Lo scacchiere delle parrocchie di B.Manni

Beppe Manni
(CdB del Villaggio Artigiano – Modena)

Il vescovo e il vicario delle diocesi sono chiamati sempre più spesso a dovere riorganizzare lo scarso manipolo dei preti per il servizio pastorale alle parrocchie. Come su una scacchiera spostano le pedine, sopprimono dei  pezzi nascondono quelli eliminati.

Le parrocchie sono molte: più o meno grandi, popolose nelle periferie della città e nei grossi centri paesani, poco abitate nella collina e nella montagna. I preti sono sempre meno e sempre più vecchi. Purtroppo lo sforzo curiale è tutto teso a garantire una messa domenicale. Le soluzioni suicide che stanno adottando i vescovi italiani sono sempre quelle.

1) Accorpamento delle parrocchie più piccole; in periferia sono state costruite megachiese che contengono mille fedeli per quartieri di diecimila abitanti (ad esempio la chiesa di Gesù Redentore a Modena).

2) Reclutamento di preti “mercenari” esteri in modo particolare, dopo il pontificato wojtiliano, clerici vagantes polacchi o africani, spesso alla ricerca di un posto sicuro e ben remunerato. O suore africane e filippine.

3) “Ad veteranos”, era il grido dei consoli romani quando chiamavano in una battaglia ormai disperata, le riserve composta di soldati dal glorioso passato, esperti ma attempati. Così a preti in pensione, anziani e vecchi, viene chiesto di arrampicarsi sui monti per celebrare in chiesette abbandonate, una frettolosa messa domenicale.

4) Uso di alcuni diaconi non sempre del luogo, per matrimoni, funerali, benedizioni e organizzazioni delle feste paesane.

5) L’ipotetica riammissione in “ruolo” dei preti che essendosi sposati sono stati cancellati dai registri diocesani, sarebbe una soluzione solo temporanea

L’amara considerazione conclusiva è che sembra che alla “chiesa” non interessi la nascita, la conservazione o la crescita di una comunità o di una parrocchia, ma piuttosto, (non so se per paura o per insipienza)  assicurare i sacramenti e specialmente la messa domenicale, salvando in tal modo non il cuore della comunità ma il guscio, le strutture giuridiche con relativi benefici economici che ne derivano.

“E’ l’eucarestia che costruisce la comunità” si diceva dopo il concilio. E’ un’affermazione ambigua. Quasi che miracolosamente ex opere operato, di per sé, miracolosamente, la messa dovrebbe far crescere una comunità. Il prete arriva esegue frettolosamente il rito, non ha tempo di fermarsi perché deve ripartire per un altro paesino.

Che la messa non funziona in questo modo, lo si può vedere nelle parrocchie di città, dove centinaia di cittadini vanno alla liturgia domenicale; dopo anni di “partecipazione” al sacro rito escano senza nemmeno salutarsi.

Piccoli paesi sono ormai abbandonati, non ci sono presìdi civili o centri aggregativi come scuola, botteghe, farmacia ecc. e da molti anni ormai sono senza parroco. Un “pastore” è indispensabile per conservare la comunità e far crescere la fede.

Nelle città poi dove non esiste più il tessuto sociale dei paesi, è necessario creare piccoli gruppi per costruire una comunità cristiana e “civile” che crei nuove relazioni e cittadini-cristiani attenti alla persona e alle necessità del territorio. Infatti la città si è desertificata. La gente ha paura è sospettosa, tende a chiudersi in casa o in piccoli gruppi amicali e parentali.

Lasciando la città abbandonata e in mano agli stranieri o peggio ai delinquenti. I credenti di una piccola comunità radicata in un quartiere, sono una presenza importante. Sono interessati ai problemi reali del territorio, intervengono insieme all’amministrazione per affrontarli e risolverli. Conoscono le persone che sono in necessità.

E’ un’analisi semplicistica se volete, ma drammaticamente realistica. Ora di fronte a una situazione di questo tipo ciò che sembra interessare le gerarchie come ho già detto, è la sopravvivenza della struttura giuridica delle parrocchie. Non hanno un minimo di fantasia dettata dallo Spirito.

Gli uffici parrocchiali lavorano a tempo pieno per fare certificati e organizzare catechismi funerali e messe. O per distribuire viveri. I monasteri sono grandi strutture desolate, le chiese deserte e le cosiddette vocazioni languono. Le adunate oceaniche del papa, i pellegrinaggi ai santuari o le grandi adunate diocesane sembra che soddisfino solo i cardinali il papa e i vescovi.

E’ dunque indispensabile mantenere le piccole parrocchie e nei quartieri creare piccole comunità autonome. Con un pastore-parroco che raccoglie la domenica il piccolo gregge, dialoga intorno alla Parola, fa l’eucarestia, cura il catechismo familiare e organizza la visita ai poveri.

Non a caso parlo di un pastore e non di un sacerdote. Non è sufficiente fare delle operazioni di supplenza: “Se proprio il prete la domenica non può celebrare la messa, si dice, allora sottovoce, senza ufficializzarlo un buon diacono (di donne neanche l’ombra) faccia pure una liturgia della parola ma che per l’amor del cielo, non diventi una regola.

Non voglio parlare di viri uxorati uomini di buona formazione e sposati che facciano qualche funzione sacerdotale come dice il papa. E’ necessario ripensare la figura del parroco e del prete-sacerdote; svestirlo dagli antichi ruoli sacrali e restituirlo alla gente.

La nuova figura di Pastore-prete (presbitero) è un uomo o donna, sposato o celibe con una formazione teologica dignitosa, capace di relazionarsi coi fedeli, onesto e stimato dai parrocchiani, come dice Tito dei vescovi, che abbia anche una famiglia che dà il buon esempio. I cristiani lo scelgono lo presentano al vescovo e quello diventa il presbitero presidente della comunità, il garante della fede, l’uomo della preghiera dell’eucarestia e della catechesi.

Ma come ho detto e lo affermo con grande amarezza, sembra che ai vescovi e ai preti attuali non interessi la predicazione della lieta novella di Gesù attraverso nuove e originali forme di evangelizzazione, ma piuttosto la conservazione delle strutture tradizionali.

Ma come su una scacchiera, improvvisamente senza preavviso: scacco matto.