Francesco chiede perdono ai valdesi di L.Kocci

Luca Kocci
il manifesto, 23 giugno 2015

Ci sono voluti più di 800 anni, ma alla fine un pontefice romano ha chiesto «perdono» ai valdesi per le scomuniche, le persecuzioni e le violenze operate dei cattolici nei loro confronti.

«Da parte della Chiesa cattolica vi chiedo perdono per gli atteggiamenti e i comportamenti non cristiani, persino non umani che, nella storia, abbiamo avuto contro di voi. In nome del Signore Gesù Cristo, perdonateci!». Le parole sono state pronunciate ieri mattina da papa Francesco, all’interno del tempio valdese di corso Vittorio Emanuele II, a Torino, al termine della visita di due giorni nel capoluogo piemontese.

«La sua richiesta di perdono ci ha profondamente toccati e l’abbiamo accolta con gioia – la reazione del pastore Eugenio Bernardini, moderatore della Tavola valdese (organo esecutivo dell’Unione delle Chiese metodiste e valdesi) –. Naturalmente non si può cambiare il passato, ma ci sono parole che a un certo punto bisogna dire, e il papa ha avuto il coraggio e la sensibilità per dire la parola giusta».

Insomma benché arrivata con grande ritardo (per Galileo ci vollero “appena” 350 anni), la richiesta di perdono di papa Francesco per le gravi colpe della Chiesa cattolica nei confronti dei valdesi ha una valenza storica. Perché è il riconoscimento di errori storici e violenze compiute non da singoli uomini di fede, ma dalla stessa istituzione ecclesiastica: la prima cacciata dalla diocesi di Lione, nel 1177, dove il mercante Pietro Valdo, spogliatosi dei suoi beni, aveva cominciato a vivere e a predicare una Chiesa povera e dei poveri e a diffondere il Vangelo tradotto in volgare, infrangendo il monopolio clericale dell’annuncio della Parola; la scomunica dei valdesi da parte di papa Lucio III, nel 1184; poi, lungo tutto il medioevo, le persecuzioni, i tribunali dell’Inquisizione, i roghi, con la benedizione dei papi; infine le nuove persecuzioni, in età moderna, quando i valdesi aderirono alla Riforma protestante.

«Entrando in questo tempio – ha detto Bernardini accogliendo il papa –, lei ha varcato una soglia storica, quella di un muro alzatosi oltre otto secoli fa quando il movimento valdese fu accusato di eresia e scomunicato dalla Chiesa romana. Qual era il peccato dei valdesi? Quello di essere un movimento di evangelizzazione popolare svolto da laici, mediante una predicazione itinerante tratta dalla Bibbia, letta e spiegata nella lingua del popolo». Ciò che, ha aggiunto Bernardini, vogliono essere i valdesi ancora oggi: una «comunità di fede cristiana» che annuncia il Vangelo «nella libertà».

«L’inizio di una nuova stagione ecumenica», aveva auspicato Bernardini, intervistato domenica dal manifesto. In parte è così, anche se le differenze restano. Differenze di natura teologica ed ecclesiologica. «Il Concilio Vaticano II ha parlato delle Chiese evangeliche come di “comunità ecclesiali”», ha ricordato Bernardini, chiedendo: «Non abbiamo mai capito bene che cosa significhi questa espressione, una Chiesa a metà?». Resta sullo sfondo la Dichiarazione Dominus Iesus – firmata dal card. Ratzinger, con Wojtyla papa, nel 2000 – che afferma la superiorità della Chiesa cattolica su tutte le altre Chiese cristiane. E differenze su «importanti questioni antropologiche ed etiche», ha segnalato papa Francesco: dal fine-vita (i valdesi sono a favore del testamento biologico) alle unioni omosessuali, che vengono benedette con una certa frequenza in molte chiese valdesi.

Ma ci sono anche molti punti in comune, su questioni religiose – la pubblicazione di una traduzione «interconfessionale» della Bibbia, le intese per la celebrazione dei matrimoni “misti” – e sociali, a cominciare dal lavoro comune, soprattutto in Sicilia, nell’accoglienza dei migranti che, ha denunciato Bernardini, «la fortezza Europa respinge».

«L’unità non significa uniformità, i fratelli sono accomunati da una stessa origine ma non sono identici tra di loro», ha detto il papa, augurandosi comunque che il «movimento ecumenico» vada avanti, perché «l’unità si fa in cammino». Magari, ha aggiunto Bernardini, con qualche traguardo raggiunto entro il 2017, a « 500 anni dalla Riforma protestante».

