30 anni fa l’Intesa Falcucci-Poletti sull’IRC di A.Sani

Antonia Sani
http://blog-micromega.blogautore.espresso.repubblica.it 18 dicembre 2015

Trent’anni fa, il 15 dicembre 1985, veniva firmata l’Intesa tra Governo italiano e Cei (Conferenza Episcopale Italiana), divenuta il giorno successivo il DPR 751/16.12.1985, applicativo dell’articolo 9 del Nuovo Concordato per l’insegnamento della religione cattolica (irc) nelle scuole pubbliche.

L’inserimento dell’irc nell’orario scolastico obbligatorio – nonostante la facoltatività della scelta prevista dal Nuovo Concordato (1984) – fu la conseguenza di quell’Intesa che pur non nominando esplicitamente il termine “obbligatorio” accanto al termine “orario giornaliero”, tendeva a vanificare di fatto l’eliminazione dell’obbligo di frequenza dell’irc previsto dal precedente Concordato (1929).

Rivisitare a distanza di 30 anni l’inganno cui il popolo italiano fu sottoposto lascia stupefatti.

L’Intesa parte come se nulla fosse cambiato: “…la Repubblica italiana … continua ad assicurare, nel quadro delle finalità della scuola, l’insegnamento della religione cattolica nelle scuole pubbliche…”. Soltanto al punto 2 si accenna al nuovo regime: il diritto di scegliere se avvalersi o non avvalersi dell’irc – assicurato dallo Stato – non deve determinare alcuna forma di discriminazione, neppure in relazione ai criteri per la formazione delle classi, alla durata dell’orario giornaliero e alla collocazione di detto insegnamento nel quadro orario delle lezioni.

Le parole pesano come mattoni. Trattandosi di un’Intesa relativa all’insegnamento della religione cattolica la preoccupazione riguarda la tutela da ogni forma di discriminazione nei confronti di coloro che scelgono di frequentare l’irc: non devono essere isolati in classi apposite, non devono rimanere a scuola oltre l’orario, l’irc deve essere collocato nel quadro orario delle lezioni.

I trent’anni che ci separano da quel provvedimento hanno configurato, tra disorientamento, proteste, ricorsi, un’altra storia. I discriminati erano – sono – i non avvalenti. Proprio la collocazione dell’irc, divenuto facoltativo, all’interno dell’orario scolastico obbligatorio determinava un vuoto assoluto, una totale incuria per chi di quell’insegnamento-confessionale – non intendeva avvalersi.

La ministra Falcucci considerò risolutivo lo stratagemma dell’ora alternativa. I non avvalenti avrebbero potuto durante l’ora di r.c. dedicarsi ad attività culturali di studio con l’assistenza degli insegnanti. Ne nacquero diatribe a non finire: la Camera nel 1986 votò una mozione in cui si chiedeva un insegnamento “certo”, non casuale, come dire, di serie B a fronte dell’irc; dibattiti ci furono anche sulla natura, sui caratteri di questo insegnamento, ma di tutt’altro tenore fu la sentenza della Corte Costituzionale (sent.203/1989) su un ricorso presentato al Tar del Lazio dai non avvalenti e da associazioni laiche.

La Corte si pronunciò contro qualsiasi forma di imposizione affermando il valore della libertà di coscienza. I non avvalenti non dovevano sottostare ad alcun obbligo “alternativo” per il fatto di non avere scelto l’irc. Venne loro riconosciuto “lo stato di non obbligo”.

Quest’affermazione di principio necessitava di un forte sostegno nelle scuole e nella società. Il sostegno ci fu nei primi anni ’90, tanto che nel 1991 la Corte Costituzionale estese lo “stato di non obbligo” al punto da comprendere addirittura l’uscita dall’edificio scolastico dei non avvalenti durante l’irc, qualora l’avessero richiesto. Nel 1990 fu sollecitata dalla società civile, e ottenuta, una revisione dell’Intesa. Il DPR 202 del 1990 (ministro per la P.I. l’on. Sergio Mattarella) mise mano a vari aspetti della normativa di cui quelli ritenuti più importanti per gli effetti diretti sulla popolazione scolastica sono la concentrazione delle 60 ore di irc nella scuola dell’Infanzia in alcuni particolari momenti dell’anno, in modo da evitare la separazione settimanale di bambini e bambine del tutto ignari, e la sostituzione del voto del docente di r.c. allo scrutinio finale “se determinante ai fini di promozione o bocciatura dell’alunno/a” con un giudizio da iscrivere nel verbale.

