Una condanna che impegna la Chiesa

Marco Politi
il Fatto Quotidiano 22 giugno 2014

È una parola pesante quella che papa Francesco scaglia contro la mafia, la ’ndrangheta e tutta la
criminalità organizzata. Non è un esercizio retorico e nemmeno un anatema ripescato dal passato. È
una condanna senza appello. E anche qualcosa di più. I mafiosi, ha detto il papa argentino nel cuore
della Calabria, sono “adoratori del male” e poiché vivono di malaffare e violenza e non camminano
sulla strada del bene “sono scomunicati”.

Vent’anni esatti dopo l’urlo di Giovanni Paolo II rivolto agli assassini della mafia nella Valle dei
Templi di Agrigento: “Convertitevi! Un giorno verrà il giudizio di Dio!”, Jorge Mario Bergoglio
alza ancora di più il tiro. Non è soltanto il primo papa che lancia la scomunica contro gli uomini del
crimine organizzato, qualunque sia il loro nome – mafiosi, camorristi, affiliati di ’ndrangheta –ma
con le sue parole impegna direttamente vescovi, clero, ordini religiosi e fedeli praticanti a recidere
ogni legame con il sistema mafioso. Non è una condanna una tantum , è una chiamata all’azione. La
Chiesa, che educa le coscienze – sottolinea Bergoglio – deve spendersi sempre di più per affermare
il bene e contrastare il male. In maniera concisa il papa riassume il suo mandato alla Chiesa italiana
(perché ormai la ’ndrangheta è tutto fuorché un male regionale) in tre concetti: “Questo male va
combattuto, va allontanato, bisogna dirgli di no”.

Anche Benedetto XVI aveva dichiarato la mafia “incompatibile con il Vangelo” e aveva denunciato
la camorra non solo per i delitti (a Napoli nel 2007), ma per il suo farsi “mentalità diffusa,
insinuandosi nelle pieghe del vivere sociale”, creando ambienti in cui “prospera l’illegalità, il
sommerso, l’arte di arrangiarsi…”. Ma papa Francesco, che a Buenos Aires ha respirato l’aria
violenta delle periferie e ha sentito l’alito dei “padroni della droga” sul collo dei propri sacerdoti, ha
voluto mettere l’accento sull’impegno senza esitazioni che la Chiesa deve assumersi. Dalla terra,
dove anche i bambini vengono massacrati, Bergoglio martella nelle teste della gerarchia
ecclesiastica e del clero: “Questo male va combattuto, va allontanato, bisogna dirgli di no”. Come
dire che il mondo ecclesiastico deve recidere a ogni livello ogni tipo di disattenzione o passività nei
confronti del fenomeno della malavita criminale.

Indubbiamente da Nord a Sud è cresciuta nell’ambiente ecclesiale la consapevolezza
dell’importanza della battaglia per la legalità. Ma non tutti sono eroi come don Pino Puglisi,
proclamato beato lo scorso maggio, Francesco – e intorno a lui i vescovi più avvertiti – sanno che
esiste tutta una vasta zona grigia in cui prosperano i don Abbondio o quelli che voltano la testa
dall’altra parte. Un clero che sorvola su atteggiamenti mafiosi con il pretesto di non essere titolato a
ergersi a giudice. Un mondo dove si chiedono favori o si accettano. Dove si chiudono gli occhi su
sottili e quotidiane intimidazioni. Dove si confonde la cura pastorale delle anime smarrite con il
silenzio complice.

È su questi atteggiamenti che il papa argentino intende incidere. Anche perché il fenomeno mafioso
continua ad estendersi in maniera abnorme. Due giorni fa l’Avvenire ha dedicato il suo editoriale
alla mafia in guanti bianchi, alla ’ndrangheta dalla “faccia pulita” che si insinua dentro il sistema
economico, che arriva “ovunque…dai settori tradizionali come l’edilizia a quelli innovativi delle
energie rinnovabili, dalla grande distribuzione ai rifiuti, dalla sanità al welfare, dall’agroalimentare
al turismo e al gioco d’azzardo”.

