Effetto Bergoglio

Valerio Gigante
Libero Pensiero n.69/2014

Se è in qualche modo comprensibile, ma non giustificabile, il clima di irrefrenabile entusiasmo che ha colpito una parte del mondo “laico” (anche se a volte si fa fatica a definire in questo modo intellettuali e giornalisti che, ad esempio, quando parlano del papa insistono compiaciuti a chiamarlo “santità”), più diffi- cile è comprendere come mai esso abbia contagiato una fetta con- sistente di quelli che un tempo si definiva genericamente (e gros- solanamente) come “fermento” e “dissenso” cattolico; e che oggi si potrebbero definire in maniera più articolata cattolici “critici”: da quelli democratici e conciliari, ai progressisti.

Eppure è un fatto che la Bergoglio-mania faccia pochissi- me eccezioni dentro il mondo ecclesiale. Se si escludono gli ultratradizionalisti ed i lefebvriani, tanto orfani di Ratzinger quanto del tutto incapaci di comprendere la strategia nella so- stanza assolutamente conservatrice del populismo sudamericano di papa Francesco, non c’è realtà, associazione, movimento, co- munità dentro la Chiesa che non parli della “rivoluzione” inau- gurata dal nuovo pontificato, delle sue eclatanti riforme, del- lo stile nuovo e dirompente portato dal papa dentro e fuori la Chiesa, della volontà di Bergoglio di fare una «Chiesa pove- ra e dei poveri», ecc.

C’è indubbiamente la necessità per una parte di mondo cat- tolico duramente repressa ed emarginata negli anni di Wojtyla- Ruini-Ratzinger, di uscire dalle “catacombe”, di sentirsi nuova- mente legittimata in ambito ecclesiale, di riprendersi il diritto di parola e di critica. In questo senso, l’attuale papa sembra dispo- sto – sino a un certo punto – a lasciar fare. A non dare, cioè, al suo pontificato una caratterizzazione eccessivamente dogmatica. A tollerare un certo dibattito interno.

A dare anzi la sensazione di grandi e clamorose aperture (gay, divorziati risposati) che poi però ad una lettura più approfondi- ta non si rivelano assolutamente tali. Ma l’impressione di un papa in dialogo con la modernità e non ossessionato dal sesso, dai «va- lori non negoziabili» come i suoi predecessori basta comunque a tante realtà ecclesiali per poter nuovamente riprendere fiato e cittadinanza dentro un contesto nel quale prima faticavano sem- plicemente a esistere.

Effetti mediatici e lobby di potere

Tutto ciò spiega, almeno in parte, il sostegno che France- sco ha ottenuto all’interno di quella parte del cattolicesimo che aveva vissuto con crescente disagio (erano stati definiti nel 2008 durante una famosa assemblea che ne aveva riuniti diverse cen- tinaia a Firenze: i “cattolici del disagio”) la parabola involu- tiva del pontificato ratzingeriano. Ma ci sono tanti credenti che con il papa e le gerarchie non avevano più da anni alcun rap- porto e che per altrettanti anni hanno vissuto la loro fede dal “basso”, senza bisogno di rapportarsi con l’istituzione: nel loro caso, è più difficile spiegare tanta speranza e tanto entusiasmo nei confronti del papa argentino. Forse sentir pronunciare da Bergoglio alcune parole contro il capitalismo e lo sfruttamento, a favore di migranti, emarginati, “poveri” che vivono alla “pe- riferie” della storia li ha indotti a pensare che alcune delle istan- ze per cui loro si battono da decenni, fuori e dentro la Chiesa, siano state fatte proprie dal nuovo pontificato.

Altri ritengono forse che una intera stagione ecclesiale – quel- la degli anni ’70 e ’80 – bollata come eversiva, antievangeli- ca, filocomunista, eretica, possa venire, se non riabilitata, al- meno in parte riconsiderata.

