Anche a Roma un registro delle unioni civili di G.Petrucci

Giampaolo Petrucci
Adista Notizie n. 5/2015

Ancora una volta Roma è «in prima linea sul fronte dei diritti». Esulta il sindaco Ignazio Marino – ancora impegnato a schivare gli strali della destra, della Chiesa e della Prefettura romane, per aver trascritto sui registri cittadini, lo scorso 18 ottobre, 16 matrimoni gay contratti all’estero (v. Adista nn. 38, 41 e 45/14) – dopo l’approvazione in Campidoglio, lo scorso 28 gennaio, della delibera firmata da Imma Battaglia (storica attivista lesbica e consigliera Sel), che istituisce anche a Roma un Registro delle unioni civili. Votato dalla maggioranza di centrosinistra capitolina e dal Movimento 5 stelle, il provvedimento ha incontrato il parere contrario – con qualche eccezione, come quella dell’ex vicesindaco Sveva Belviso – di Nuovo Centro Destra, Fratelli d’Italia e Forza Italia. 32 a 10 (con un astenuto, la consigliera Pd Daniela Tiburzi), il risultato della votazione. «Oggi la Capitale d’Italia dà il segnale che, in questa città, l’amore è uguale per tutti. Voglio dunque esprimere tutta la mia soddisfazione per questo passo importante che non solo rappresenta un atto di civiltà e di rispetto delle persone ma ci allinea al resto del mondo occidentale, ai principali Paesi europei con cui condividiamo la nostra storia politica e culturale», è stato il commento a caldo del sindaco Marino. Ora, ha poi aggiunto, «ci aspettiamo che il prossimo passo arrivi da una legge nazionale che, così come affermato autorevolmente dal presidente del Consiglio, sarà votata entro i primi mesi del 2015».
Se il dibattito precedente la votazione è stato inaugurato, martedì 27 gennaio, dall’irruzione “poco elegante” dei militanti di Ncd e Fratelli d’Italia, fermati dall’intervento della Municipale, al momento del voto erano presenti nell’Aula Giulio Cesare anche numerosi attivisti lgbt, che hanno festeggiato con manifesti e palloncini colorati l’approvazione della delibera, e alcuni volti noti della politica italiana: tra gli altri il leader di Sel Nichi Vendola – che ha felicemente registrato un «ulteriore passo sul cammino di civiltà» e ha invitato il Parlamento a seguire l’esempio romano per «uscire dal Medioevo» – e Vladimir Luxuria, già deputata di Rifondazione Comunista, che ha così salutato la votazione: «Oggi è una vittoria civile, di una Capitale di uno Stato laico che chiede a gran voce di riconoscere le unioni affettive tra persone».

Inutile e dannoso

Di parere diametralmente opposto l’ex sindaco di Roma, Gianni Alemanno, che ha commentato su Facebook il proprio voto negativo, parlando di «lutto cittadino», e di «iniziativa contro la legge, che serve solo ad illudere le persone e ad indebolire le famiglie». Concorda con Alemanno lo storico quotidiano romano di destra Il Tempo (29/1): «Una sfida al limite dell’oltraggio», contraria alla legge nazionale, che «rischia di rimanere l’ennesima “patacca” mediatica utile solo a cogliere voti».
Di «fumo negli occhi» ha parlato, anche Olimpia Tarzia (tra i fondatori del “Movimento per la vita italiano”, presidente del Movimento “Politica Etica Responsabilità” e vicepresidente della Commissione Cultura della Regione Lazio): «L’ennesimo provvedimento strumentale e ideologico, oltre che inutile», visto che l’ordinamento italiano non permette «alcun tipo di matrimonio, unione, patto tra persone dello stesso sesso» (Avvenire, 28/1).
Solo un «patetico tentativo della giunta Marino di mascherare la propria ormai conclamata inadeguatezza ad amministrare Roma», ha aggiunto Eugenia Roccella (militante anti-abortista, portavoce del Family Day nel 2007, oggi deputata Ncd e vicepresidente della Commissione Affari sociali della Camera) sul suo sito (28/1). «È ormai chiaro che tali registri sono inutili e rimangono desolatamente vuoti. Si prendono in giro i cittadini sapendo perfettamente che solo una legge dello Stato può riconoscere le unioni civili, e che i sindaci che adottano queste iniziative fanno solo pubblicità a se stessi». Deluse anche le Acli di Roma: «Un’iniziativa del tutto gratuita e priva di fondamento giuridico» ha denunciato la presidente Lidia Borzi (Sir, 29/1) aggiungendo che tale provvedimento rafforza «la cultura dei legami deboli».

