Parma: parla Rita Torti, una delle donne cattoliche che dicono no alle barricate sul “gender” di I.Colanicchia

Ingrid Colanicchia
Adista Notizie n° 28 del 01/08/2015

Di fronte a una campagna martellante e aggressiva come quella contro la cosiddetta “ideologia gender” hanno scelto di prendere carta e penna e di rivolgersi direttamente ai/alle responsabili di associazioni e movimenti cattolici della loro diocesi, quella di Parma, per invitarli al dialogo. Sono le Sante Lucie, un gruppo di donne a vario titolo impegnate nella vita della Chiesa diocesana, trovatesi per la prima volta nel 2013 per rispondere alle domande del Questionario in vista del Sinodo. «In questi mesi – spiegano ai destinatari della loro missiva – ci siamo confrontate sui temi del genere a partire dalle nostre diverse prospettive e competenze, e abbiamo sentito la necessità di condividere con voi alcune riflessioni». Per approfondire le ragioni della loro iniziativa, abbiamo rivolto qualche domanda a una di loro, Rita Torti, esperta di studi di genere e collaboratrice di enti, scuole e associazioni per progetti sui temi del femminile-maschile in ambito culturale, sociale e religioso e autrice di Mamma, perché Dio è maschio? Educazione e differenza di genere (v. Adista Documenti n. 8/14).

Come mai avete scelto di focalizzarvi più sul metodo e sul linguaggio che sui contenuti di questa campagna contro la cosiddetta “ideologia di genere”?

Perché, come abbiamo detto concludendo la lettera, al momento il metodo e il linguaggio dominanti impediscono, secondo noi, di ragionare sui contenuti in modo adeguato. La mobilitazione “antigender” mette insieme temi, saperi, soggetti sociali che hanno tempi, storie e motivazioni differenti e li demonizza in blocco, spesso anche distorcendoli. Noi, forse anche per il fatto che il nostro gruppo non è un monolite e su tanti temi abbiamo pareri diversi, riteniamo invece che sia necessario distinguere le questioni in gioco e collocarle nei loro propri contesti e linguaggi, e da lì partire per approfondimenti, valutazioni, ricerche. Di solito, oltretutto, nel lavoro intellettuale e culturale si fa così.

La vostra lettera ha ricevuto un’accoglienza calorosa sui social network, così come l’intervento di poche settimane fa delle comboniane, a dimostrazione che una presa di parola su questi temi da parte di quella porzione di Chiesa che non si riconosce in questa battaglia sia quanto mai necessaria… Cosa vi ha spinto a questo passo?

Siamo donne coinvolte attivamente nella vita ecclesiale e diverse di noi (ma sappiamo di non essere un caso isolato) si sono trovate a disagio e in grande difficoltà di fronte a una campagna martellante e molto aggressiva che mette in discussione non solo la validità “umana”, ma a volte perfino la coerenza con la fede di impegni che da anni – ormai decenni, in realtà – ci hanno accumunate pur nella varietà dei percorsi individuali: ad esempio quelli della promozione di relazioni liberanti tra i sessi in famiglia e nella società, del lavoro culturale e educativo di decostruzione degli stereotipi, del contrasto alla violenza maschile verso le donne nelle sue molteplici manifestazioni. Volevamo quindi provare a ragionare di “gender” insieme alle persone che condividono con noi la vita di Chiesa, e farlo in un modo più articolato e corretto rispetto a quanto vediamo accadere intorno a noi, che poi sfocia nelle terroristiche e incontrollate catene di false informazioni, arrivate anche sui nostri cellulari, che pare nessuno si sia preoccupato di fermare. Intanto abbiamo scritto la lettera. Poi vedremo.

Avete ricevuto qualche risposta da parte delle associazioni cui vi siete rivolte? E da parte di altri?

Finora nessuna risposta dalle persone a cui la lettera è indirizzata. Qualcuno sarà in vacanza, altri magari l’hanno vista ma si prendono un po’ di tempo per pensarci o condividerla con i membri delle associazioni e movimenti di cui sono responsabili. Per quanto riguarda le reazioni “esterne”, leggendo i commenti in rete io personalmente non ho provato soddisfazione per le molte attestazioni di gratitudine e di condivisione, anche se ovviamente fanno piacere. Piuttosto, una certa tristezza nel vedere quante persone abbiano sottolineato quasi con sorpresa il fatto che noi pur essendo cattoliche ci esprimiamo su questi temi con uno stile e un modo di argomentare non aggressivi e non generalizzanti. Questo mi fa male perché dà l’idea di quanto sia negativa l’immagine che normalmente molti hanno dei cattolici riguardo a questi argomenti: ci sarà certo un po’ di pregiudizio, ma se penso a quello che leggo da mesi su giornali e siti, mi sento di dire che c’è anche del vero.

Al di là del battage mediatico, quanto pensi sia diffusa nel mondo cattolico la percezione che esista davvero un'”ideologia di genere”?

