Eucarestia della II Domenica di Pasqua – Cdb di San Paolo

Gruppo Roma sud-est

Letture Atti degli Apostoli (4, 32-35)

La moltitudine di coloro che erano diventati credenti aveva un cuore solo e un’anima sola e nessuno considerava sua proprietà quello che gli apparteneva, ma fra loro tutto era comune. Con grande forza gli apostoli davano testimonianza della risurrezione del Signore Gesù e tutti godevano di grande favore. Nessuno infatti tra loro era bisognoso, perché quanti possedevano campi o case li vendevano, portavano il ricavato di ciò che era stato venduto e lo deponevano ai piedi degli apostoli; poi veniva distribuito a ciascuno secondo il suo bisogno. Vangelo di Giovanni (20, 19-31) La sera di quel giorno, il primo della settimana, mentre erano chiuse le porte del luogo dove si trovavano i discepoli per timore dei Giudei, venne Gesù, stette in mezzo e disse loro: «Pace a voi!». Detto questo, mostrò loro le mani e il fianco. E i discepoli gioirono al vedere il Signore. Gesù disse loro di nuovo: «Pace a voi! Come il Padre ha mandato me, anche io mando voi». Detto questo, soffiò e disse loro: «Ricevete lo Spirito Santo. A coloro a cui perdonerete i peccati, saranno perdonati; a coloro a cui non perdonerete, non saranno perdonati». Tommaso, uno dei Dodici, chiamato Dìdimo, non era con loro quando venne Gesù. Gli dicevano gli altri discepoli: «Abbiamo visto il Signore!». Ma egli disse loro: «Se non vedo nelle sue mani il segno dei chiodi e non metto il mio dito nel segno dei chiodi e non metto la mia mano nel suo fianco, io non credo». Otto giorni dopo i discepoli erano di nuovo in casa e c’era con loro anche Tommaso. Venne Gesù, a porte chiuse, stette in mezzo e disse: «Pace a voi!». Poi disse a Tommaso: «Metti qui il tuo dito e guarda le mie mani; tendi la tua mano e mettila nel mio fianco; e non essere incredulo, ma credente!». Gli rispose Tommaso: «Mio Signore e mio Dio!». Gesù gli disse: «Perché mi hai veduto, tu hai creduto; beati quelli che non hanno visto e hanno creduto!». Gesù, in presenza dei suoi discepoli, fece molti altri segni che non sono stati scritti in questo libro. Ma questi sono stati scritti perché crediate che Gesù è il Cristo, il Figlio di Dio, e perché, credendo, abbiate la vita nel suo nome.

Commenti introduttivi

1) Il gruppo ha approfondito la sua riflessione sulla prima e sulla terza lettura (atti e vangelo di Giovanni). La prima lettura ci richiama alla dimensione della condivisione nella comunità. Ma la nostra esperienza concreta di comunità non è tanto basata su una concreta condivisone materiale, aldilà della nostra solidarietà con i progetti che sosteniamo e a cui collaboriamo. Il gruppo si è soffermato di più sulla nostra esperienza di condivisione delle nostre fragilità. Non è sempre facile farlo: è un banco di prova perché chi mostra le proprie fragilità e si espone al giudizio degli altri. Richiede la fiducia negli altri, ci riesce solo chi sa mettersi a nudo. Spesso invece si cade in un atteggiamento di difesa in genere ci nascondiamo per orgoglio. L’esporsi si verifica solo quando si è in posizione di difficoltà e in atteggiamento di richiesta di aiuto.

Sulla fragilità ci è venuto anche in mente l’intervento del nostro Giovanni sul recente caso del pilota tedesco suicida: il contesto attuale che ci espone ad utilizzare strumenti sempre più sofisticati e tecnologici facendo i conti con le nostre fragilità. Gli atti descrivono la completa condivisione materiale delle prime comunità. A noi ci sono venute in mente alcune dimensioni odierne di condivisione che alcuni tentano di praticare e che dovrebbero stimolarci: co-housing, banca del tempo, comunità di famiglie, comunità religiose ecc

Ma la condivisione che propone Gesù va oltre quella materiale e arriva alla condivisione della propria vita (lui lo ha fatto concretamente con la sua morte in croce e simbolicamente con lo spezzare il pane nell’ultima cena). Il vangelo di Giovanni ci riporta al mistero pasquale, a quella particolare atmosfera e situazione che fa passare i discepoli e le discepole di Gesù dal nascondimento alla testimonianza. Su questo tema ci siamo fatti aiutare da Barbaglio con la lettura di un brano del suo “Gesù ebreo di Galilea”: qual è fu il fattore che entrò in campo, un nuovo impulso, una scossa, un avvenimento eccezionalmente incoraggiante, qualcosa che cambiò completamente il loro stato d’animo.