Vi furono ricorsi da parte dei docenti di r.c., alcuni accolti, altri respinti, ma l’aspetto più grave è rappresentato dal fatto che a tutt’oggi in numerose scuole questo provvedimento non è conosciuto, e non mancano casi di alunni e alunne promossi grazie al voto del docente di r.c.…

L’allentamento della tensione che aveva animato le battaglie del primo decennio dall’entrata in vigore del Nuovo Concordato nella scuola portò a una sorta di indifferenza generalizzata, tranne pochi “ostinati”cui va il merito di aver tenuta accesa la fiamma dell’impegno.

Il termine “esonero” a tutt’ora in uso da parte di chi non si avvale, come se si trattasse di un insegnamento ancora obbligatorio, la dice lunga. La materia alternativa è vista come l’unica possibilità praticabile. Studio individuale (assistito o non assistito), uscita dall’edificio vengono raramente presi in considerazione, a meno che non si tratti (nel caso di non presenza a scuola) di un irc collocato alla prima o ultima ora di lezione. Si tratta di scelte “raffinate” che presuppongono una coscienza laica, che non cede al ricatto della valutazione dell’attività alternativa alla pari di r.c.

A questo proposito va ricordata la lunga vicenda (2006-2009) della contestazione dell’attribuzione del credito scolastico all’esame di Stato assegnata anche al docente di r.c. Si mossero una ventina di associazioni laiche e confessioni religiose diverse dalla cattolica. Il Tar del Lazio accolse i ricorsi mettendo in evidenza le discriminazioni ricadenti sulla diversa fattispecie dei non avvalenti. Ma il ricorso della ministra Gelmini al Consiglio di Stato provocò una storica sentenza (dec. 2749 del 7 maggio 2010): non ci sarebbe stata discriminazione se la scuola avesse avviato un’attività didattico formativa alternativa all’ irc.

Si apriva così un nuovo capitolo. La libertà di coscienza veniva calpestata a favore di una semplificazione inaccettabile, ma che fu accettata. La richiesta di un’attività alternativa sembrò una via accettabile, anzi, da sollecitare, visto che il MAE e il MIUR, sulla base della sentenza del Consiglio di Stato, dichiaravano di retribuire direttamente il docente di attività didattico-formativa (cfr. C.M. marzo 2011). L’attività alternativa cominciava a rappresentare una sorta di ancora di salvezza per i tanti precari delle graduatorie! La subalternità all’irc non viene normalmente percepita. Con buona pace della laicità della scuola.

Ma quale è la realtà nelle scuole? L’attività alternativa continua a non essere condizione generalizzata. Le disposizioni citate non sono neppure note a tutti i dirigenti. Alunni e alunne che non si avvalgono, soprattutto nella Scuola primaria, continuano a essere “spostati” di classe durante l’ora di r.c. L’Uaar recentemente evidenziava il basso numero di alunni che si avvalgono e proponeva l’accorpamento delle classi, riducendo il numero dei docenti di r.c. Ma anche gli alunni che non si avvalgono sono pochi in molte realtà…E anche i docenti di attività alternativa hanno un costo… Si tratta ovviamente di casi limite.

La confusione oggi è grande. Molti chiedono la trasformazione dell’ora di religione in ora di storia delle religioni, come se non esistesse un Concordato che impone l’irc… Ciononostante il numero di coloro che non si avvalgono è in continuo aumento. Di questo fenomeno va tenuto conto; lo stato di non obbligo per i non avvalenti va rivendicato, la sudditanza a un insegnamento confessionale non può essere mitigata da marchingegni alternativi.

È tempo che la battaglia contro l’Intesa applicativa dell’art.9 del Nuovo Concordato nella scuola pubblica venga ripresa, in nome della laicità della scuola e della Repubblica.

Non possiamo attendere l’auspicata abrogazione del Concordato; l’Intesa – come si è visto – può essere ridiscussa. E ciò è tanto più urgente in presenza del moltiplicarsi della presenza di alunni/e appartenenti ad altre confessioni religiose, in presenza del permanere costante di forme di discriminazione denunciate dai genitori, in presenza dei costi elevati che gli insegnanti di r.c. scelti dal Vicariato ma pagati dallo Stato, e i docenti di attività alternative, qualora si rispetti la sentenza del Consiglio di Stato, comportano.

L’Intesa del 16 dicembre 1985 parla di “orario scolastico” ma non di “orario scolastico obbligatorio”. Tutto ciò considerato, non si potrebbe proporre l’avvio di una trattativa tra i soggetti firmatari dell’Intesa per stabilire che “orario scolastico giornaliero” può anche comprendere una fascia facoltativa (era una vecchia proposta degli anni’90) per consentire – fuori dell’orario obbligatorio – a chi ne faccia richiesta, di frequentare l’irc, senza valutazioni discriminanti nei confronti di chi in base alla libertà di coscienza non ritiene di seguire un insegnamento confessionale? Sarebbe un passo grande verso l’affermazione della laicità della scuola pubblica.