Divorziati risposati: progressisti e conservatori scaldano i motori in vista del Sinodo sulla famiglia

Ingrid Colanicchia
Adista Notizie n. 32 del 20/09/2014

Si avvicina il Sinodo straordinario sulla famiglia – aprirà i battenti il prossimo 5 ottobre – e i vertici della Chiesa affilano le armi. In particolare sulla riammissione ai sacramenti dei divorziati risposati, cardinali, vescovi e teologi non si stanno risparmiando. Ai capofila delle due scuole di pensiero – il prefetto della Congregazione per la Dottrina della Fede, card. Gerhard Ludwig Müller, nettamente contrario a ogni apertura; e il card. Walter Kasper, possibilista – si sono via via aggiunti, soprattutto in queste ultime settimane, quanti, prelati e no, che hanno voluto mettere nero su bianco, in libri e pamphlet, le loro remore e le loro speranze.

C’è chi dice no…

Con una tempistica straordinaria la casa editrice cattolica statunitense Ignatius Press dà alle stampe, il 7 ottobre venturo, un testo curato dall’agostiniano Robert Dorado – dal titolo Remaining in the Truth of Christ: Marriage and Communion in the Catholic Church – che mette insieme le risposte di cinque cardinali e quattro esperti alla “proposta Kasper” di armonizzare fedeltà e misericordia nella pratica pastorale con i divorziati risposati. I nomi dei cinque cardinali non riservano particolari sorprese, avendo tutti già detto la loro nei mesi scorsi: al card. Müller si affiancano Walter Brandmüller, presidente emerito del Pontificio Comitato di Scienze Storiche; Raymond Leo Burke, prefetto della Segnatura Apostolica; Carlo Caffarra, arcivescovo di Bologna; e Velasio De Paolis, presidente emerito della Prefettura degli Affari Economici. A questi cinque personaggi di peso (Müller, Burke e Caffarra saranno presenti al Sinodo, di cui proprio in questi giorni è stata resa nota la lista dei partecipanti) si aggiungono il curatore Dorado, John Rist, Paul Mankowski e l’arcivescovo Cyril Vasil.

Il fronte capitanato dal card. Müller – che ha anche pubblicato un libro-intervista nel quale difende le sue tesi, dal titolo La speranza della famiglia (prefazione del card. Fernando Sebastian Aguilar, arcivescovo emerito di Pamplona, anch’egli tra i partecipanti al Sinodo) – sembra per il momento più folto.

Fa il paio per esempio con il testo edito da Ignatius Press, il saggio pubblicato in agosto sulla rivista teologica Nova et vetera – attualmente diretta dal card. Georges Cottier – a firma di otto teologi statunitensi: sette domenicani, di cui sei docenti presso la Pontificia Facoltà dell’Immacolata Concezione di Washington (si tratta dei padri John Corbett, Andrew Hofer, Dominic Langevin, Dominic Legge, Thomas Petri e Thomas Joseph White) e uno, p. Paul J. Keller, docente all’Ateneo dell’Ohio (il centro per la formazione ecclesiale sponsorizzato dall’arcidiocesi di Cincinnati); e un laico, Kurt Martens, docente di Diritto canonico alla Catholic University of America, Washington.

Gli otto partono in quarta affermando che «un matrimonio rato e consumato tra due battezzati non può essere sciolto da alcun potere umano, incluso quello di vicario che è assegnato al Romano Pontefice». In sostanza per gli otto teologi «il cuore delle recenti proposte è una sfiducia sulla castità»: «L’eliminazione dell’obbligo della castità per i divorziati costituisce la principale innovazione delle proposte medesime, dato che la Chiesa permette già ai divorziati risposati, che per un motivo grave (come la crescita dei figli) continuano a vivere insieme, di ricevere la comunione qualora accettino di vivere come fratello e sorella e se non vi è pericolo di scandalo». L’assunto delle attuali proposte, proseguono, «è che tale castità sia impossibile per i divorziati. Forse che ciò non evidenzia una velata disperazione nei confronti della castità e del potere della grazia di sconfiggere il peccato ed il vizio?». «Cristo insegna che la castità è possibile, persino nei casi più difficili, poiché la grazia di Dio è più potente del peccato. La pastorale dei divorziati – concludono – dovrebbe essere basata su tale promessa».

Bocciata la tesi che il Primo Concilio di Nicea (325) abbia decretato l’ammissione dei divorziati risposati alla comunione (quella, per intenderci, sostenuta anche dal teologo Giovanni Cereti, v. Adista Notizie nn. 44/13 e 15/14), definita « un’errata lettura del Concilio» che «travisa le controversie sul matrimonio del II e del III secolo». Stessa fine anche per la proposta di guardare alla prassi delle Chiese orientali che, secondo gli otto, «si discosta dalla tradizione del tutto evidente della Chiesa primitiva, sia orientale che occidentale».

Insomma, è la conclusione, «gli insegnamenti della Chiesa sul matrimonio, sulla sessualità e sulla virtù della castità derivano da Cristo e dagli apostoli; essi sono perenni».

