Chiesa del dissenso, dove vanno le comunità di base di V.Bonanni

Vittorio Bonanni
www.lindro.it

Chi negli anni ’60 e ’70 sperava in un’emancipazione della società italiana, dopo il Ventennio fascista e il predominio della Dc (Democrazia Cristiana), non poteva non guardare con favore e simpatia alle Comunità Cristiane di Base, nate proprio in quel periodo in America Latina e poi in Italia, con l’intento di superare le contraddizioni tra lo spirito del Vangelo e la politica della Chiesa di Roma. Un impegno favorito dal Concilio Vaticano Secondo che rivoluzionò l’approccio tra fede e società. Sono passati decenni da allora e abbiamo voluto capire con tre personalità autorevoli del mondo cattolico progressista Vittorio Bellavite, portavoce di Noi Siamo Chiesa (www.noisiamochiesa.org); Eugenio Melandri, tra i fondatori del movimento comunitario di base, già europarlamentare di Rifondazione Comunista e coordinatore di Chiama l’Africa e Giovanni Franzoni, fondatore della storica Comunità di San Paolo di Roma in che condizioni si trova quell’universo che potremmo definire ‘altro’ rispetto alla Chiesa ufficiale, in un contesto politicamente molto diverso da allora e con i pontificati che si sono succeduti dopo quello rivoluzionario di Papa Roncalli.

“La prima questione”, dice Bellavite, “è che non c’è più un quadro politico che faciliti una forza e una presenza del cattolicesimo critico. Non siamo di fronte ad uno scenario condizionato da sinistra, come poteva essere negli anni ’60, ’70 e anche negli anni ’80. E di questo la realtà delle comunità di base ne risente avendo sempre detto di non voler essere un’isola, come invece fanno alcuni pezzi o movimenti della protesta cattolica che si sono organizzati con la loro identità e che tendono quindi a creare confini verso il cosiddetto mondo. Il cattolicesimo progressista, invece, ha sempre sostenuto di volersi mescolare nelle lotte sociali e politiche. In un momento in cui c’erano tensioni terzomondiste, battaglie per la laicità, per il cambiamento sociale, evidentemente era più facile essere critici. Anche per quanto riguarda l’area pacifista potersi collegare con la Populorum Progressio piuttosto che con la Teologia della liberazione, facilitava molto. Oggi, con un quadro politico completamente mutato, questo mondo si è molto indebolito. In secondo luogo, però, è riuscito a tenere, non è scomparso, paradossalmente facilitato dal fatto che con la crisi della sinistra, dove i cattolici del dissenso erano ben accolti, è venuta anche meno l’idea che ad un certo punto la religione era qualcosa che passava, che non serviva più con la risoluzione delle contraddizioni sociali, visione tipica della cultura marxista. Si sono così riscoperti i valori della spiritualità, che in momenti di alta tensione e passione politica erano messi in ombra e la religione è tornata ad essere protagonista”. Resta, comunque, tutta la difficoltà di un universo indebolito in questi anni da un diverso orientamento della Chiesa italiana, “che se fino a metà degli anni ’80”, prosegue Bellavite, “a livello dei vescovi era su una linea moderatamente conciliare con il pontificato di Giovanni Paolo II è diventato anticonciliare. Con il risultato che il cattolico del dissenso più di prima è dovuto andare controcorrente con un impegno maggiore su tutti i fronti. Da quello della riflessione biblica fino all’organizzazione di convegni con un arretramento sul fronte della presenza fisica. Lo scenario è cambiato con l’arrivo di Papa Francesco che in qualche modo ha rovesciato la situazione che resta comunque difficile qui in Italia. Dove appunto il cattolicesimo conciliare si scontra con un disorientamento della gestione della Cei (Conferenza Episcopale Italiana), la quale spesso prende posizione contro il Papa. In questo contesto meno lineare di prima l’attuale pontefice ha ridato comunque fiato e possibilità a chi voleva dire determinate cose”.

