Matrimoni a rischio di A.Sanfrancesco

Matrimoni a rischio: nel 2031 non ci si sposerà più in chiesa

Il dato allarmante contenuto nel rapporto “Non mi sposo più”: se continua il trend degli ultimi vent’anni le nozze in chiesa saranno un ricordo e nel 2020 in Italia ci sarà il sorpasso dei matrimoni civili. «La crisi viene dagli anni Cinquanta», dice il direttore generale Valerii, «oggi le persone tendono ad avere relazioni affettive, fare un figlio e mettere su famiglia al di fuori dell’istituzione matrimoniale».

I numeri sono impietosi. Se il trend degli ultimi vent’anni sarà confermato e non ci sarà un’inversione di tendenza, nel 2020 in Italia si avranno più matrimoni civili che religiosi e nel 2031 non sarà celebrato un solo matrimonio nelle chiese italiane.
Lo studio del Censis Non mi sposo più, che Famiglia Cristiana ha letto integralmente, non lascia spazio a dubbi: il matrimonio in Italia, sia civile che religioso, è in crisi profonda e rappresenta oggi la scelta residuale di una piccola parte della popolazione che non è in maggioranza quella giovanile. «Questo», precisa il direttore generale del Censis Massimiliano Valerii, «non vuol dire che nel 2031 non ci sarà più nessun matrimonio religioso nel nostro Paese. Si tratta di una pura e semplice estrapolazione statistica». La lettura offerta da Valerii è che oggi «le persone tendono a decidere di mettere su famiglia, avere un figlio o una relazione al di fuori dell’istituzione formale della famiglia». Rispetto al passato, aggiunge, «sposarsi non dà vantaggi dal punto di vista sociale e giuridico: ad esempio i figli nati fuori dal matrimonio hanno gli stessi diritti di quelli nati nel matrimonio, c’è un progressivo riconoscimento delle unioni civili. La crisi del matrimonio non corrisponde tout court alla crisi delle relazioni affettive, solo che i rapporti tendono ad essere vissuti sempre di più al di fuori della cornice istituzionale del matrimonio».
Due, spiega il rapporto, le conseguenze generali di questa situazione. La prima è che il matrimonio è diventato «una istituzione che non è più il baricentro della vita individuale e sociale, perché non è più la porta d’accesso all’autonomia rispetto alla famiglia di origine e alla genitorialità». La seconda è che si tratta di «una istituzione che sempre più coinvolge i non più giovani, perché molti riscoprono la voglia di matrimonio solo dopo aver accumulato altre esperienze di vita».

Il 2014 annus horribilis

Statistiche alla mano, l’annus horribilis è stato il 2014 quando in Italia si sono celebrati in totale 189.765 matrimoni. Dal 1862 sono solo otto gli anni in cui si sono registrati meno matrimoni e, non a caso, quattro di essi cadono nel periodo della Prima Guerra Mondiale. Nel 1974, spiega il rapporto Censis, in Italia sono stati celebrati poco più di 403mila matrimoni, nel 1984 quasi 301mila, nel 1994 oltre 291mila, nel 2004 quasi 245mila e nel 2014 meno di 190mila: un declino continuo, marcato, finora irreversibile. Tra il 1974 e il 2014 la riduzione del numero di matrimoni è stata pari a -52,9%. Solo nell’ultimo decennio (2004-2014) la riduzione è del 23,8%.
Anche per quanto riguarda i matrimoni religiosi, il 2014 è stato l’anno con il picco negativo dal 1862 con 108.000 unioni celebrate davanti all’altare, ben 61.583 in meno rispetto al 2004 (-36,3%), 127.936 in meno rispetto al 1994 (-54,2%), 261.723 in meno rispetto al 1974 (-71%). Come quota parte del totale dei matrimoni, quelli religiosi sono ormai meno del 57%, mentre erano il 68,1% nel 2004, nel 1994 erano l’80,9% e addirittura il 91,7% nel 1974. In soli vent’anni, dal 1994 al 2014, si è avuto un crollo dei matrimoni religiosi di 24 punti percentuali.
Nel periodo della crisi (2008-2014), si legge ancora nel rapporto, la diserzione del matrimonio religioso è stata particolarmente massiccia: 48mila in meno. E in quel periodo ci sono stati almeno tre picchi annuali rispetto agli ultimi dieci anni di caduta rispetto all’anno precedente: il 2011 rispetto al 2010 (-13.756), il 2013 rispetto al 2012 (-10.752) e il 2009 rispetto al 2008 (-11.189).

«La crisi s’inserisce nel processo di secolarizzazione che va avanti dagli anni Cinquanta»

Il trend di declino generale riguarda anche i matrimoni civili ma rispetto a quelli religiosi sono in aumento passando dall’8,3% del totale delle nozze nel 1974 al 19,1% nel 1994 fino al 43,1% nel 2014. «Questo vuol dire che siamo di fronte a una crisi più generale del matrimonio come istituzione che ormai non è più centrale rispetto alla vita delle persone», spiega Valerii. «Se prima sposarsi significava uscire dalla famiglia d’origine oggi non è più così. In passato, inoltre, il matrimonio rappresentava anche un meccanismo d’ascensione sociale soprattutto per le donne che potevano incontrare un partner di un livello socio-economico più alto. Oggi ci si sposa tra simili, soprattutto nella collocazione sociale ed economica».
Un altro aspetto, ormai entrato nel costume generale, è l’aumento dell’età in cui ci si sposa. Nel decennio 2004-2014 l’età media per gli sposi è salita da 33,6 a 36,6 anni, cioè di 3 anni; per le spose è aumentata da 30,3 a 32,5 anni, con un aumento di 2,2 anni. «Lo slittamento in avanti dell’età in cui si compiono scelte decisive non riguarda solo il matrimonio», afferma il direttore del Censis, «ma anche l’indipendenza economica, la possibilità di essere autonomo dalla famiglia d’origine e avere una casa di proprietà».
E la crisi quanto ha pesato in questo calo? «Molto ma non in maniera decisiva. Nei sette anni della crisi, dal 2007 al 2014, i matrimoni sono calati del 24%, nei sette anni precedenti il calo è stato del 12%, la metà».

Il tema chiave che emerge da questi numeri è il futuro stesso del matrimonio come istituzione. «Questo stato di crisi viene da molto lontano», conclude Valerii, «e s’inserisce nel processo di individualismo e di secolarizzazione che va avanti dagli anni Cinquanta e nel quale colloco anche la legge sul divorzio e l’aborto arrivate a metà degli anni Settanta».

Antonio Sanfrancesco
http://www.famigliacristiana.it/ 08/07/2016