I Cristiani in Medio Oriente, destinati alla scomparsa? di L. Sandri

Luigi Sandri

I cristiani rischiano di sparire dal Medio Oriente. Questo dato di fatto, conseguenza dei conflitti tremendi che travagliano la regione, e in particolare i territori controllati con pugno di ferro dall’autoproclamatosi Califfato dominato dall’Isis, sarà al centro della IX Assemblea generale del Consiglio delle Chiese del Medio Oriente che si apre il 6 settembre ad Amman, in Giordania.

Al summit prenderanno parte, tra gli altri: Yohanna X, patriarca greco ortodosso di Antiochia con sede a Damasco; Louis Raphael I, patriarca caldeo (cattolico) con sede a Baghdad; Fouad Twal, patriarca latino emerito di Gerusalemme; Ignace Youssif III, patriarca siro cattolico, con sede a Beirut; Gregorios III, patriarca melkita (cattolico) con sede a Damasco; Tawadros II, patriarca copto ortodosso di Alessandria d’Egitto.

Gli sconvolgimenti che hanno colpito il Medio Oriente all’alba del Terzo millennio, oltre alle tragiche conseguenze geopolitiche e umanitarie ben note, hanno anche provocato una diminuzione impressionante dei cristiani che là sono radicati fin dalle origini del Cristianesimo.

Fino al 2003 – l’anno fatale dell’ingiustificato attacco occidentale all’Iraq di Saddam Hussein, accusato, falsamente, di possedere armi di distruzione di massa – la presenza cristiana (ortodossi, cattolici, protestanti) in Medio Oriente era significativa, per quanto con differenze notevolissime da paese a paese. In Iraq i cristiani, nell’insieme, erano circa un milione e mezzo; in Siria tra l’8 e il 10 % dei 24 milioni di abitanti; in Egitto erano circa il 10% (o forse più) della popolazione; in Turchia meno dell’1%.

In Iraq i conflitti tra sunniti e sciiti e il crollo istituzionale seguito all’occupazione statunitense; in Siria la guerra civile iniziata nel marzo 2011 e da allora perdurante tragicamente fino ad oggi; l’occupazione di parte del territorio siriano ed iracheno da parte dell’Isis, che nelle terre dominate dal cosiddetto Califfato ha imposto la più rigida interpretazione della legge islamica… che prevede la condanna a morte degli “infedeli”: questa serie di elementi, intrecciati l’uno all’altro, hanno provocato infiniti lutti e devastazioni. Le vittime più numerose di tale situazione – occorre ricordarlo – sono state e sono musulmane. Ma, relativamente al loro numero, pesanti sono anche le perdite di seguaci delle religioni minoritarie, e dunque di cristiani e di yazidi.

Vittime a parte, comunità cristiane e yazide sono state spesso costrette – con la violenza o per necessità – ad abbandonare terre ove vivevano da secoli, per cercare salvezza in zone ben delimitate del loro paese, oppure in paesi viciniori, come la Turchia e il Libano. Ma chi è riparato all’estero spesso tenta, se può, di raggiungere parenti in Europa o nelle due Americhe. Nell’insieme, questa devastante emorragia rischia di distruggere alla radice intere comunità, perché la culla ove sono nate rimane vuota.

Singolare, poi, il caso dell’Arabia saudita. Non vi è, a quanto si sappia, nessun saudita che non sia musulmano. Tuttavia, nel regno, lavorano – nella cura domestica nelle famiglie, nell’assistenza sanitaria o nelle costruzioni e nell’agricoltura – circa 2,5 milioni di cristiani, donne e uomini provenienti da paesi mediorientali o dall’India, dal Vietnam e dalle Filippine. Tutte queste persone non hanno il diritto di avere nemmeno una chiesa, né possono pubblicamente e formalmente incontrarsi, la domenica, per celebrare la messa, la divina liturgia o la Santa Cena. Una flagrante violazione della libertà religiosa di fatto tollerata – cinicamente – dall’Occidente che ha necessità del petrolio saudita.

E, in questi giorni, è stata approvata in Egitto una legge che rende in concreto assai difficile, se non impossibile, costruire nuove chiese.

L’inesorabile diminuzione dei cristiani nelle terre ove il Cristianesimo è nato è stata più volte oggetto di riflessione sia da parte del Consiglio ecumenico delle Chiese, che del Consiglio delle Chiese del Medio Oriente, oltre che da parte vaticana. Il “summit” di Amman – si prevede – leverà ancora una volta la voce per invocare una pace giusta in Siria e in Iraq: una pace che gioverebbe a tutti, in primo luogo alla maggioranza musulmana della popolazione, e poi alle minoranze cristiane e ad altri ancora più sparuti gruppi religiosi. Il “summit”, poi, ribadirà che difendere la presenza cristiana in Medio Oriente non giova solo ai cristiani, ma anche alla pace complessiva nella regione.

Da parte sua, ricevendo il 4 settembre il patriarca Tawadros II, re Abdallah II ha voluto ribadire che la Giordania rappresenta un modello di “coesistenza armoniosa” tra cristiani e musulmani. Infatti, ha rilevato il sovrano, nel regno hashemita i cristiani – pur piccola minoranza – hanno libertà di organizzarsi come vogliono. E l’insistenza sul dialogo tra musulmani e cristiani è una costante della politica hashemita.

Luigi Sandri