Ma cosa esattamente? Le antiche testimonianze cristiane parlano di un “farsi vedere” da parte del crocifisso. Ma si tratta di un linguaggio interpretativo in senso teofanico di un vissuto non chiarito. Il crocifisso si è fatto presente e operante nella loro vita al modo che Dio si era presentato a Mosè sul Sinai. Esistono molte supposizioni. Per Barbaglio la più convincente è la seguente. “ non siamo in grado di offrire una risposta certa all’origine della fede pasquale. Si può ipotizzare che, fuggiti in Galilea, Pietro e compagni abbiano riflettuto seriamente su Gesù, sulla sua azione e morte orribile, andando a rileggere e meditare pagine della bibbia ebraica per cercarvi un senso di quanto era capitato, una risposta a domande angosciose: come è possibile che tutto sia finito in maniera così negativa?

Jhavè che si era dichiarato e dimostrato fedele al popolo nonostante tutto, risuscitandolo dalle più gravi sciagure, non è forse lo stesso Dio della cui regalità definitiva Gesù si è fatto l’evangelista? Si può ipotizzare che in questo processo interiore, senza escludere confronti nel gruppo, siano rinate speranza e fiducia, vissute non come propria conquista autonoma, bensì quale dono di grazia di quel Gesù di cui riscoprono ora, in modo nuovo, il ruolo decisivo di evangelista del regno rifiutato dai più ma approvato dal suo Dio: lui è vivo nella loro vita, vivo della vita dei risuscitati perché liberato dal regno dei morti; presente e operante in modo originale rispetto alla passata presenza terrena; risuscitato e risuscitatore della loro fede.

Sono soltanto suggestioni che uno storico può fare con gli insufficienti dati che ha in mano, riconoscendo in tutta onestà intellettuale di non essere in grado di dire di più della genesi della fede dei discepoli e delle discepole espressa nella formula antichissima: ”Dio lo ha risuscitato dal regno dei morti”.

In questo quadro una diversa lettura fatta da Antonio Thellung e pubblicata su Adista della figura di Tommaso ci può aiutare: “Tra scetticismo e creduloneria Tommaso sceglie un terzo atteggiamento: quello di ricercare gli elementi indispensabili a una fede matura. Sembra proprio una lezione: non accontentatevi di quel che non vi convince e troverete la vera fede. Insomma Tommaso è difficile da inquadrare come un buon suddito, se il ruolo primario viene assegnato all’autorità, ma se si considera fondamentale il primato della coscienza, allora Tommaso appare come il primo esempio da seguire. Certamente credere senza porsi troppi problemi è più facile, mentre il cammino della presa di coscienza è aspro, faticoso, travagliato. E tuttavia ciascuno deve fare le sue scelte, cercando l’itinerario che più ritiene valido. Personalmente, mentre mi domando quanto gli sarà costato prender posizione, anziché lasciarsi andare a un comodo assenso, lo immagino esprimere una particolare preghiera: perdona il mio ardire, mio maestro, ma di una fede mediocre e incerta non so accontentarmi. Dammi un segno, scuotimi, sconvolgimi con la tua irruenza, non voglio essere tuo a metà! E se di fronte al rischio della credulità per delega Tommaso aveva opposto resistenze, al contatto diretto con Gesù abbandona ogni difesa, lascia cadere barriere e ostacoli. E, travolto da quel fiume di grazia, si coinvolge senza riserve. Il risultato? Con quel mio signore e mio Dio che gli sgorga dal cuore propone il suo percorso come un faro che illumina la via maestra!”! (Adista n.11 del 21.3.2015)

Il testo su Tommaso ci ricorda che anche molti di noi cercano segni, ma la fede che ci è richiesta è nuda , ne fa a meno: “beati quelli che crederanno senza vedere”. Ognuno di noi si riconosce in Tommaso, questo racconto è ben congegnato ed è diretto a noi. Non è una fede facile quella di Tommaso, lui vuole interrogarsi, ricercare, mettere in dubbio, la fede non è costante né a volte duratura.