In realtà difficilmente il pontificato di Bergoglio andrà in questa direzione. Parole, gesti, apparenti aperture, disponibi- lità al dialogo con le culture secolarizzate, bonarietà, sorrisi e toni dimessi sembrano forme dietro le quali non si intravede nessuna sostanza reale. Il papa dice di non voler giudicare i gay, ma la dottrina sull’omosessualità non è finora cambiata di una virgola; sostiene che la questione dei divorziati risposati me- rita attenzione, eppure (certo, vediamo cosa succederà al Sinodo dei vescovi convocato ad ottobre, ma i tempi saranno in ogni caso lunghi) essi sono tuttora esclusi dall’eucarestia; esalta a parole il ruolo delle donne (in questo non discostandosi dai suoi predecessori), ma il ruolo della donna nella Chiesa (e gli in- carichi che viene chiamata a rivestire nelle Curie diocesane, ol- tre che in Vaticano) sono assai marginali, di pura “testimo- nianza”; sostiene che la Chiesa non ha bisogno di una banca, ma si moltiplicano nomine, commissioni, summit ed organismi chiamati ad occuparsi di economia e finanza: nulla di male, se non fosse che resta fortissima la presenza delle tradizionali lobbies che detengono e gestiscono l’enorme capitale di cui la Chie- sa dispone: Opus Dei, Cavalieri di Malta, Cavalieri di Colombo in primis.

Il papa parla di lotta senza quartiere alla corruzione ed alla piaga della pedofilia dentro la Chiesa, ma ci sono state nomine molto discutibili avvenute sotto il suo pontificato, come quel- la recentissima di Claudio Maniago a vescovo di Castellaneta. Quando era vescovo ausiliare a Firenze, Maniago, che era an- che vicario generale dell’arcidiocesi toscana, fu accusato dal- le vittime del prete pedofilo fiorentino don Lelio Cantini di aver ignorato e tentato di insabbiare le vicende che riguar- davano l’ormai anziano prete, padre spirituale dello stesso Ma- niago. Nel 2007 Maniago fu anche accusato da un giovane gay di nome Paolo Chiassoni perché avrebbe preso parte, insie- me ad altri sacerdoti, a festini a luci rosse di carattere omo- sessuale.

I dogmi non si toccano e neppure le scomuniche per i cattolici del dissenso

Il papa sembra non volersi occupare di questioni dottrina- rie, di sanzioni canoniche, di processi e anatemi alla modernità ed alle aperture di credenti, intellettuali, preti, vescovi, nel cam- po della teologia e della pastorale. Però poi è sotto il suo pon- tificato che sta proseguendo l’attacco del Vaticano all’Lcwr, la Leadership Conference of Women Religious, l’organismo che riunisce l’80% delle superiore delle congregazioni religiose fem- minili Usa, più volte premiato per l’impegno sociale e religioso nei confronti degli emarginati e dei poveri.

Il prefetto della Con- gregazione per la Dottrina della Fede, il card. Gerhard Ludwig Müller, ha recentemente accusato le religiose di non essersi at- tenute all’agenda di riforme prescritta dal Vaticano nella Va- lutazione dottrinale elaborata al termine della visita apostoli- ca del 2012, un documento che «affronta gli errori dottrinali» delle suore Usa alla luce della responsabilità che ricade in capo alla Lcwr «di promuovere una visione della vita religiosa armonica rispetto a quella della Chiesa e di elaborare una soli- da base dottrinale per la vita religiosa».

La scelta delle relatrici alle loro assemblee annuali, secondo il cardinale, fa sospetta- re che il loro programma di attività promuoverebbe addirittu- ra l’eresia. Ed è sempre sotto Bergoglio, in maggio, che il ve- scovo di Innsbruck mons. Manfred Scheuer – sentito il pare- re della Congregazione per la Dottrina della Fede – ha cla- morosamente scomunicato (con un atto dalla legittimità assai dubbia) Martha Heizer, insegnante di religione a Innsbruck non- ché co-fondatrice e presidente del movimento “Wir sind Kir- che” (“Noi siamo Chiesa”), e suo marito Gert per aver celebrato l’eucarestia in casa loro, nel piccolo comune tirolese di Absam dove abitano, con la loro comunità di base, senza però la pre- senza di un prete.

Questo infine è il papa che scomunica i mafiosi. Ma men- tre per la Heizer ed il marito la scomunica è reale, con tanto di decreto, quella contro i mafiosi è ancora virtuale, se i vescovi o la Curia vaticana non si decidono a dire chi è effettivamente escluso dall’eucarestia.

