Stragi degli innnocenti in nome dell’appartenenza di C.Saraceno

Chiara Saraceno
www.micromega.net

Uccidere i bambini e ragazzi, specie maschi, del gruppo nemico è stato ed è tuttora uno degli strumenti di guerra insieme più feroci e più antichi, che mira a sterminare il nemico radicalmente, nella possibilità stessa di sopravvivere nelle generazioni future. Nessuna civiltà ne sembra esente.

La stessa vicenda giudaico-cristiana è segnata dalle origini da due stragi di bambini (di innocenti): quella da cui scampò Mosè e poi quella da cui scampò il Gesù bambino. Il ripetersi nei secoli di queste stragi di innocenti, colpiti proprio perché la promessa futura di un gruppo o di un popolo, mostra quanto sia fragile e imperfetto e sempre reversibile il processo di civilizzazione che in diverse, ma non tutte, le culture e società ha portato a vedere gli individui, a partire dai bambini, innanzitutto come tali, non come membri di un gruppo indistinto, che si tratta della famiglia, dell’etnia, della nazione o altro.

Lo jus sanguinis si rovescia drammaticamente nella “appartenenza di sangue” come colpa, peccato originario, condanna senza appello. Proprio perché in esse si concentrano in gran numero i figli e figlie dei nemici di volta in volta individuati, oggi le scuole e i loro alunni in alcune parti del mondo sono diventate il principale terreno di scontro nei conflitti sanguinosi per il controllo del territorio e del potere, addirittura l’obiettivo privilegiato di attacchi omicidi. Non ci si limita più a chiuderle, a controllarne ossessivamente l’insegnamento, a impedirne l’accesso alle bambine e ragazze, a minacciare, rapire, imprigionare quelle che vogliono frequentarle. Uccidere i bambini e ragazzi raccolti nelle scuole è diventato strumento per dare una lezione al nemico, per farlo soffrire fino in fondo.

Si denuncia troppo facilmente l’individualismo come fine della solidarietà e dell’appartenenza; ma si trascura di vedere che solo l’attenzione per gli individui, a prescindere dalle loro appartenenze, può produrre riconoscimento, compassione, solidarietà. Soprattutto può impedire di annullare così radicalmente l’individuo nella sua appartenenza da poterlo uccidere senza problemi, anche se, soprattutto se, bambino, in rappresentanza del suo gruppo, famiglia, nazione. In questa prospettiva, la ripugnanza e lo smarrimento per il ripresentarsi della strage degli innocenti come strumento di conflitto tra gruppi non può esimerci dal riflettere criticamente su quanto anche nelle nostre civiltà “evolute” spesso rischiamo di annullare chi appartiene a un gruppo che non ci piace, inclusi i bambini, in una appartenenza indistinta, appunto in una sorta di jus sanguinis rovesciato, foriero non di sterminio, ma di normale esclusione.