Tommaso rappresenta per noi un esempio di chi ha voluto approfondire la propria fede, senza accontentarsi. L’episodio non è un fatto storico. Più storica è la paura dei discepoli e il conseguente nascondimento. C’era il desiderio di ridare all’esperienza di Gesù un senso. Il ripercorrere e riflettere sulla loro esperienza gli fa’ uscire fuori la fede. Le apparizioni non sono un miracolo, ma un’esperienza che a volte anche noi riviviamo con le persone scomparse che amiamo.

I discepoli e le discepole hanno tanti spunti di riflessione dell’esperienza fatta con Gesù, la rilettura della loro tragica vicenda gli consente di ritrovare la fede e il desiderio di testimoniarla affrontando anche la morte e il martirio: questo è il vero miracolo. Questo è il più grande mistero: più della resurrezione, di come l’esistenza di Gesù che ha contagiato la vita di alcune persone umili e la diffusione delle comunità cristiane, delle donne e degli uomini che nella storia si sono date alla sequela del Cristo: dalla paura al coraggio, dalla fuga alla testimonianza .

2) Noi siamo un po’ tutti come Tommaso e , senza aver visto , la nostra Fede è fragile. La mia Fede convive con il dubbio che mi assale di fronte al mistero del male, e le sue manifestazioni sono di tutti i giorni. Ma ci sorregge il comandamento di Gesù : amatevi come io ho amato voi. E per noi questo è il segno più importante e ne sono testimoni , nella nostra attualità , gli Oscar Romero, i tanti che hanno messo in gioco la loro vita per la difesa dei diritti calpestati , i tanti che la spendono per il sostegno dei deboli e forse sopratutto , perchè direttamente ci investono , sono i nostri gesti di solidarietà , di condivisione ,di compassione (com patire= patire insieme , partecipare alla sofferenza e aiutare ad accettarla , perchè , una sofferenza accettata è fonte di arricchimento e spesso sorgente di Fede) , nel dono del nostro tempo e di qualche rinunzia.

Sono pensieri e propositi già altre volte espressi ma è bene che ce li ripetiamo per aiutarci a fare,
In questi gesti troviamo il senso della resurrezione in un rapporto orizzontale di noi con chi ci è prossimo , senza esclusione di nessuno perchè tutti ci sono prossimo.
Senza questa solidarietà la preghiera che innalziamo a Dio rischia di essere intimistica ed esclusiva ma è anche con la preghiera che siamo stimolati all’ amore ed è con la preghiera che si esprime la nostra umiltà .

Il mio primo riferimento di Fede è Gesù uomo e per me , il massimo del credere è il Gesù risorto. E un altro riferimento , e direi un affettuoso riferimento , è Carlo Maria Martini e due passaggi mi sono rimasti impressi del suo libro ” Conversazioni Notturne a Gerusalemme:
-Alla domanda che cosa avrebbe chiesto a Gesù quando avesse sentito arrivare il suo momento Carlo Maria si è confessato rispondendo che lo avrebbe pregato di prenderlo per mano e di aiutarlo a superare la paura.
-A proposito della Chiesa, ci ha detto che un tempo sognava che procedesse in povertà e umiltà , ma , raggiunti i settantacinque anni , non aveva più di questi sogni e aveva deciso di pregare per questa Chiesa.

Ebbene, questa nota triste del Cardinale Martini si può sperare che con Papa Francesco possa essere superata e , proprio nell’ ultimo libro di Raniero La Valle , che sto leggendo
in questi giorni con vero godimento spirituale , Francesco è tratteggiato come il Papa della Speranza , nella ricca e documentata esposizione dei Suoi interventi in questi primi due anni di Pontificato in un promettente recupero del Concilio Vaticano 2°.