Intanto, mentre le parole del papa fanno i titoli a nove co- lonne dei giornali, a Palermo come a Oppido Mamertino, le pro- cessioni religiose si fermano ancora davanti alle case dei boss locali, in atto di omaggio. E chissà quanti preti vanno ancora a celebrare la messa nei covi dei capimafia, sposano in pompa ma- gna i loro rampolli, elogiano le loro famiglie benefattrici

Pecunia non olet

I risultati del pontificato di Bergoglio, in ogni caso, sono tut- t’altro che legati unicamente all’immagine positiva e “dinami- ca” comunicata all’interno ed all’esterno del mondo ecclesia- le di una Chiesa che tenta di uscire finalmente da una delle più profonde crisi di credibilità che l’abbia colpita nell’ultimo se- colo.

Perché, occorre non dimenticarlo, la credibilità produce “picci”, denaro, perché è strettamente legata al numero dei fe- deli, praticanti o meno, e quindi in molti paesi anche al gettito fiscale che la Chiesa incassa dai suoi seguaci (non in Italia, dove il sistema è diverso e dove, paradossalmente, la Chiesa catto- lica prende più denaro pubblico da coloro che non esprimono alcuna preferenza, piuttosto che da coloro che barrano la casella corrispondente dell’8 per mille), oltre che dalle offerte, dalle do- nazioni, dai lasciti e dalle eredità. E sotto Francesco c’è stata una indubbia impennata.

Il Vaticano ha chiuso in attivo i con- ti del 2013 registrando complessivamente un saldo positivo di quasi 10 milioni di euro. Se poi a questa cifra si aggiungono i proventi dell’Obolo di san Pietro, cioè le offerte che in tutto il mondo si raccolgono il 29 giugno (festa dei Ss. Pietro e Pao- lo) per la carità del pontefice e che sono nella diretta disponi- bilità del papa – 78 milioni di dollari, in decisa crescita rispet- to agli anni precedenti (“solo” 65,9 nel 2012) –, il risultato fi- nale è ancora più roseo.

E poi c’è il boom di presenze in San Pietro, di visite ai mu- sei Vaticani, le udienze del mercoledì in Aula Nervi stracolme di gente, le comunità parrocchiali che registrano maggiore parte- cipazione alle messe domenicali. Tutti elementi che hanno un ri- svolto anche economico per una Chiesa che in alcuni Paesi, ad esempio in diversi Stati Usa, ha rischiato la bancarotta economica
– oltre che quella morale – dopo i processi e i pesanti risarcimenti dovuti alle vittime dei preti pedofili. Nel 2012 il Vaticano ha raggiunto il maggior deficit fiscale dopo molti anni, circa 14,9 mi- lioni di euro, su cui ha inciso anche il costo finanziario dei pro- cessi per pedofilia, che in indennizzi, solo negli Usa, sono arri- vati a tre miliardi di dollari, con 3.000 processi aperti, con 3700 ecclesiastici denunciati, 525 arrestati, la maggioranza dei quali, già condannata.

E poi, come si fa a chiudere (semmai la soluzione sarà ac- corpare lo Ior ad altri organismi: sparire formalmente, per restare fattivamente) un Istituto, quello per le “Opere di Religione” che ha un fatturato stimato in circa otto miliardi di dollari. Senza con- siderare che la Chiesa controlla solo in Italia il 20 22% del pa- trimonio immobiliare (circa un quarto di quello della capitale) ed è stata la maggior detentrice di oro nell’ultimo millennio. Ha in- teressi enormi nel campo sanitario, dell’assistenza, delle assicu- razioni, dell’educazione. E su questo capitale reale si regge quel- lo simbolico, fatto da oltre 400mila sacerdoti e 700mila religio- si, che influenza i governi e gli organismi internazionali, con al centro un leader, il papa, che continua a ritenersi vicario di Cri- sto nella Terra.