Dello stesso avviso anche l’arcivescovo di New York, card. Timothy Dolan – tra i partecipanti al Sinodo – il quale, in una lunga intervista a Crux (nuovo progetto di informazione religiosa del Boston Globe), ha dichiarato di non vedere come possa esserci un cambiamento sostanziale «senza andare contro l’insegnamento della Chiesa»: «Quello che invece spero che il Sinodo faccia – ha detto – è guardare al quadro completo, cercando di comprendere quali siano le strade per ricondurre le persone alla bellezza e all’avventura di un amorevole e fedele matrimonio».

… e chi invece spera

Il card. Kasper nel frattempo è tornato sulla questione in occasione dell’assemblea diocesana di Assisi (4-5 settembre), dove ha tenuto una relazione sul tema “La Chiesa-famiglia e il Vangelo della famiglia” all’interno della quale ha inserito una breve nota sulla questione accennata nella presentazione del Concistoro. «Da parte mia – ha detto Kasper – non si trattava di dare una risposta conclusiva, ma di sollevare delle domande». «Ci sono però altri – ha proseguito– che credono di essere i depositari della verità, in grado di dare la risposta e chiudere il dibattito in anticipo». Kasper conferma l’indissolubilità del vincolo matrimoniale, affermando che «un secondo matrimonio ecclesiale durante la vita del primo partner non è possibile». La sua domanda è un’altra: «Un paragone con la svolta del Vaticano II è possibile?».

«Il Concilio è rimasto saldo nell’affermare che la Chiesa cattolica è la vera Chiesa di Cristo, aggiungendo però che oltre i limiti istituzionali della Chiesa cattolica non c’è il vuoto ecclesiale, anzi, ci sono elementi dell’ecclesialità, elementi che per i membri di queste comunità hanno una funzione salvifica. Mi chiedo allora: una simile svolta non è forse possibile anche per la piccola Chiesa, la Chiesa domestica? Non ci sono forse elementi del sacramento del matrimonio anche nel matrimonio civile se vissuto in modo cristiano?». «Ci si può allora chiedere: come potrebbe la Chiesa valorizzare questi elementi?». «Si può forse prendere in considerazione l’aspetto escatologico, il fatto che un cristiano può fallire». «Se un tale “naufragio” si verifica – ha proseguito –, Dio non ci offre una seconda nave comoda, ma una zattera per sopravvivere, cioè il sacramento della penitenza.

Per la misericordia di Dio è impensabile lasciar cadere una persona in un pozzo senza nessuna via d’uscita. Se la persona si pente, Dio le dà una nuova chance»; «non un secondo matrimonio ecclesiale, ma un salvagente per sopravvivere al “naufragio”». «Se Dio è misericordioso, la Chiesa può distaccarsi dalla misericordia di Dio quando celebra l’eucaristia, mostrare un volto freddo, e chiudere le porte sacramentali? Lascio la domanda in sospeso», ha concluso il card. Kasper. «Videant consules, decidano i consoli… cioè il Sinodo insieme con il papa».

Possibilista è anche il vescovo di Anversa, in Belgio, mons. Johan Bonny – in passato collaboratore del card. Kasper al Pontificio Consiglio per la Promozione dell’Unità dei cristiani – che ha affidato a una lunga riflessione le sue attese in vista del Sinodo. Bonny mette in luce i fattori che, a suo avviso, hanno contribuito a quella crescente distanza tra l’insegnamento morale della Chiesa su matrimonio, sessualità e famiglia e la visione dei credenti. Prima di tutto il «modo in cui questa materia, dopo il Vaticano II, è stata in gran parte sottratta alla collegialità dei vescovi e vincolata quasi esclusivamente al primato del vescovo di Roma», a partire dall’Humanae Vitae, quando Paolo VI abbandonò «la ricerca collegiale di un consenso più ampio possibile». Pesa poi che la coscienza sia passata in secondo piano, prosegue il vescovo di Anversa, auspicando che il Sinodo possa invece restituirle «il suo posto legittimo nell’insegnamento della Chiesa».

C’è infine da considerare che dopo l’Humanae Vitae e la Familiaris Consortio la dottrina si è «trovata legata quasi esclusivamente a una determinata scuola di teologia morale»: il prossimo Sinodo, secondo mons. Bonny, «non darà che un limitato contributo all’evangelizzazione del matrimonio e della famiglia se non ristabilirà innanzitutto il dialogo con l’ampia tradizione di teologia morale della Chiesa».

Quanto ai divorziati risposati, il vescovo richiama la «tradizione giuridica dell’Oriente cristiano, con la possibilità di un regolamento eccezionale in nome della “misericordia”»: «Pure su questo punto – scrive – aspetto con speranza il prossimo Sinodo». «Se molti oggi avvertono una mancanza nella Chiesa si tratta – prosegue Bonny – della chiarezza della sua somiglianza a Gesù Cristo»: tenendo conto di questo, conclude, «la Chiesa dovrà abbandonare, proprio in questo campo», che è quello che più sta a cuore ai fedeli, «nel quale vivono la felicità più grande o la sofferenza più grande», «quel suo atteggiamento assai difensivo o antitetico e cercare di nuovo la via del dialogo. Deve trovare il coraggio di passare nuovamente dalla “vita” alla “dottrina”. Su questa strada la Chiesa non ha niente da perdere. Solo dialogando con il mondo può scoprire dove oggi Dio sta operando e dove attualmente si trovano le sfide per la Chiesa e per il mondo».