Religioni e politica di M.Vigli

Marcello Vigli
www.italialaica.it

Non c’è dubbio che la strage nella redazione di Charlie Hebdo al grido di Allah è grande ripropone in generale il problema del potenziale eversivo delle fedi religiose, indipendentemente dall’aggravante della forma crudele e sanguinaria che l’ha caratterizzata.

È necessario, però, resistere alla tentazione di concordare con Maurizio Sacconi che ha sostenuto: L’islam rappresenta oggettivamente una base religiosa più di altre suscettibile di degenerare in fondamentalismo e violenza intollerante Tentando un paragone potremmo richiamare il rapporto tra comunismo e brigatismo negli anni ’70.

Molti, invece, non hanno resistito e sono pronti a seguire il segretario della Lega Matteo Salvini secondo il quale l’Islam “non è come le altre religioni e non va trattato come le altre religioni ……. è pericoloso: nel nome dell’Islam ci sono milioni di persone in giro per il mondo e anche sui pianerottoli di casa nostra pronti a sgozzare e a uccidere”.

Convengono, perciò, con Maurizio Ferrara che sostiene: I vignettisti di Charlie Hebdo sono stati uccisi perché hanno bestemmiato l’Islam. Questo non è terrorismo, è guerra santa contro l’Occidente cristiano e giudaico. Se lo negate siete un branco di coglioni.

Queste opinioni stanno riemergendo dopo essere state costrette al silenzio dall’eco della manifestazione parigina che ha portato in piazza oltre due milioni di cittadine/i, di ben altro convincimento, per riaffermare che solo la legge e i giudici segnano i limiti della libertà di ciascuno per garantire la libertà di tutti.

Non è stata sufficiente per scardinare tale pregiudiziale islamofobica, anche perché, come ha denunciato Il Fatto quotidiano a commento della foto della stessa manifestazione di Parigi, dietro i big europei c’erano 20 leader (dalla Turchia alla Russia alla Giordania) che nei loro Paesi calpestano la libertà di stampa, e perciò viziata di ipocrisia.

Non vale, neppure, ricordare le violenze dei cristiani al grido Dio lo vuole, l’intolleranza di gruppi induisti, le discriminazioni imposte dall’identificazione di fatto dello Stato d’Israele con la comunità ebraica.

Né vale richiamare che in ciascuna delle esperienze religiose, anche nelle comunità islamiche, diversi sono i modi in cui sono praticati i principi che le ispirano.

Pur senza cercare esempi nel passato e nella diversità dei regimi degli attuali Paesi islamici, è sufficiente notare che a Parigi in piazza c’erano anche musulmani e musulmano è il commesso del supermercato kosher che ha salvato sei ostaggi nascondendoli in una cella frigorifera.

Una riflessione alternativa può cominciare da questa constatazione che di religioni si tratta e non di religione, e che anche al loro interno le posizioni sono tutt’altro che omogenee.

Se ne può aver un esempio dal confronto fra quelle del nuovo quotidiano clericale La croce, ispirate espressamente alle parole pronunciate a Ratisbona da Benedetto XVI che echeggiano anche nelle citate grida degli atei devoti, con quanto ha detto papa Francesco agli ambasciatori, ricevuti in Vaticano per la consueta udienza di inizio anno.

Le stragi e gli attentati di Parigi della scorsa settimana sono frutto di forme fuorviate di religione e di un fondamentalismo che agisce contro gli esseri umani e rifiuta Dio stesso, relegandolo a un mero pretesto ideologico. Ha poi aggiunto: Auspico che i leader religiosi, politici e intellettuali specialmente musulmani condannino qualsiasi interpretazione fondamentalista ed estremista della religione.

Non si è terroristi perché islamisti. Si è terroristi per colpire un avversario troppo forte per affrontarlo ad armi pari e la scelta religiosa serve piuttosto a darsi un’identità politica, in assenza di una ideologia come, invece, possono fare quanti in occidente combattono l’ordine pubblico costituito.

La religione in occidente ha cessato di essere una bandiera di combattimento da quando, dopo la Riforma, ci si è accorti che ci si sarebbe caratterizzati e combattuti per pochi versetti della Bibbia o per l’obbedienza al papa.

Col tempo si è inventata la Nazione, nuovo assoluto da onorare in guerra anche a costo della vita.

Non ci si è più divisi per appartenenza a questa o quella chiesa, ma a questa o quella Patria, sede di una nuova sacralità, in nome della quale di fatto si coprivano profonde divisioni. A sostituirla fu poi invocata la Classe come nuovo segno di identità; anche in suo nome si sono levate nuove bandiere, tutte rosse.

La religione, l’unica diffusa quella cristiana, non serviva più perché non connotava, pur nelle sue diverse versioni, le differenze degli interessi politici e sociali. Dicevano, infatti, di aver fede nello stesso Gesù i soldati che si sono mitragliati per i primi decenni del secolo scorso nelle trincee di mezza Europa.

Anche questa tragica esperienza, culminata nella shoah e nei campi di sterminio, ha confermato che la dimensione sociale della religione s’intreccia con lo spazio della politica.

Gli interessi politici e le condizioni sociali prevalgono sulle scelte religiose all’interno di una dimensione, la laicità, che ne ridimensiona le diversità e tutte, insieme al loro totale rifiuto, le comprende.

Questa dimensione non ha storia fuori delle culture europee, si rivela, invece, la condizione ormai indispensabile per assicurare la convivenza di genti così diverse in un pianeta reso più piccolo dalle sempre nuove tecnologie e in cui forte è anche un’altra tentazione che spinge anche lo Stato a praticare il terrorismo.

Esso è anzi più pericoloso dell’altro perché in nome della lotta al terrorismo gli Stati si sentono nel diritto di massacrare i terroristi, e con i terroristi cadono tanti che sono innocenti.