Due popoli prigionieri di G.M.Gillio

Gian Mario Gillio (direttore della rivista Confronti)
Riforma n.29 del 25 luglio 2014

A Gaza si muore. L’intollerabile pioggia di missili lanciati tra le parti miete vittime, un bilancio decisamente sfavorevole per la popolazione palestinese. Una tragedia del nostro tempo; un conflitto – quello israelo-palestinese – che si dipana nel tempo, tra speranze e inasprimenti, da oltre sessant’anni. Recente è anche il ricordo dell’operazione «Piombo fuso» che colpì quella striscia di terra nel 2008.

Fu una sciagura per la popolazione che vive in un fazzoletto di terra di 360 chilometri quadrati già fortemente penalizzato dalla situazione economica, politica e geografica che dal 2007 la vede sotto embargo, che impone confini invalicabili per la popolazione (oltre 1.600.000) che vi abita. Israele controlla ogni movimento sia via terra sia via mare; l’Egitto, data la situazione attuale, ha concesso in questi giorni l’apertura di un varco per gli aiuti umanitari.

Solitamente alimenti, medicinali, armi, passano attraverso i tunnel sotterranei scavati dai palestinesi per raggiungere il vicino Egitto, passaggi tuttora considerati pericolosi per lo staff di Netanyahu.

Il governo israeliano in questi giorni colpisce case e obiettivi strategici (dove ritiene possano essere contenuti armamenti offensivi); l’aviazione prima lancia un razzo di avvertimento: «vi trovate nella casa che è un nostro obbiettivo e che sarà bombardata…». Poi, solo sessanta secondi dopo l’esplosione lascia a terra macerie, feriti e morte. Secondo i militari israeliani, spesso le persone colpite sono scudi umani, obbligati da Hamas a difendere le armi e i Qassam, i missili lanciati dalla striscia di Gaza che raggiungono Israele. Razzi che, sinora, non hanno provocato nessuna vittima tra la società civile israeliana, fortunatamente.

Mentre scriviamo, tra proclami, brevi stop ai raid (per permettere gli aiuti umanitari), le continue offese e le minacce inaspriscono l’escalation di violenza tra le due parti. Hamas non recede dai suoi passi e non intende ricevere veti o condizioni. Anzi, prosegue con determinazione lanciando missili verso Israele, che risponde con una potenza di fuoco militare decisamente sproporzionata agli attacchi ricevuti e, intanto, nel tragico gioco delle parti, la popolazione di Gaza continua a morire e anche Gaza muore. Benjamin Netanyahu, da parte sua, malgrado il bilancio terribile di vittime palestinesi dall’inizio dell’offensiva aerea (molte delle quali civili: bambini, donne e anziani) non intende ascoltare nessuno, neanche il presidente americano Obama, che più volte ha chiesto il cessate il fuoco, e ha deciso per l’attacco via terra. L’unica soluzione possibile, sostiene, per debellare il terrorismo di Hamas.

Tutti noi, da lontano, viviamo la tragedia di Gaza attraverso le immagini e i racconti giornalistici che televisioni e social network ci propongono (a volte rasentando la pornografia) soffermandosi spesso su quei piccoli corpi inermi, privi di vita, bambini amputati, sfregiati, straziati dagli esplosivi o dalle proprie pareti di casa. Sono i bambini e le bambine le prime vittime innocenti di questa tragedia. Macerie di questo conflitto. Ma chi sono questi bambini, chi sono queste donne e questi uomini che hanno perso la vita, quali sono i loro nomi?

Abbiamo visto le immagini degli israeliani in fuga dai missili palestinesi, le foto dei tre giovani israeliani uccisi barbaramente dalla furia terroristica e i loro nomi sono stati resi noti, così il nome del giovane palestinese ucciso per vendetta. Tel Aviv non è poi così lontana da Gaza e la paura è tanta proprio come quella di sentirsi costantemente sotto assedio e sotto attacco terroristico, una situazione sempre più instabile creatasi dopo le cosiddette «primavere arabe». Inoltre l’accordo tra Hamas e Al Fatah siglato l’anno scorso aveva già fortemente compromesso, secondo Benjamin Netanyahu, qualsiasi sviluppo possibile di dialogo. Hamas è vicina agli Hezbollah libanesi ed è espressione della fratellanza musulmana. Dunque per il governo israeliano un vero e proprio covo di terroristi anti-Israele.

Per i palestinesi rimangono aperte le solite e annose questioni che vorrebbero risolte: il rispetto dei confini (1967), il rientro dei profughi, uno stop all’avanzamento del muro di separazione. Il desiderio di poter essere finalmente liberi, libertà di movimento tra i Territori palestinesi che sono tutt’ora veri e propri bantustan sparsi in Cisgiordania (West Bank) e spesso controllati da checkpoint. E ancora, tra i nodi aperti, la questione di Gerusalemme est, la fine della costruzione di nuovi insediamenti nei territori palestinesi. Questioni annose come la brace ardente.

Gaza è una prigione a cielo aperto. Israele è una prigione dorata. Due prigioni per due popolazioni, o se vogliamo una prigione per due popolazioni. Così potremmo definire oggi i Territori palestinesi e lo Stato di Israele. Due mondi soffocati da un conflitto inestricabile.