È una mafia, scriveva Antonio Maria Mira sul giornale dei vescovi, che non opera più sparando, ma
“con il denaro, quello sporco della corruzione e quello, apparentemente pulito, del sostegno alle
imprese. Citando l’ultima operazione della procura di Reggio Calabria, chiamata non a caso
“’ndrangheta banking”, che ha fatto emergere una “vera e propria banca dei clan che finanziava
imprese calabresi e lombarde”. La Chiesa può fare molto nella battaglia per la legalità, rompendo
ogni rischiosa contiguità nel piccolo quotidiano con i signori del male. Francesco lo vuole. Inutile
nascondersi però che lo Stato deve fare totalmente la sua parte. Un premier, che invoca a gran voce
il Daspo per i politici ladri e corrotti (cioè la loro morte politica) e poi tratta in “profonda sintonia”
con chi si è messo in casa a stipendio un “colon – nello” della mafia e ha rubato allo stato milioni,
frodando il fisco, non aiuta certamente a invertire l’onda.

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“E ora basta omertà, il Papa chiude l’epoca della Chiesa ambigua”

Paolo Rodari
Repubblica, 22 giugno 2014

Don Luigi Ciotti, due mesi fa il Papa l’ha incontrata assieme alla sua fondazione Libera nella veglia di preghiera nella ricorrenza della XIX Giornata in ricordo delle vittime innocenti delle mafie. Allora disse ai mafiosi: «Convertitevi per non finire all’inferno». Ieri, nella messa celebrata sulla piana di Sibari, ha invece alzato la voce dicendo a braccio: «I mafiosi sono scomunicati!».

«Sono contento di queste parole. I mafiosi non hanno nulla di cristiano. Sono in antitesi col Vangelo. Ma direi non soltanto i mafiosi, ma anche coloro che fanno affari coi mafiosi. Il Papa ha ribadito che certi comportamenti non possono che mettere fuori dalla comunione con la Chiesa».
Più volte Papa Bergoglio ha tuonato contri i cristiani ipocriti, che parlano del Vangelo senza viverlo…
«Infatti, ascoltando Francesco in Calabria mi sono subito venute in mente le parole di don Tonino Bello, quando diceva che la Chiesa — e i cristiani con essa — non può dimenticare che la Parola non si annuncia con le parole, ma con la vita, con gesti e fatti».

L’annuncio è anzitutto testimonianza?

«L’evangelizzazione non avviene soltanto per ciò che si dice, ma anche per quello che si fa. I gesti, le azioni, sono importanti. Lo stesso Francesco ieri ha messo in pratica questa verità. Ha parlato ed è andato anche a trovare la gente fin nelle sue sofferenze. È stato coi carcerati e i poveri. E quando ha parlato della mafia ha ricordato che esistono delle responsabilità che riguardano tutti, a cominciare dai politici che troppe volte si sono mostrati conniventi».

Come si fa a dire se una persona è scomunicata perché mafiosa?

«La domanda è giusta. Non sempre i comportamenti individuali sono evidenti. Ma spesso le cose si sanno. Anzi, in questo senso è proprio il richiamo del Papa a suonare come sprone per la stessa Chiesa affinché non sia tiepida bensì coraggiosa. Beninteso, non bisogna mai dimenticare le tante cose belle e positive che tanti cristiani hanno fatto nei territori più difficili, nei luoghi dove la mafia ha in mano tutto, dove è più potente. Nessuno deve dimenticare il comportamento anche eroico di tanta gente di Chiesa. Ma, insieme, occorre riconoscere che ci sono state, e ci sono, anche tante fragilità, zone d’ombra.

Quali?

«Alcune volte, purtroppo, la Chiesa è rimasta alla finestra rispetto a certi comportamenti lavandosene le mani. Altre volte, invece, è stata addirittura complice. Sono ambiguità non al servizio della verità. E ciò è sempre un male, perché sono comportamenti che tarpano le ali alle energie migliori, a coloro che, invece, vorrebbero mettere le proprie energie al servizio della positività».

Comportamenti mafiosi sono anche di coloro che pur sapendo non fanno nulla?

«Il problema non è soltanto ascrivibile a chi fa il male, a chi si rende colpevole di crimini. Ma esiste anche un problema enorme di chi guarda il male compiersi e lascia fare. In troppi osservano da fuori ma non si spendono per il bene. Anche questa omertà in fondo è mafia».