La famiglia secondo i vescovi

Puntuale è arrivato anche il pollice verso dei vescovi romani e italiani. Totale disappunto dal card. Agostino Vallini (vicario del papa per la diocesi di Roma) secondo il quale quello di Marino è «un gesto che ha tutto il sapore di una pressione politica» che intende «creare una cultura che è una realtà diversa dalla esperienza umana». «Il matrimonio è un fatto di natura, è un fatto sancito dalla Costituzione», ha poi commentato alla Radio Vaticana il 29 gennaio. «Chiamare matrimonio ciò che matrimonio per natura non è – ha infine insistito – è un’altra cosa».
Il Campidoglio «ha deciso di “tutelare e sostenere le unioni civili” (alle quali non sono chiesti doveri e obblighi) e quindi di discriminare consapevolmente la famiglia, “società naturale fondata sul matrimonio”, come recita la Costituzione», ha condannato Angelo Zema, direttore del quotidiano del Vicariato RomaSette, in un commento del 29 gennaio in cui parla di «una tappa altamente simbolica di un percorso anti-famiglia già segnato da vari passi, dall’abolizione dell’esenzione per la quota dell’asilo nido del terzo figlio (seguita dallo stop del Tar) ai progetti educativi nelle scuole ispirati al “gender”». Un percorso, conclude amaro il direttore, «che apre inquietanti orizzonti a danno dei figli, i soggetti più deboli».
Secondo il presidente della Commissione vita e famiglia della Conferenza episcopale italiana, il vescovo di Parma mons. Enrico Solmi, il voto in Campidoglio rappresenta «un attentato al matrimonio: il Campidoglio ha calato la maschera, la vera finalità di questi registri è avallare i cosiddetti “matrimoni” gay, quando altre sono le priorità» (Avvenire, 29/1).
Ha preso posizione nettamente contraria anche don Paolo Gentili (direttore dell’Ufficio Cei per la pastorale della famiglia): «Siamo in un momento in cui la famiglia composta da un uomo e una donna sembra essere minoritaria, mentre è la realtà che porta avanti questo Paese, che va custodita e sostenuta», ha sottolineato (Sir, 29/1). «Tutte le persone di buona volontà – ha poi aggiunto – possono riconoscere la bellezza della differenza, il diritto dei bambini ad avere un papà e una mamma». Gli omosessuali non potranno mai essere genitori, ha poi ribadito, «perciò si trovino pure nuove vie per accompagnare le diverse forme di unione, ma senza equipararle al matrimonio». Riguardo alle pressioni sul governo Renzi, infine, il direttore ha chiesto che il Parlamento «legiferi a favore della famiglia vera, aperta alla vita».

Il Registro in breve

Al Registro potranno accedere le coppie che convivono da almeno un anno, con almeno un componente residente nella Capitale. Sarà loro consentito di celebrare e festeggiare l’unione nei locali del Comune adibiti ai riti, come già accade per i matrimoni civili. La delibera prevede anche il diritto all’assistenza sanitaria, con equiparazione al grado di parente prossimo per i componenti della coppia registrata. E come già avviene con le coppie “tradizionali”, si attesta parità di riconoscimento e di diritto relativamente all’accesso ai servizi e alle graduatorie comunali, come ad esempio gli asili nido e le case popolari. Grazie ad un emendamento voluto dalla stessa Imma Battaglia, è prevista la registrazione automatica dei matrimoni tra persone dello stesso sesso contratti all’estero.