Nei due giorni a Torino di papa Francesco non c’è stato solo l’incontro con i valdesi. Domenica la visita alla Sindone – che, nonostante le evidenze storiche, continua ad essere venerata dai cattolici e dai papi (come ben spiegato dallo storico Andrea Nicolotti sul manifesto di sabato) –, la messa in piazza, l’incontro con i salesiani, con i disabili del Cottolengo, con i giovani (a cui ha raccomandato di essere «casti» e ha ricordato anche le vittime dimenticate della Shoah: «rom» e «omosessuali») e con «il mondo del lavoro», “ecumenicamente” rappresentato da un’operaia, un agricoltore e un imprenditore, che hanno salutato Francesco. «Il lavoro non è necessario solo per l’economia, ma per la persona umana – ha detto Bergoglio –, per la sua dignità, per la sua cittadinanza, per l’inclusione sociale. Torino è storicamente un polo di attrazione lavorativa, ma oggi risente fortemente della crisi: il lavoro manca, sono aumentate le disuguaglianze economiche e sociali, tante persone si sono impoverite e hanno problemi con la casa, la salute, l’istruzione e altri beni primari. Il lavoro è fondamentale», e «questo richiede un modello economico che non sia organizzato in funzione del capitale e della produzione ma piuttosto in funzione del bene comune». In prima fila, ad applaudire queste parole, anche l’amministratore delegato di Fiat Chrysler Automobiles (Fca), Sergio Marchionne.

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Il papa in visita ai valdesi. Inizio di «una nuova stagione ecumenica». Intervista al moderatore della Tavola valdese

Luca Kocci

«Diremo insieme una preghiera in comune, la versione ecumenica del Padre nostro, come fanno i cristiani quando si incontrano. Ci ascolteremo, ci scambieremo dei doni, e canteremo insieme. Sarà un incontro all’insegna della sobrietà e della fraternità ecumenica che negli ultimi due anni abbiamo visto crescere e rafforzarsi. Sobrietà e fraternità, del resto, sono tipiche della tradizione valdese ma anche dello stile di questo papa, che con il suo gesto conferma l’avvio di una nuova stagione ecumenica».

Così il pastore Eugenio Bernardini, da tre anni moderatore della Tavola valdese, organo esecutivo dell’Unione delle Chiese metodiste e valdesi, presenta l’incontro e la visita che domani, lunedì 22 giugno, papa Francesco farà al tempio valdese di corso Vittorio Emanuele II a Torino, durante la sua due giorni nel capoluogo piemontese, cominciata oggi, domenica 21, con la preghiera davanti alla Sindone e la messa in piazza insieme al vescovo della città, mons. Cesare Nosiglia. «Un luogo particolarmente significativo – spiega Bernardini –, perché si tratta di un tempio costruito nel 1853, cinque anni dopo il primo riconoscimento dei diritti civili e politici ai valdesi da parte di Carlo Alberto, in una città che sarebbe diventata la prima capitale del nuovo Stato unitario».

Sarà la “prima volta” di un pontefice cattolico in una chiesa valdese da quando i valdesi, la più antica minoranza cristiana del nostro Paese, sono presenti in Italia, ovvero 800 anni. Unica comunità cristiana perseguitata in due momenti diversi della storia – la prima nel XII-XIII secolo quando il mercante lionese Pietro Valdo fondò una comunità povera ed evangelica che si contrapponeva nei fatti alla ricca e potente Chiesa romana, la seconda nel ‘500 quando aderirono alla Riforma protestante –, oggi i valdesi costituiscono la principale Chiesa cristiana non cattolica in Italia, con circa 30mila fedeli. «La visita del papa rappresenta il riconoscimento del cammino ecumenico degli ultimi decenni, che ha prodotto diversi risultati – aggiunge Bernardini –. Possiamo dire che si chiude, dopo secoli, la stagione del pregiudizio, del conflitto, della condanna per essere cristiani in un modo alternativo. La visita di domani è il frutto di quello che c’è stato ma è anche impulso per il cammino ancora da fare».

Ad accogliere il papa, alle 9 di lunedì, in rappresentanza della comunità locale, sarà il presidente del Concistoro, Sergio Velluto. Seguiranno i saluti del pastore della chiesa Paolo Ribet e del moderador della Mesa Valdense di Uruguay e Argentina, Oscar Oudri. Prima dello scambio dei doni ci saranno rispettivamente gli interventi del moderatore e del papa. E sono attesi numerosi rappresentanti dell’evangelismo italiano, tra cui la presidente dell’Opera per le Chiese evangeliche metodiste in Italia Alessandra Trotta, il presidente della Federazione delle Chiese evangeliche in Italia, pastore Massimo Aquilante, il decano della Facoltà valdese di teologia di Roma, pastore Fulvio Ferrario, il teologo Paolo Ricca, e tanti altri.

