vescovo e del papa, come se fossero capi di stato, con le loro diplomazie e le loro burocrazie?

Francesco ci ha aperto orizzonti nuovi, di liberazione. Ma la libertà può far paura a tutti, anche al papa, anche ai vescovi. Eppure questa libertà nuova ci è richiesta dai tempi, una libertà evangelica che si fonda su un’autentica povertà, dunque su una rinuncia al potere, in tutte le sue forme: compreso il potere di “buttare fuori dalla Chiesa”. Anche perché la cosa è reciproca: non esistono le chiese senza la Chiesa, ma neppure la Chiesa se prescinde dalla chiese locali. Compresa quella piccola, domestica, di Martha e Gert.

Vorrei quasi dire –con affetto e dolore sincero- al vescovo di Innsbruck che “scomunicando” i due fondatori di Noi siamo Chiesa egli ha anche comminato a se stesso la propria scomunica da quella piccola, povera chiesa in cui una donna “di provata fede” (e chi potrebbe metterlo in dubbio!) ha osato ripetere le parole di Gesù per impegnare se stessa a dare come lui la vita per i fratelli cristiani e non cristiani: o almeno per provarci.

Ma chi può proibire a qualcuno di ripetere le parole amorevoli e rischiose di Gesù? di assumersi, per nella propria debolezza e imperfezione, la fatica gioiosa dell’autodonazione? Si abbia almeno l’umiltà e la chiarezza, se proprio l’autorità vuol rimproverare il gesto di Martha, di dire che quella celebrazione eucaristica “non vale niente” dal punto di vista del Diritto Canonico oggi vigente. E se davvero non vale niente davanti al Signore, quello lo si lasci decidere solo a Lui. Ma pretendere di espellere dalla Chiesa!..

Altri forse diranno: ma quella celebrazione non è un “sacramento”! Ma cos’è il sacramento? Un rito sacrale e magico, o non è forse l’irruzione del sacro nella profanità della vita quotidiana, anzi la scoperta che, in Gesù, è il profano a diventare sacro?

Ecco perché credo (spero!) che le porte di tutte le cdb italiane saranno sempre aperte a Martha e Gert: se vorranno celebrare la memoria del Signore dentro e con queste piccole cose da nulla che sono le nostre piccole chiese di base, saremo lieti di associarci a loro: sicuri che nulla e nessuno potrà mai separarci dall’amore di Cristo. No, la scomunica canonica non ha fatto di loro degli appestati perché siamo già tutti degli lebbrosi (luca, 17, 11-19) dei peccatori, chi più chi meno, laici preti e vescovi, che abbiamo bisogno tutti del miracolo di Gesù per essere ammessi alla pienezza della vita.