A questa domanda non so rispondere, perché bisognerebbe conoscere un gran numero di contesti indagandoli direttamente, non basandosi solo su quanto di essi viene raccontato: non tutte le posizioni fanno ugualmente notizia, e non tutti si fanno sentire con gli stessi decibel. Certo i cattolici sono molto esposti, nel circuito delle parrocchie e di altre realtà anche istituzionali, a un tipo di informazione e formazione “antigender” che mi pare goda del monopolio degli spazi e della legittimazione da parte della gerarchia ecclesiastica. Non trovo eccessivamente strano o scandaloso, in un contesto di questo tipo, che quelli che pensano diversamente preferiscano non manifestare apertamente prospettive divergenti, ma stiano appartati continuando a lavorare su quello in cui credono. Non è l’ideale per la vita della Chiesa, probabilmente, ma forse continuare a seminare è più utile che impegnarsi in confronti a cui gli interlocutori evidentemente non sono interessati.

Sei l’autrice di un prezioso volume che indaga come anche l’educazione religiosa e la trasmissione della fede influiscano nella costruzione del maschile e del femminile (Mamma perché Dio è maschio?). Quale ruolo la Chiesa potrebbe svolgere in quest’ottica?

Forse semplicemente prenderne atto. Abbiamo una storia che può insegnarci molto, è un tesoro prezioso: ci mostra le continue interpretazioni del dato biologico della dualità sessuale che nel discorso teologico ed ecclesiale si sono succedute e sovrapposte, il condizionamento a volte anche molto pesante che le pre-comprensioni di genere hanno esercitato sulla lettura delle Sacre Scritture, poi rafforzate dall’omiletica, dalla catechesi, dalla pratica delle confessioni; e ci mostra anche la benedizione rappresentata dallo sguardo di genere sulle fonti della nostra fede. Se non riflettiamo su tutto questo, rischiamo di far passare per naturale e oggettivo ciò che naturale e oggettivo non è, e di ingabbiare le coscienze, ma anche il Vangelo.

In questi ultimi mesi anche il papa è tornato più volte sull’argomento, arrivando tra le altre cose a dire che «la complementarità tra un uomo e una donna, vertice della creazione divina, viene messa in discussione dalla cosiddetta ideologia gender». Come interpreti queste dichiarazioni?

Ho difficoltà a interpretarle perché il papa si è espresso in discorsi non ufficiali, quindi mi mancano gli elementi per capire esattamente a quali fatti, studi (sia socio-culturali che teologici) e processi si riferisca. Già il fatto che Francesco parli di “cosiddetta ideologia gender” non aiuta: è una formula usata sempre e solo da chi sta promuovendo quelle campagne di cui parlavamo all’inizio dell’intervista, ma che non ha un significato univoco. Francesco stesso, in altri suoi discorsi, riguardo ai rapporti tra uomini e donne ha denunciato cose che da anni gli studi di genere denunciano, e a cui le politiche di genere in tutto il mondo tentano di porre rimedio. Quindi che dire? Mi piacerebbe molto parlare con lui di queste cose. E non sono l’unica: Cristina Simonelli (presidente del Coordinamento Teologhe Italiane, ndr) ad esempio, ha scritto una lettera aperta che spero Francesco abbia occasione di leggere.

Raccontate di esservi incontrate la prima volta per rispondere al Questionario in vista del Sinodo straordinario svoltosi nell’ottobre 2014. Avete ripetuto l’esperienza anche per il secondo Questionario in vista del Sinodo di quest’anno? Su quali temi avete posto l’accento nelle vostre risposte? E cosa vi aspettate e vi augurate dall’Assemblea del prossimo ottobre?

No, non ci siamo trovate per il secondo Questionario. Come detto, siamo un gruppo informale, ci riuniamo e discutiamo su sollecitazione delle singole. E in questo caso la sollecitazione non c’è stata. Il motivo non lo so; mi pare che in generale, nella Chiesa, la seconda “chiamata” abbia avuto meno riscontri della prima. Forse un po’ di stanchezza, o di sfiducia riguardo al fatto di ricevere ascolto, o la percezione che il Sinodo ha percorsi suoi abbastanza autonomi e che le voci del popolo di Dio non ci possano entrare più di tanto; magari anche solo per il fatto che è un’Assemblea che coinvolge tutto il mondo, e nel mondo non c’è “la famiglia”, anche fra i cattolici, ma ci sono “le famiglie”, che vivono innanzitutto le dinamiche dei contesti in cui sono immerse, anche se il riferimento è o dovrebbe essere il Vangelo. Ma, appunto, il Vangelo viene sempre letto attraverso lenti culturali. Quindi non so cosa le Sante Lucie si aspettino dal prossimo Sinodo. Personalmente, ho notato che alcuni punti deboli di metodo e di merito riguardo al maschile-femminile sono rimasti più o meno uguali nell’ultimo Instrumentum Laboris; ma forse su questo incide non poco la composizione solo maschile dell’episcopato e quasi totalmente maschile dell’Assemblea sinodale stessa. Non c’è da scandalizzarsi. È normale: gli uomini parlano in quanto uomini, non possono parlare in quanto donne, o a nome delle donne. Se si esalta e si vuole difendere la differenza sessuale, bisogna rendersi conto che essa ha anche questo risvolto sulle strutture. Poi si decide sul da farsi. L’importante è non illudersi che un’Assemblea composta da persone di un unico sesso, e in cui solo un sesso ha parola autorevole e potere deliberante, sia “neutra” e “universale”.