Il mistero della natura ci tocca nel profondo – Intervista a Vito Mancuso

Intervista al prof. Vito Mancuso di Paolo Piffer
Trentino, 10 febbraio 2016

Schermata 2016-02-10 alle 14.53.43In vista degli spettacoli “Laika” di Ascanio Celestini (il 19 febbraio) e “Vangelo” di Pippo Delbono (il 17 marzo), che con il sacro e la sacralità dell’uomo nelle sue diverse espressioni hanno a che fare, il Centro servizi culturali S.Chiara di Trento promuove un incontro con il teologo Vito Mancuso in programma domani, al teatro Cuminetti, in via S.Croce, alle 17,30. Dialogherà con l’ospite Alberto Faustini, direttore di “Trentino” e “Alto Adige”. Mancuso rifletterà sul senso del sacro nella società contemporanea. Tra i più attenti analisti del vivere contemporaneo dell’uomo, con tutte le sue difficoltà, asperità, aspettative e tensioni spirituali, il teologo, che fu ordinato dal cardinale Carlo Maria Martini e che poi chiese di essere dispensato dalla vita sacerdotale, è saggista di successo nonché editorialista del quotidiano “la Repubblica”. Più di una sua pubblicazione ha venduto oltre centomila copie segno che i temi che approfondisce disegnano spazi che, come un sasso gettato in acqua, formano cerchi sempre più larghi, oltre la comunità dei credenti. Il che qualche frizione con le gerarchie ecclesiastiche a volte l’ha provocata. “Dio e il suo destino” è, per ora, la sua ultima produzione editoriale …

Certo che parlare del senso del sacro nella società contemporanea non è proprio argomento di ogni giorno e di grande appeal. Ma cos’è, che espressioni assume, il sacro al giorno d’oggi?

«Rispetto alla vita di ognuno di noi, si potrebbe parlarne in due accezioni. Da una parte come un mistero tremendo e dall’altra in quanto mistero fascinoso. Cioè, per un verso come qualcosa che intimorisce, che mette paura e spaventa, esecrabile, per un altro quale attrazione profonda. Il senso del sacro sta nella vita stessa».

“Terrore e fascinazione”, termini opposti o forse no. Ma per che cosa?

«Per la vita. Basta non essere superficiali ed avere un minimo di profondità e partecipazione per rendersi conto della grande contraddizione nella quale siamo capitati, che è la vita. Contraddizione che presenta momenti di bellezza assoluta ma anche di terrore. Pensi alla natura, voi che abitate in montagna. Cos’è la montagna se non uno dei luoghi sacri per definizione dove grandezza e tragedia coesistono? Non c’è religione e civiltà che non abbiamo i loro sacri monti. Oppure, riflettiamo sulla nascita o il sesso. Abbiamo a che fare con misteri di grande fascino e, al contempo, che possono spaventarci. Più noi entriamo in rapporto con la vita nella sua dimensione naturale più si è in contatto con il mistero. Un mistero che si rivela attraverso questi due elementi, contradditori, certo, ma compresenti».

È materia che riguarda la cerchia dei credenti o va ben al di là?

«Ma no, no. Se riguardasse solo i credenti sarebbe una vita povera. Ma chi può vivere senza entrare in contatto con il mistero della natura e dell’esistenza in tutti i suoi aspetti? Riguarda tutti. Certo, le religioni e i credenti hanno il desiderio e la tradizione che permette loro di entrare in comunicazione in qualche modo diretta con il sacro attraverso tutta una serie di strumenti (libri, sacramenti, preghiere, giorni, tempi, educazione) che istituzionalizza questa dimensione del sacro naturale. I non credenti, per la maggior parte, se non sono persone vuote (che ci sono anche tra i credenti), non possono non sentire anche loro questa dimensione sacrale contenuta nella vita stessa. Le dirò di più».

Prego.

«A volte, alcuni non credenti, proprio perché non sono permeati da una dimensione istituzionalizzata del sacro, che media tra la vita e loro stessi, hanno un contatto con il sacro ben più autentico, genuino e diretto di tanti credenti. Sono portatori di una spiritualità più intensa di molti altri”.

Ma lei ne vede proprio così tanto di senso del sacro nella società contemporanea?

«Sì. Magari avrò una visione del mondo un po’ parziale e privilegiata. Però, andando in giro, vedo un fortissimo interesse, da parte della coscienza contemporanea, per la spi- ritualità. Certo, e questo va sottolineato, una nuova spiritualità non necessariamente mediata dalla religione istituzionale. C’è il desidero, sia da parte di tanti credenti ma anche di molti che non credono di un rinnovato approccio alla dimensione del sacro che abbia la natura come punto di partenza e arrivo. Perché è lì che chi crede vede la mano di Dio e chi non crede è al cospetto del vero fenomeno originario, di un nuovo rapporto, ad esempio, con il proprio corpo, gli animali, le piante. Andando a scavare sotto l’inquietudine della coscienza contemporanea vedo un rinnovato desiderio del sacro. Ne sono convinto».

Ma in nome di un Dio, qualunque esso sia, nel passato come oggi, si massacrano centinaia e centinaia di vite pressoché giornalmente. Quelle vite comunque “desiderose di una loro sacralità” per stare a quanto lei afferma.

«Lì c’è ben poca sacralità. In questo caso la religione è concepita come un assoluto, uno strumento di potere, invece che come mediazione e via a servizio del fenomeno originario, cioè del contatto della nostra coscienza con la natura, con il mistero della vita, in armonia, unità e comunione con tutti i viventi. In questi casi c’è rivalità con le altre religioni e le persone che non pensano in quell’ottica vanno perciò convertite o giustiziate. Abbiamo a che fare con la perversione del fenomeno religioso».