Per Eugenio Melandri “in Italia le comunità di base, a partire dal dopo Concilio e con la Teologia della Liberazione in America Latina, hanno sempre avuto un percorso abbastanza complicato. Anche perché da noi eravamo dentro una situazione di diarchia tra Dc e Pci (Partito comunista italiano) e per esprimere un dissenso bisognava guardare obbligatoriamente a sinistra. All’interno di questa polarizzazione le comunità non sono state esentate da critiche, del tipo che si facevano strumentalizzare dalla sinistra e via dicendo. Teniamo anche conto che il cammino della Chiesa del dopo-Concilio è stato abbastanza complicato. Paolo VI si è trovato di fronte ad una situazione che sembrava gli dovesse scappare di mano e ad un certo punto, come dimostra la storia dei cristiani per il socialismo, si è quasi bloccato. E prese molto male la scelta, da lui criticata pubblicamente, di Raniero La Valle e di Mario Gozzini quando si candidarono nel Pci. Senza dimenticare la tragedia di Aldo Moro al quale lui era molto legato. Poi è arrivato Papa Wojtyla, quello che ha messo più in difficoltà le comunità di base. Lui, dice Melandri,ha asfaltato un ribollire che c’era di iniziative tendendo a fare una Chiesa quasi a immagine e somiglianza del Vaticano con una sorta di centralità totale della linea che portava avanti tanto da decapitare in America Latina tutte le diocesi vicine alla Teologia della Liberazione. Oggi ho l’impressione che invece questo papa qui stia in un certo senso anticipando le stesse comunità di base. Francesco ha portato una carica nuova nella Chiesa prendendo dall’America Latina non solo ciò che nasce dalla Teologia della Liberazione – e infatti si è visto per la prima volta Gustavo Gutierrez in Vaticano, cosa impensabile precedentemente- ma da quella religiosità popolare molto presente in quel continente e tipica anche dell’Argentina. E Francesco è stato capace di cogliere questa dimensione. Una papa che ritengo essere l’unico esponente a livello mondiale che dice chiaramente le cose riguardo la globalizzazione, riguardo questa cultura dello scarto, a questo sistema economico che espelle i giovani, che non dà lavoro, che ruba la dignità alle persone. E a questi discorsi accompagna un grande legame con la gente, con il popolo. Una sfida alle comunità di base perché fondamentalmente in Italia sono state un po’ un élite e non sono riuscite ad entrare nel vivo delle problematiche quotidiane. Un modo di affrontare le grandi tematiche mondiali che non trova riscontro nella sinistra italiana ridotta ai minimi termini. “Questa situazione, dice il missionario,  “da un certo punto di vista potrebbe essere anche un vantaggio nel senso che i cristiani sono chiamati a scegliere dentro un contesto estremamente complicato dove i contorni non sono definiti e non esiste più la classica distinzione tranchant tra destra e sinistra. Dentro questo nuovo contesto la dialettica è più tra il basso e l’alto, tra quel 99% contro l’1% come dicevano quelli di Occupy Wall Street. La Chiesa è chiamata attraverso i laici e dunque le comunità di base a reinventarsi essa stessa una nuova politica perché i punti di riferimento sono venuti meno. E quel vecchio concetto sul quale si basavano quelle realtà è ormai superato dalla politica di Francesco”.

Giovanni Franzoni, personalità storica del cattolicesimo del dissenso, descrive l’attuale situazione delle comunità di base: “Esiste un coordinamento nazionale che attualmente vede come Segretario Massimiliano Tosato, che si trova a Bologna. Le più note”,  ricorda l’ex abate di San Paolo, ridotto allo stato laicale nel 1976 per le sue simpatie a sinistra, “sono riuscite a resistere anche alla morte di alcuni personaggi importanti come Enzo Mazzi dell’Isolotto di Firenze, Mauro Del Nevo di Livorno. Oltre alla nostra ci sono anche quelle di Torino e di Napoli, che si chiama del Cassano, mentre a Catanzaro e ad Avola hanno sofferto molto il cambiamento dei tempi. Allora come oggi lo slogan che adottammo, parlo di mezzo secolo fa, non era per ‘un’altra chiesa’ ma per ‘una chiesa altra’. Cioè rimanere cattolici ma con una autonomia ed anche con forme di disobbedienza non provocatorie ma prendendosi la libertà a cui si pensava di avere diritto, soprattutto nella parola, nell’opinione, nell’interpretazione teologica e canonica. E contro alcune restrizioni come il celibato obbligatorio. Periodicamente ci ritroviamo e organizziamo sempre un convegno di solito annuale. Ci riuniamo anche con quelli che vengono chiamati ‘cattolici del disagio’ che più o meno sui singoli punti la pensano esattamente come noi però non giungono all’infrazione delle regole. Da noi, per esempio, le donne ad un certo punto vanno alla tavola, spezzano il pane e danno la comunione, violazione appunto delle regole che loro non accettano”.

A Franzoni chiediamo come sia cambiato il loro rapporto con la politica in tutti questi anni. Qualcuno è vicino a Sel (Sinistra, Ecologia e Libertà), altri, come me, non sanno fino all’ultimo per chi votare. Localmente, per l’amicizia che avevo con Margherita Hack e Luigi Cancrini, mi sono trovato vicino ai comunisti italiani che sono però totalmente assenti dal dibattito pubblico. Comunque le comunità di base non hanno fatto in questo senso nessunissima scelta e non esercitano pressioni su nessuno. Nei confronti, invece, dell’attuale pontificato c’è una maggiore attenzione, però, ciascuno ha anche delle posizioni personali. E io sono uno di quelli che ha segnalato volta per volta come lui facilmente cadesse in delle trappole. Francesco ha ricevuto per esempio un’associazione di esorcisti e li ha benedetti, confermando che il diavolo esiste come esistono le pene eterne dell’inferno. Ha ricevuto e benedetto un’associazione che raggruppa gli obiettori di coscienza, che da obiettori appunto si sono trasformati in sabotatori della legge 194. Mentre da un lato con un linguaggio di rottura fa intravedere delle cose, come quando ha detto ‘chi sono io per giudicare un omosessuale’, dall’altro quando la Francia manda un omosessuale come Ambasciatore presso la Santa Sede questo viene rifiutato e non c’è una reazione ferma da parte del Pontefice. Le varie dinamiche che si presentano lo cacciano insomma in un ginepraio e io sono a questo punto propenso a non giudicare perché non so se alla fine quando lui si dimetterà o morirà la situazione sarà migliore o peggiore”.

Ciò che emerge da queste dichiarazioni è l’esistenza di un mondo in difficoltà ma ancora ricco di fascino e fortemente impregnato di democrazia e desiderio da ascoltare. Un’esperienza da preservare per la salute della Chiesa cattolica e di una democrazia italiana in affanno e troppo distante dalle esigenze delle persone.