Le comunita’ di base in italia: un appuntamento significativo di D.Bilotti

Domenico Bilotti
http://approccicritici.blogspot.it/

Le comunità di base si ritrovano: il mondo del post-concilio, una vera e propria costellazione di esperienze locali e di sforzi comuni e di impegno civile, si è dato appuntamento a Roma, dal 6 all’8 Dicembre, sulla “povertà evangelica” in una “società violenta”. Il tema è davvero importante: si sono fatte mitologie di scarso significato reale sul concetto della povertà evangelica, un elogio del povero che non si preoccupa di farlo uscire dalla povertà, perché è (sarebbe) in essa la sua beatitudine.

L’opzione preferenziale per i poveri, come si può dire dalle teologie latinoamericane degli anni Settanta ad oggi, non si traduce, né può tradirsi, in una apatica o, peggio, calcolata accettazione delle strutture sociali che ammorbano la vita e la dignità delle persone. Ed è opportuna anche la contestualizzazione che le comunità di base si sono date: una società violenta, dove la violenza da semplice mezzo per garantire la coazione rischia di divenire (o è già divenuta) fine in sé, elemento costitutivo dello spazio sociale.

La crisi economica, che ha generato categorie di poveri ignote fino a (realmente) cinque anni fa, ha degli aspetti violenti: li ha in Cina, dove per mantenere tassi produttivi da cavallo si finiscono per inibire o reprimere tutti i moti contestativi che implicano un aumento dei costi statuali; li ha in Grecia, dove la robusta cura dimagrante dettata dalle spersonalizzate istituzioni comunitarie non è riuscita a mettere davvero tra parentesi una classe politica corrotta, ma ha ad esempio finito con l’aggravare quegli indici che gli occidentali sono soliti applicare ai Paesi del Terzo Mondo (si vedano la spesa sanitaria e la mortalità infantile).

Li ha, ormai, dichiaratamente in Italia: la ricattabilità che viene dall’impossibilità di accedere al reddito -e l’elenco potrebbe essere lungo: disoccupati, malati non assistiti, detenuti, minori, anziani…- spinge a un deprezzamento totale e afflittivo del lavoro: non va bene. Ma la violenza è silenziosamente e velenosamente penetrata dappertutto, non solo nei rapporti di debito-credito. La violenza contro le donne è una piaga culturale e sociale affrontata con strumenti occasionali e non con un radicale ripensamento del maschilismo che è penetrato nei linguaggi, negli usi (in)civili, nelle stesse prassi istituzionali.

Se la crisi ci lascia una generazione di trentenni bruciata, che a voler essere generosi riuscirà a difendere la sua dignità ma in un contesto pesantemente inaridito, la società rischia di bruciare un’intera generazione di under-18, senza che sia fatta al riguardo nessuna riflessione con effetti concreti: né sul consumismo veloce e vorace che cannibalizza il corpo e lo lascia agli appetiti dell’adulto dominante, né sul diffondersi di sostanze che il proibizionismo ha esclusivamente aiutato ad emergere e a rafforzarse. Tutte ormai pienamente integrate nei nostri scenari urbani. E gli esempi potrebbero di molto continuare…

Per queste ragioni, dei momenti di riflessione così congegnati hanno qualcosa di epocale: non si può preparare l’Avvento senza leggere l’Evento. Andare a scoprire ad una ad una le contraddizioni sociali che immiseriscono; recuperare l’essenza del concetto di povertà, non come pratica medicinale che ci mondi dal peccato, ma come condizione di sofferenza, che va riscattata: più alle persone e meno alle istituzioni; interrogare e prosciugare i rivoli della violenza. Cambiare il corso delle cose: che sia questa missione dell’essere Chiesa oggi più che mai? Che sia l’unico obiettivo su cui possano convergere in nome della buona volontà tutti i non credenti e diversamente credenti? Questa, si, sembra una sfida da raccogliere.