Pastore Bernardini, l’incontro di domani segnerà davvero l’inizio di una nuova stagione ecumenica?

«Ce lo auguriamo. E anche se alle nostre spalle c’è un cammino ecumenico di decenni, iniziato quindi ben prima di Francesco, pensiamo ad ulteriori possibilità di sviluppo positivo e di ascolto reciproco anche su questioni controverse di cui sicuramente domani parleremo. Con il nostro gesto vogliamo dimostrare che la diversità non è solo conflittuale, ma che è capace di vivere in comunione. Tanti credenti camminano già adesso insieme sulla pace, sulla giustizia, sulla responsabilità verso il creato. Questo incontro vuole essere l’occasione per un rinnovato impegno».

Siete stati voi ad invitare papa Francesco. Avevate invitato anche Wojtyla e Ratzinger?

«No, abbiamo scelto di invitare questo papa e non altri, sebbene dal Concilio Vaticano II in poi ci siano stati molti incontri ecumenici, ma sempre in Vaticano o in “campo neutro”».

Wojtyla e Ratzinger hanno avuto un ruolo fondamentale – il primo perché papa, il secondo perché prefetto della Congregazione per la dottrina della fede – nell’elaborazione e approvazione, nel 2000, della Dichiarazione Dominus Iesus in cui si afferma con nettezza la superiorità della Chiesa cattolica su tutte le altre Chiese cristiane. È cambiato qualcosa?

«Oggi il clima mi sembra diverso, e infatti l’invito è per segnare una fraternità nuova. Papa Francesco ci ha messo molto del suo, a cominciare dalla scelta del nome, ispirato a Francesco d’Assisi, che ha molte affinità con Pietro Valdo, a partire dalla scelta per i poveri. Inoltre lo stile di papa Francesco è diretto e franco, mi sembra molto interessato al contributo di altri cristiani e alla responsabilità sociale».

Oltre la fede in Gesù Cristo, cosa unisce maggiormente cattolici e valdesi?

«Sicuramente una consonanza di idee e una fattiva per esempio sul tema dell’accoglienza dei migranti, dei profughi, dei richiedenti asilo. A Lampedusa, a Pozzallo e in altre aree, le nostre Chiese, con le proprie strutture di servizio, come la Caritas per i cattolici e le nostre opere di solidarietà, collaborano e lavorano insieme. E questo è ecumenismo diretto e dal basso. Ma ci troviamo in sintonia anche sulla pace, sulla lotta alla fame nel mondo, sulle azioni a sostegno delle fasce sociali più deboli, sulla difesa dell’ambiente: abbiamo apprezzato molto l’enciclica Laudato si’».

Infatti sull’enciclica la pastora Letizia Tomassone, da anni impegnata sul fronte della salvaguardia del Creato (e autrice del recente volume pubblicato dalla Claudiana Crisi ambientale ed etica. Un nuovo clima di giustizia), ha detto che il testo «andrà riletto e studiato con calma, tuttavia già si vede che questa enciclica potrà avere un forte peso sulla cultura del nostro tempo e, speriamo, sulle scelte economiche e industriali che gli Stati si trovano a dover fronteggiare di fronte alla crisi climatica e ambientale del pianeta. Speriamo anche che apra a un nuovo e forte impegno nel dialogo ecumenico». Su altri temi invece le distanze fra cattolici e valdesi sono enormi…

«È vero. Su famiglia – anzi famiglie –, omosessualità, ruolo delle donne nella Chiesa, questioni del fine-vita le nostre posizioni sono molto lontane. Anche se la base cattolica mi sembra più avanzata della gerarchia»

La Chiesa valdese è decisamente più aperta. È a favore del testamento biologico, benedice le unioni omosessuali, l’ultima solo pochi giorni fa al tempio valdese di piazza Cavour a Roma…

«Su questo tema il nostro Sinodo, che si svolge ogni anno ad agosto, ha elaborato un indirizzo comune, ma ha scelto di non imporre nulla dall’alto, né divieti né obblighi, ma di consentire alle singole Chiese locali di agire come meglio credono, con i loro tempi. Le dichiarazioni di principio o le imposizioni dall’alto non servono a nulla se la base non matura le scelte. Solo così si realizzano i cambiamenti reali. È un percorso coerente con la nostra storia democratica, potrebbe diventare un modello anche per altri».

