Ventennale di Noi Siamo Chiesa : le conclusioni

di Michelangelo Ventura
Milano, 28 maggio 2016

Il nostro incontro è giunto alla conclusione, potrei dire: non mi rimane che chiudere la porta.

Dopo l’interessantissima relazione di Serena, dopo l’intervento, a seguire, degli amici chiamati a portare un contributo e di coloro, tra noi, che si sono sentiti interpellati dalle cose dette, affiora un poco di stanchezza e non ritengo di dover trarre conclusioni, non ho la presunzione né l’obiettivo di concludere niente. Si potrebbe dire che le conclusioni sono già state tratte mediante le numerose proposte e le tante esperienze narrate.

Mi limito ad una brevissima sintesi personale con il cercare di cogliere alcuni spunti ,riflessioni, esprimere suggestioni, frutto anche dell’ascolto dei ricchi contributi che hanno scandito la giornata dopo l’ esauriente relazione introduttiva di Vittorio. Tutto ciò per rilanciare verso una riflessione comune che, nel prossimo autunno, delineerà le tracce del cammino di ‘Noi Siamo Chiesa’ nei mesi a venire.

Poche parole. Racchiuderei tutto in due espressioni :
‘vivere radicati nello sradicamento’ e ‘coniugare profezia e processo’

Abbiamo parlato del dramma dei migranti, dell’ essenzialità di un confronto ‘in primis’ delle nostre prassi con tale realtà. Recentemente ho avuto modo di leggere la testimonianza di un cooperante che a fronte della sua toccante e coinvolgente esperienza, delle fragilità avanzanti anche nel nostro mondo cosiddetto ‘sviluppato’, diceva: dobbiamo imparare a vivere radicati nello sradicamento, coniugando progetto con quotidianità, non dalla parte direi ma ‘con’.

L’altra espressione la userei per fare sintesi degli interventi ascoltati: dobbiamo coniugare profezia e processo. Profezia non certo come predizione del futuro ma come denuncia, messa in discussione e qui il riferimento alle parole di papa Francesco viene da sé.

Il processo da intendersi come cammino per far innamorare il Popolo di Dio della necessità di addivenire ad un riforma, una riforma che non sia mero cambio di strutture ma un nuovo porsi di fronte al tema di vivere la comunità dei credenti, che veda donne e uomini protagonisti oltre ruoli e funzioni che vengano invece poste al servizio.

Ancora con riferimento ai dilaceranti temi dell’impoverimento e delle migrazioni non possiamo non porci il tema di approcci e soluzioni complessive (come poc’anzi suggeriva Roberto Fiorini).

In riferimento cito un piccolo brano dell’ enciclica ‘Laudato Si’:
“E’ necessario cercare soluzioni integrali, che considerino le interazioni dei sistemi naturali tra loro con i sistemi sociali. Non ci sono due crisi separate, una ambientale e un’altra sociale, bensì una sola complessa crisi socio-ambientale. Le direttrici per la soluzione richiedono un approccio integrale per combattere la povertà, per restituire la dignità agli esclusi e nello stesso tempo prendersi cura della natura”.

Non possiamo prescindere da questa visione ‘globale’ per cercare la nostra collocazione anche prefigurandoci una immagine di Chiesa, ovvero una realtà di Chiesa diversa come prospettato dal Concilio Vaticano II.

Sabato scorso ho presentato nel mio quartiere a Brescia un libro scritto da un’amica dopo un suo viaggio a Sarajevo. Il titolo era ‘Ho visto sorgere il sole a Sarajevo’ teso a dimostrare come anche una realtà di morte, violenza, sopraffazione (pensiamo solo alle 40mila donne stuprate) possa poi inevitabilmente essere generativa di speranza, progettualità se basata sulla ricostruzione delle relazioni. Lo sforzo di ‘restare umani’ nonostante tutto.

Dopo la presentazione l’ho accompagnata a fare una breve passeggiata in città e siamo capitati nel duomo nuovo (costruzione settecentesca a fianco della rotonda di origine romanica).

E lì abbiamo ammirato la statua in bronzo di Paolo VI dello scultore Lello Scorzelli.
Un immagine di Paolo VI come uomo fragile, ricurvo sotto il peso, il travaglio della storia, della sua storia e della storia della Chiesa. Non un‘ immagine trionfante ma un ‘immagine difficile, contorta, quasi premonitrice di quanto è accaduto negli ultimi decenni sfociati, come ha ricordato Vittorio, nella rinuncia di Benedetto XVI.

Ho e abbiamo pensato a Francesco, al salto di qualità nell’annuncio: gioia, vicinanza e denuncia. Questo ci diceva lo scorso anno l’amico Raniero La Valle in transito da Brescia per presentare il suo: Chi sono io Francesco ?

Il tempo presente è complesso, la visione e la dimensione è globale (l’Uomo Planetario di E. Balducci) e noi abbiamo la necessità vitale di vivere nel presente , saperci confrontare nel quotidiano con le attese, le speranze e con la responsabilità della denuncia.

“La vita reale è più ricca delle parole”

Quindi la necessità di concentrarsi su singole iniziative, come in Germania avviene in campo civico, ci dice Marco Politi o ancora come suggerisce con forza ed emozione Franco Barbero.

