Il patrimonio e la forza delle Comunità di base

Claudio Paravati
Confronti, n°1/2015

Un riscatto personale. La possibilità di prendere la parola. Una partecipazione ampia, nei contenuti, nei gesti, nell’accoglienza. Una comunità fedele. Le Comunità di base raccolte in assemblea sono portatrici di una fedeltà e una postura che lasciano trapelare la forza della loro storia.

Poiché è quella storia che dura da decenni, fatta di impegno, riflessione e critica, che continua a vivere, «giovane» nel vigore e nella testimonianza, negli incontri personali, nei gruppi di discussione come anche nel dibattito in plenaria. Non è per niente scontato trovare oggi credenti, testimoni di una riflessione siffatta, che sappiano incontrarsi e produrre pensiero, azione, gestualità, progettazione.

Certo non può mancare una preoccupazione sul «dove andiamo». Il ricambio generazionale può essere motivo di scoraggiamento, perché brilla per la sua assenza. Eppure non è certo l’unico luogo, quello delle Comunità di base, dove la cerniera tra le generazioni si è – per così dire – intoppata. Lo strappo generazionale è visibile in molteplici luoghi che un tempo raccoglievano laboratori concettuali, politici, teologici.

Per quanto questo dato si imponga da sé, e non sarebbe quindi saggio sottovalutarlo o ignorarlo, è da segnalare una questione che vorrei definire, usando un’espressione mutuata dall’inglese, il «copyright» delle idee, ovvero la questione della «proprietà» delle idee. Proporrei quindi una lettura interna e una esterna.

Quella interna è presto detta: ogni organizzazione umana deve fare il conto con le forze di cui dispone, con la riflessione su ciò che è stato fatto, sui risultati di questa azione, e sul come proseguire nel futuro. A questo proposito è da sottolineare l’importanza di prevedere un momento di incontro periodico, quale è quello nazionale tenutosi di recente.

C’è al contempo una lettura esterna, una lettura «eccentrica». Secondo Plessner l’uomo è per sua natura «eccentrico», ovvero ha il proprio centro «fuori di sé». Questo significa che non finisce e non si definisce in ciò che è qui e adesso (il proprio passato, lo stato di necessità, il dover-essere). È al contempo «fuori di sé», ciò che «può essere» (sfera della possibilità e della libertà). Ovvero l’uomo non è ciò che è in virtù della sua definizione. È ciò che può essere.

Le idee incarnate dalle Comunità di base in questi anni, decenni, di militanza fedele e difficile, forse a tratti dolorosa, non sono le idee solo di quella comunità – come se si avesse per l’appunto un «copyright», un possesso, una «proprietà». Quelle idee vivono anche per conto loro, in un movimento per l’appunto «eccentrico», di possibilità e quindi di libertà, fuori dai limiti che immaginiamo o che poniamo; oltre la definizione. Una libertà che Paolo tradurrebbe forse con l’espressione «di fede in fede».

Sono testimoni di queste «idee» gli scritti, le parole, la testimonianza nella vita quoti- diana di oggi che costituiscono il patrimonio, ricco e da preservare, delle Comunità di base. Patrimonio che in questo senso le supera, va oltre loro stesse. Ecco dunque che le legittime preoccupazioni possono trasformarsi in una fiducia più ampia.

La celebrazione eucaristica tenutasi durante i lavori è lo specchio di quanto detto. È stato un momento organizzato con attenzione e cura, in maniera aperta, accogliente, durante il quale è data la possibilità a chiunque di prendere la parola, portare la propria riflessione, la propria critica o testimonianza che sia. Simbolo questo di una comunità che vive radicata nella comunicazione (la cui radice, com-, vale sia per comunità che per comunicazione), nel lasciar spazio a tutte e tutti di dire, di esserci. Un coinvolgimento questo che ha ancora del rivoluzionario. Soprattutto se avviene nel momento dello spezzare il pane e bere il vino.

Povertà e violenza sono il binomio attorno al quale le Comunità di base si sono interrogate: come testimoniare in questo panorama contemporaneo? Le parole di Lévinas ben descrivono a mio avviso lo spirito di fondo delle risposte via via approntate nelle discussioni e nelle assemblee: «Il fatto di dire “Tu” attraversa già sempre il mio corpo fino alle mani che donano, al di là degli organi di fonazione. Incontro al volto di Dio non bisogna andare a mani vuote» (E. Levinas, Fuori soggetto, pag. 23).

Come testimoniare dunque? «Nessuno si presenterà davanti a me a mani vuote», si legge in Esodo 3, 21. Levinas cuce insieme queste parole inserendo la categoria del «volto», che è quello di Dio, e che risplende nel «volto dell’altro»: nel volto dell’altro e dell’al- tra si riconosce il volto di Dio. L’imperativo del Primo Testamento è quello di non presentarsi a mani vuote al cospetto di Dio. Ebbene, di conseguenza bisogna presentarsi al cospetto di Dio, e al volto dell’altro, a mani «piene», «occupate», non «con le mani in mano». Con mani «operose», indaffarate. Mani coinvolte nell’azione di testimonianza.

Questo orizzonte risuonava nelle parole, nei gesti e nei dibattiti portati avanti nei giorni di lavoro dell’assemblea delle Comunità di base. Rimangono ovviamente aperte le questioni del presente e del futuro: come essere più coordinati tra i movimenti di base in Italia; che strada prenderà la Chiesa romano-cattolica sotto il pontificato di Francesco; che tipo di aperture, di riforme ci saranno, o quali conservazioni si imporranno nuovamente e saranno da affrontare nei tempi prossimi.

Eppure tutto ciò ha di per sé un carattere «relativo» (che non significa poco importante), perché è «in relazione» a una postura, una riflessione critica, ponderata, strenuamente fedele, che ancora vive fulgida nella parole di uomini e donne, le Comunità di base, impegnate quotidianamente in una testimonianza critica, condotta con umiltà e convinzione.

Fino a quando queste parole risuoneranno, forse anche in luoghi e in modi al momento difficili da prevedere, rimarrà viva la testimonianza di una parola di «eccentricità» grazie alla quale sarà tenuta aperta la «possibilità». Quella di sdradicarsi dal proprio centro finito in nome di un «altro» che è libertà e liberazione.