Matrimoni cattolici, arriva il “divorzio breve” di L.Kocci

Luca Kocci
il manifesto, 9 settembre 2015

Arriva il “processo breve” nelle cause canoniche per la «dichiarazione di nullità» dei matrimoni. Lo ha stabilito papa Francesco con due lettere motu proprio – una sorta di decreto speciale “di propria iniziativa” –, una per la Chiesa cattolica romana e una per le Chiese orientali, datate 15 agosto ma rese note ieri. Dall’8 dicembre, quando la riforma entrerà in vigore – la stessa data dell’inizio del Giubileo –, per le coppie sposate con rito religioso sarà più facile, e presumibilmente meno costoso, chiedere ed ottenere che il proprio matrimonio sia dichiarato nullo, qualora il giudice ecclesiastico ne riscontri le condizioni.

Una riforma, spiega Francesco, stimolata dal gran numero di coppie divorziate che, «pur desiderando provvedere alla propria coscienza, troppo spesso sono distolti dalle strutture giuridiche della Chiesa». Una spiegazione che si comprende alla luce della normativa vigente: i divorziati non possono contrarre un nuovo matrimonio religioso e, se sono risposati civilmente o vivono una nuova relazione, non possono accedere ai sacramenti. A meno che il loro primo matrimonio non sia dichiarato nullo da un tribunale ecclesiastico. Ma le nuove regole non minano l’indissolubilità del matrimonio: le disposizioni, puntualizza il papa, non favoriscono «la nullità dei matrimoni ma la celerità dei processi». Sull’argomento interviene anche il card. Coccopalmerio, presidente del Pontificio consiglio per i testi legislativi: si tratta di un processo che conduce «a vedere se un matrimonio è nullo e poi, in caso positivo, a dichiararne la nullità», e «nullità è diversa da annullamento». Potrebbero sembrare cavilli, ma sono precisazioni importanti, anche perché fra un mese si aprirà l’assemblea conclusiva del Sinodo dei vescovi sulla famiglia, e il tema dei divorziati riposati sarà al centro del dibattito, e dello scontro, fra conservatori e innovatori.

I punti chiave della riforma: per decretare la nullità non ci sarà più bisogno della doppia sentenza conforme – una procedura che allunga i tempi e fa lievitare le spese legali –, ma ne basterà una (contro cui si potrà comunque fare appello); il vescovo diocesano potrà dichiarare la nullità di un matrimonio, diventando quindi egli stesso giudice, o nominando un proprio delegato; si accorceranno i tempi processuali, potranno durare da pochi mesi ad un anno, anche meno se la richiesta di nullità è di entrambi i coniugi o di uno solo con il consenso dell’altro; la «gratuità delle procedure», fatta salva – si specifica – «la giusta e dignitosa retribuzione degli operatori dei tribunali» (quindi non saranno gratis, ma i costi dovrebbero essere abbattuti).

La riforma – sollecitata anche al termine della prima fase del Sinodo dei vescovi, ad ottobre 2014, con 143 voti a favore e 35 contrari – può essere letta in due modi opposti. Da un lato il papa ha anticipato le decisioni del Sinodo, fra l’altro accogliendo una delle richieste provenienti dai settori conservatori dell’episcopato, per i quali la semplificazione delle procedure di nullità è un modo per aprire ai divorziati senza modificare di una virgola la dottrina e la disciplina sul matrimonio. Ma è anche vero che così Francesco ha cancellato dall’ordine dei lavori il tema della nullità, in modo che al Sinodo i vescovi non si accapiglino su tale questione ma discutano di altro, come la possibilità di accesso ai sacramenti per i divorziati riposati o di seconde nozze, come chiedono gli innovatori. Per capire in quale direzione andrà la Chiesa di Francesco bisognerà quindi attendere il Sinodo.

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Nullità del matrimonio: la “rivoluzione” breve di papa Francesco

Valerio Gigante
Adista Notizie n° 31 del 19/09/2015

Il futuro prossimo ci dirà se si tratta di una riforma che apre la strada ad ulteriori novità nel campo della dottrina e della pastorale per la famiglia o se invece (e questo riguarda il Sinodo che sta per celebrarsi) le strade contribuirà a chiuderle.

Tutto è contenuto in due lettere con valore di motu proprio che – seguendo un calendario “mariano” – sono state firmate dal papa il 15 agosto (festa dell’Assunta), presentate alla stampa l’8 settembre (festa della Natività di Maria) e che entreranno in vigore a partire dall’8 dicembre (Immacolata Concezione e giorno dell’apertura del Giubileo della Misericordia). Le due lettere, dal titolo Mitis Iudex Dominus Iesus e Mitis et misericors Iesus, intendono riformare il processo canonico per le cause di dichiarazione di nullità del matrimonio rispettivamente nel Codice di Diritto Canonico e nel Codice dei Canoni delle Chiese Orientali.

In sintesi ciò che cambia – per quanto riguarda il diritto latino – è questo: la competenza per le cause di nullità spetta al vescovo della diocesi in cui i coniugi si sono sposati o risiedono. Affinché ciò si realizzi, è necessario che siano entrambi gli sposi a chiederlo. E che ci siano indizi evidenti della nullità delle nozze celebrate in Chiesa. Altrimenti la competenza resta – come in passato – al tribunale ecclesiastico, cui lo stesso vescovo può decidere di rinviare la causa nel caso ritenga che quella diocesana non sia la sede più adatta a discutere la questione di nullità. Nel caso di un processo ordinario davanti al tribunale ecclesiastico, esso dovrà celebrarsi entro un anno al massimo, e la sentenza sarà immediatamente esecutiva, a condizione che non vi sia ricorso in appello o che le motivazioni del ricorso in appello siano manifestamente infondate, cioè che il ricorso non abbia un mero scopo dilatorio. Il secondo grado di giudizio si potrà eventualmente celebrare nelle diocesi metropolitane del Paese dove i coniugi si sono sposati o risiedono (finora era necessario rivolgersi al tribunale ecclesiastico di un’altra diocesi, non di rado assai lontana da quella degli sposi); l’eventuale terzo grado di giudizio, di fronte alla Rota Romana.