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Nel tempio dei valdesi. «Francesco e non altri»

Luca Kocci

La prima volta di un pontefice cattolico in un tempio valdese da quando i valdesi, la più antica “minoranza” cristiana del nostro Paese, sono presenti in Italia, ovvero 800 anni.

Succederà domani, nel tempio di corso Vittorio Emanuele II a Torino. «Un luogo significativo, costruito nel 1853, cinque anni dopo il riconoscimento dei diritti civili e politici ai valdesi da parte di Carlo Alberto, in una città che sarebbe diventata la prima capitale del nuovo Stato unitario», spiega il pastore Eugenio Bernardini, moderatore della Tavola valdese, organo esecutivo dell’Unione delle Chiese metodiste e valdesi.

Unica comunità cristiana perseguitata in due momenti diversi della storia – la prima nel XII-XIII secolo quando il mercante lionese Pietro Valdo fondò una comunità povera ed evangelica che si contrapponeva nei fatti alla ricca e potente Chiesa romana, la seconda nel ‘500 quando aderirono alla Riforma protestante –, oggi i valdesi costituiscono la principale Chiesa cristiana non cattolica in Italia, con circa 30mila fedeli. «La visita del papa rappresenta il riconoscimento del cammino ecumenico degli ultimi decenni – aggiunge Bernardini –. Si chiude, dopo secoli, la stagione del pregiudizio, del conflitto, della condanna per essere cristiani in un modo alternativo. La visita di domani è il frutto di quello che c’è stato ma è anche impulso per il cammino ancora da fare».

Avete invitato voi papa Francesco. Lo avevate fatto anche con Wojtyla e Ratzinger?

«No, abbiamo scelto di invitare questo papa e non altri, sebbene dal Concilio Vaticano II in poi ci siano stati molti incontri ecumenici, in Vaticano o in “campo neutro”».

Wojtyla e Ratzinger hanno avuto un ruolo fondamentale – il primo perché papa, il secondo perché prefetto della Congregazione per la dottrina della fede – nella pubblicazione, nel 2000, della Dichiarazione Dominus Iesus in cui si afferma con nettezza la superiorità della Chiesa cattolica su tutte le altre Chiese cristiane. È cambiato qualcosa?

«Oggi il clima mi sembra diverso, e infatti l’invito segna una fraternità nuova. Papa Francesco ci ha messo molto del suo, a cominciare dalla scelta del nome, ispirato a Francesco d’Assisi, che ha molte affinità con Pietro Valdo, a partire dalla scelta per i poveri. Inoltre lo stile di papa Francesco è diretto e franco, si mostra interessato al contributo di altri cristiani e alla loro responsabilità sociale».

È l’inizio di una nuova stagione ecumenica?

«Ce lo auguriamo. Alle nostre spalle c’è un cammino ecumenico iniziato ben prima di Francesco, ma pensiamo ad ulteriori possibilità di sviluppo positivo e di ascolto reciproco anche su questioni controverse».

Quali?

«Ne parleremo domani».

Oltre la fede in Gesù Cristo, cosa unisce maggiormente cattolici e valdesi?

«Una consonanza di idee e una fattiva collaborazione per esempio sul tema dell’accoglienza dei migranti, dei profughi, dei richiedenti asilo. A Lampedusa, a Pozzallo e in altre aree, le nostre Chiese, con le proprie strutture di servizio, lavorano insieme. E questo è ecumenismo diretto e dal basso. Ma ci troviamo in sintonia anche sulla pace, sulle azioni a sostegno delle fasce sociali più deboli, sulla difesa dell’ambiente: abbiamo apprezzato molto l’enciclica Laudato si’».

Su altri temi invece le distanze sono grandi…

«Su famiglia – anzi famiglie –, omosessualità, ruolo delle donne nella Chiesa, fine-vita le nostre posizioni sono lontane. Ma la base cattolica mi sembra più avanzata della gerarchia»

La Chiesa valdese è decisamente più aperta. È a favore del testamento biologico, benedice le unioni omosessuali, l’ultima solo pochi giorni fa a Roma…

«Su questo tema il nostro Sinodo, che si svolge ogni anno ad agosto, ha elaborato un indirizzo comune, senza però imporre nulla, né divieti né obblighi, ma consentendo alle singole Chiese locali di agire come meglio credono. Le dichiarazioni di principio, le imposizioni dall’alto non servono a nulla se la base non matura le scelte. Solo così si realizzano cambiamenti reali. È un percorso coerente con la nostra storia democratica, potrebbe diventare un modello anche per altri».