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Registro delle unioni civili, Roma dà la sveglia al Parlamento

Maria Mantello
www.micromega.net

Il registro delle unioni civili è stato istituito anche nella Capitale. Il Sindaco Ignazio Marino rivendica con orgoglio questa conquista per una Roma «in prima linea sul fronte dei diritti», dove i cittadini finalmente hanno ottenuto «un risultato atteso da tempo, nel riconoscimento dei legami affettivi, stabili e duraturi […] la Capitale d’Italia dà il segnale che, in questa città, l’amore è uguale per tutti. È un passo importante che non solo rappresenta un atto di civiltà e di rispetto delle persone, ma ci allinea al resto del mondo occidentale, ai principali paesi europei con cui condividiamo la nostra storia politica e culturale».

Ma è un segnale anche per il Parlamento, come ha precisato il Sindaco: «sono tante le amministrazioni italiane che oggi attendono una legge nazionale che finalmente sancisca i diritti uguali per tutti di fronte all’amore».

L’ennesima squilla che però non sembra scuotere un Parlamento in colpevole e vergognoso ritardo quando si tratta di diritti civili. Un Parlamento che, pur di non disturbare il Vaticano, in accordi trasversali ha ogni volta affossato le leggi sulle unioni di fatto (pacs, dico, ecc.) lasciando aperte le porte alla discriminazione e alla prepotenza di chi vorrebbe imporre la tirannia dei propri luoghi comuni.

I diritti si affermano nella quotidianità

Roma ha compiuto dunque, come già tantissimi altri Comuni italiani, un passo importante di civiltà e laicità, dimostrando come i diritti umani possono affermarsi e diventare davvero universali a partire dalle piccole grandi cose della nostra vita quotidiana. È qui che i diritti vanno fatti germogliare e crescere, perché è nella quotidianità che si gioca la partita della nostra appartenenza alla cittadinanza.

Come scriveva Eleanor Roosevelt i diritti devono esserci «vicino casa, in posti così piccoli e vicini che non possono essere visti in nessuna mappa. Eppure questi luoghi sono il mondo dell’individuo: il quartiere in cui vive, la scuola o l’università che frequenta, la fabbrica o l’ufficio in cui lavora. Questi sono i posti in cui ogni uomo, donna o bambino cerca la parità senza discriminazioni nella giustizia, nelle opportunità e nella dignità. Se questi diritti non hanno significato là, significano poco ovunque e se non sono applicati vicino casa non lo saranno nemmeno nel resto del mondo».

È quindi varcando la porta di casa, che ognuno deve sentire il valore della propria dignità in quel pubblico riconoscimento individuale e sociale anche per la famiglia che ha voluto e costruito col suo compagno/a: omosessuale o eterosessuale che sia.

Per questo riconoscimento pubblico anche un semplicissimo registro di unioni civili può molto. E per questo lo temono le sentinelle del bigottismo con le teste più o meno mitrate che seminano zizzania gridando che si attenta al matrimonio, alla famiglia. E non paghe, addirittura cianciano di deriva poligamica, fingendo di ignorare che in Italia è vietata.
Tutta questa “bella compagnia” di predicatori, se avesse un poco d’ironia, potrebbe sorridere sul suo aver talmente predicato bene sul valore del matrimonio, tanto da convincere anche molte coppie omosessuali a sposarsi!

Famiglia/famiglie e sentinelle dell’odio

La realtà del pluralismo delle famiglie è un dato di fatto da tempo. E lo Stato ne aveva dovuto prendere atto già, se non altro per concreti problemi di registrazione anagrafica emanando ne1989 il D.P.R. 223, che all’art. 4 stabilisce: «agli effetti anagrafici per famiglia si intende un insieme di persone legate da vincoli di matrimonio, parentela, affinità, adozione, tutela o da vincoli affettivi, coabitanti ed aventi dimora abituale nello stesso Comune». Allora, il registro delle unioni civili non è altro che atto dovuto per ufficializzare e garantire la pariteticità delle diverse forme di essere famiglia già riconosciute nella registrazione anagrafica.

Del resto, ogni persona di buon senso, si rende conto che individui, famiglie, società sono costruzioni umane. E come tali sono un prodotto storico, il risultato di complesse interrelazioni, che si connotano, strutturano, cambiano e divengono nel tempo. Solo in questa consapevolezza tutta laica, si può costruire la civile convivenza, altrimenti c’è il rischio che i tagliatori di diritti degli altri possano trasformarsi anche in tagliatori di teste.