Il mito del poverello di Assisi, una strategia del potere

Alla crisi degli ultimi anni la Chiesa gerarchica ha dato una sua provvisoria e labile, ma comunque geniale soluzione. Che parte da lontano. E che paradossalmente ha nel nome stesso scel- to dal papa Francesco, una potente chiave di lettura. Infatti, a parte la scelta – che a Roma si definirebbe “piaciona” – e al di là delle intenzioni stesse di Bergoglio, il nome Francesco e il riferimento al “poverello di Assisi” rivelano molto di più sul- le strategie ecclesiastiche dei prossimi anni.

I tanti e importanti studi compiuti negli ultimi trent’anni – ricordiamo soprattutto quelli di Giovanni Miccoli – hanno svelato come il movimen- to inaugurato da Francesco avesse ai suoi albori caratteristiche assai diverse, e ben più radicali, di quanto non fu poi quello che ricevette l’approvazione pontificia da parte di Onorio III, nel 1223. Lui (ma anche il suo predecessore, Innocenzo III, che a Francesco aveva dato un’approvazione solo orale) scelse – con grande lungimiranza politica – di istituzionalizzare il france- scanesimo perché aveva capito che per contrastare il fiorire di movimenti di riforma religiosa che si stavano diffondendo or- mai da tempo (valdesi, arnaldisti, catari, gioachimiti, patarini) e che chiedevano l’azzeramento della gerarchia e la sua sosti- tuzione con un nuovo modello di Chiesa (in alcuni casi invo- cavano la nullità dei sacramenti impartiti da ecclesiastici cor- rotti), era necessario fare un’apertura verso quei gruppi religiosi che pur manifestando idee anche radicali di riforma e povertà evangelica, intendevano però rimanere fedeli al papa e alla ge- rarchia della Chiesa.

Così, mentre contro gli oppositori (come i catari, contro cui fu indetta addirittura una crociata, durata dal 1209 al 1229), che minavano le fondamenta stesse del potere della Chiesa, arrivavano puntuali le condanne di eresia e la san- guinosa repressione, nei confronti dei seguaci del poverello di Assisi venivano concesse enormi aperture di credito.

Il successivo Concilio Lateranense IV oltre a legittimare gli Ordini mendicanti diede impulso alla predicazione popolare, sem- pre però sotto il controllo della gerarchia. E quando, dopo la mor- te di Francesco, qualcuno tra i suoi seguaci si batté dentro l’or- dine affinché prevalesse una lettura rigorosa e “integrale” del- la Regola, partì un rapido processo di normalizzazione terminato già tra gli anni ’60 e gli anni ’70 del XIII secolo sotto il gene- ralato di Bonaventura da Bagnoregio (il capo della famiglia fran- cescana, così come per i gesuiti ed altri ordini religiosi, si chia- ma “generale”), che arrivò a decretare la distruzione di tutte le biografie di Francesco che sino ad allora erano circolate e la loro sostituzione con la biografia ufficiale dell’Ordine e del fonda- tore, scritta da lui stesso (la Legenda Maior).

Da allora l’ala “spi- rituale” del movimento fu progressivamente ridotta al silenzio (vi sono ancora echi di questa durissima lotta nella Commedia di Dante), mentre i “conventuali” (che vennero così chiamati per- ché sostenevano che se il monaco doveva restare fedele al voto di povertà, il monastero poteva invece accumulare beni e ric- chezze) divenivano egemoni.

I francescani furono così il paravento che la Chiesa poteva esi- bire di fronte alle classi sociali più umili e di fronte a quelli che si scandalizzavano per il potere, la mondanità, la corruzione del- la gerarchia; la foglia di fico con cui coprire e abbellire un sistema che si perpetuava sempre uguale a se stesso e in cui gli stessi fran- cescani, anche loro malgrado, giocavano il ruolo di chi esibisce la radicalità delle forme per mantenere la medesima sostanza che pure i gesti, le parole, gli atti pretenderebbero di tramutare.

Nei periodi di crisi spesso la Chiesa ha strumentalmente in- tegrato al suo interno le istanze più accettabili che venivano da una base cattolica in pericoloso fermento. A condizione, ovvia- mente, che esse fossero compatibili con le esigenze del sistema. E purché fosse possibile narcotizzarne e depotenziarne gli aspetti più radicali.
È, in fondo, l’obiettivo che anche questo pontificato – nel nome di Francesco ed in continuità con lui – sembra aver scelto di per- seguire.