Finora, inoltre, per arrivare alla sentenza di nullità erano necessari i giudizi concordi dei giudici di primo e secondo grado. In caso contrario, si ricorreva al terzo grado, ossia alla Rota Romana. A partire dall’8 dicembre in molti casi potrebbe essere sufficiente la “certezza morale” raggiunta dal primo giudice. Per i casi particolarmente complessi e controversi resta però la possibilità di adire a tutti i gradi di giudizio. In ogni diocesi, il vescovo diventa giudice di prima istanza per le cause di nullità e può esercitare questa potestà personalmente, oppure delegarla: dovrà costituire un tribunale per le cause di nullità nella sua diocesi, ma avrà anche la facoltà di accedere al tribunale istituito in una diocesi vicina. Le cause saranno affidate a un collegio di tre giudici, in cui a presiedere sarà sempre un chierico, mentre gli altri due giudici potranno anche essere laici.

Tra la novità forse più rilevanti della riforma varata dal papa la possibilità di richiedere la dichiarazione di nullità per ragioni come «la mancanza di fede che può generare la simulazione del consenso o l’errore che determina la volontà». Una formula che apre la porta alla possibilità che il matrimonio sia dichiarato nullo solo perché l’accesso al sacramento è avvenuto in modo ipocrita, strumentale, non vero o semplicemente incosciente. Il campo di applicazione di questa sola disposizione è potenzialmente amplissimo.

Proprio questa considerazione porta ad analizzare il provvedimento papale nell’ottica del Sinodo che è in procinto di essere celebrato. Le nuove disposizioni dei due motu proprio consentono infatti di accelerare i processi mantenendo intatta la dottrina, affrontare la spinosa questione delle enormi sperequazioni che l’attuale sistema poneva ai cattolici che si rivolgevano alla Rota ribadendo però con fermezza il principio dell’indissolubilità del matrimonio. La pubblicazione dei due motu proprio a pochi giorni dall’inizio del Sinodo sulla Famiglia potrebbe avere l’effetto di sottrarre una materia spinosa, quella dell’indissolubilità e delle seconde nozze, al dibattito sinodale, offrendo forse anche il pretesto all’ala “conservatrice” del Sinodo per evitare di affrontare il tema dell’accesso ai sacramenti per chi ha contratto nuove nozze civili, ipotizzando per questi credenti la via, oggi senza dubbio potenzialmente più rapida ed agevole, dello scioglimento del precedente legame.

Il tema della nullità dei matrimoni e del più semplice accesso alle strutture in grado di decretarlo potrebbe così – nell’ottica del papa – rappresentare una sorta di “riduzione del danno” rispetto al pericolo di affrontare di petto la questione teologica, dottrinale legata al sacramento del matrimonio. Con tutti gli annessi, come le convivenze, le coppie di fatto, le unioni gay.

Nel merito, c’è poi da aggiungere che il motu proprio non affronta in maniera diretta alcune rilevanti questioni. È vero che la costituzione di un tribunale in ogni diocesi dovrebbe in teoria evitare a molti credenti l’obbligo di rivolgersi ai tribunali ecclesiastici ed alla Rota Romana. È però parimenti vero che in diversi casi questi tribunali continuano ad essere le sedi competenti a pronunciarsi sui casi di nullità; ma tali tribunali sono stati istituiti e funzionano solo in alcuni Paesi; ci sono tuttora ampie regioni dell’Africa, dell’Asia e dell’America Latina che ne sono prive. Resta quindi la palese discriminazione tra chi ha le possibilità economiche e le condizioni per accedere alla via giudiziaria per ottenere l’annullamento del proprio matrimonio e chi non le ha. Anche perché la questione delle spesso ingenti spese che un processo di nullità prevede non sono state del tutto risolte. Il papa chiede la «gratuità delle procedure», ma, aggiunge, «per quanto possibile» e «salva la giusta e dignitosa retribuzione degli operai dei tribunali». Rimandando di fatto la questione alle diverse Conferenze episcopali.

E ancora: il vescovo, chiede il papa, «non lasci completamente delegata agli uffici di curia la funzione giudiziaria in materia matrimoniale», nelle grandi come nelle piccole diocesi. Ma se sarà il vescovo a presiedere i tribunali diocesani rischia di essere oberato di una consistente mole di lavoro, mentre se delegherà la Curia si dovrà provvedere ad una ingente ristrutturazione del personale e dei suoi compiti. Basti pensare a Paesi come gli Stati Uniti (dove il papa si recherà in visita dal 22 al 27 settembre prossimi), in cui la questione dell’annullamento riguarda potenzialmente milioni di persone: il 25% dei circa 70 milioni di cattolici Usa sono infatti divorziati; una buona fetta di essi potrebbe adire al tribunale per chiedere l’annullamento del proprio matrimonio (già ora la metà delle cause di nullità proviene proprio dagli Usa). Col rischio di paralizzare le strutture diocesane. Rischio ancora più elevato nel caso delle vaste diocesi dell’Africa o dell’America Latina.