Dobbiamo cogliere il dono dello smarrimento e cogliere il senso dei problemi che contano a fianco delle sorelle e dei fratelli che più pagano per questa realtà. Essere smarriti non significa essere persi ma cogliere l’opportunità della ricerca nella prospettiva di un futuro ricco di contraddizioni.

I passi di Francesco in un contesto ispirato da un’ idea di Chiesa popolare sono coraggiosi ma devono confrontarsi con una realtà difficile ….tra i lupi (per ricordare il testo di Marco Politi).

Il nostro Luigi Sandri parlando di Amoris Laetitia dice che nel testo si alternano audacia, prudenza e reticenza e questo mi pare che disegni bene la realtà del cammino del nuovo pontificato.

A fronte di vere ‘bordate’ contro un sistema mondiale ingiusto, colpevole della drammatica sorte di sterminate schiere di ultimi, dimenticati, scarti ( vedi Evangelii Guadium, messaggio ai movimenti popolari – ottobre 2014 – Laudato Si) talvolta, su certi aspetti, si ha la sensazione di vivere una sorta di backlash (il ritorno di visioni superate: il cadavere di S.Padre Pio in piazza S. Pietro, la vicenda del gender – noi a Brescia su questo tema siamo al centro della penosità delle iniziative di Massimo Gandolfini e dei suoi -, rigurgiti di posizioni anticonciliari che anche nella chiesa italiana trovano ancora grande seguito) ….forse è un poco più in là che si sta tornando ?

Anche il logos senza eros può divenire un’ideologia

Possiamo dire che Francesco ha riscoperto l’eros ? Questa ‘misericordia’ (anche nella sua accezione civile) è quella che riscopre in Gesù la pietra scartata dal costruttore divenuta testata d’angolo…. in cosa si configura tutto ciò ?…. nella Sua umanità al di là di dottrine e del magistero.

E allora Che fare come NSC ?

Vittorio diceva ‘accrescere’ il nostro impegno……direi sempre più sotto il segno di una laicità nella sostanza. Noi cristiani a ben vedere abbiamo seri motivi per essere laici (clero compreso). Sono motivi originari forti, centrali per la fede, direi costitutivi. E lo sono anche nei confronti di una interpretazione aggiornata del termine condivisa dai non credenti. Possiamo affermare che la laicità nasce col cristianesimo. Gesù Cristo infatti esalta:

– la dignità umana (l’uomo è immagine di Dio)

– l’indipendenza personale da qualsiasi potestà o falso idolo (libertà di coscienza)

– il principio di autodeterminazione del singolo (la coscienza è l’ultimo decisivo tribunale personale)

– la distinzione tra fede e politica (Date a Cesare…che in democrazia si declina come obbligo di fedeltà alla Costituzione come patto tra pari per il Bene comune)

– il pluralismo come valore (principio della fraternità universale)

Come fare ?

“Con mitezza”. Ai miti è promesso non il cielo bensì la terra.

Recentemente ad un seminario della ‘Rosa Bianca’ Cristina Simonelli ci diceva:

“penso la mitezza come ‘virtù forte’, come resistenza e custodia, come responsabilità condivisa, come fermezza infine, come “stare.. che è un verbo attivo”…..stare dove ?

Direi stare nelle difficoltà, nelle contraddizioni dilaceranti, stare nelle crepe di questa società inequa, sofferente, disagiata, migrante. Dice Michela Marzano: nella “crepa” si può «fare filosofia» – pensare, augurare, teologare – a partire «dalla crepa»: che è l’imperfezione della coppa che sembra d’oro ed è solo di cristallo ed è anche attraversata da una crepa che è anche l’irrompere in essa dell’inedito e dell’imponderabile. E sono molteplici le crepe, nel doppio significato di imperfezione e di irruzione, che presenta la Scrittura.

I giapponesi praticano l’arte del KINTSUGI. Ciò che si rompe – la crepa – si ripara con quanto c’è di più prezioso. E noi come possiamo riparare la crepa, cosa mettere nella crepa di prezioso ? La nostra passione, le emozioni, lo stare ‘con’.

Che cosa fare ?

Delineare un percorso ideale ma anche pragmatico.

Ricostruire un protagonismo del Popolo di Dio, della Comunità …..facendo rete su temi specifici: diaconato femminile, unità pastorali, pedofilia, cappellani militari, otto per mille come suggerivano Marco e Franco.

Il cammino continua come ?

Per legare con le nuove generazioni non abbiamo che due strade:
cercare di mutare e adeguare il linguaggio per sperare di essere maggiormente compresi e con la testimonianza di vita. Essere presenti: io ci sto, io ci sono, io amo (Io amo , Vito Mancuso).

Il cammino deve continuare facendo rete, partendo dal prenderci ‘cura’:
prendendoci cura per destino biologico e per scelta: ..noi cominciamo a vivere perché curati e dobbiamo continuare nella cura … insieme!

“Ogni immagine di autosufficienza non è un ideale ma un controsenso – Un io giusto è un io grato” …. nella relazione che è far parte dell’ armonia generativa.

Ho raccolto questa affermazione nelle mie letture e qui la condivido con voi.

Grazie e buon cammino.