Vangeli dell’infanzia e infanzia dei vangeli di A.Guagliumi

Antonio Guagliumi
(CdB San Paolo -Roma)

Periodicamente, nelle nostre liturgie o in altre occasioni (articoli di stampa, romanzi, ricostruzioni filmate, ecc.) ci vengono riproposti  i  racconti sull’infanzia di Gesù narrati nei vangeli di Matteo e di Luca e in alcuni vangeli apocrifi.

Le prese di posizione che  queste narrazioni provocano si possono schematicamente ricondurre  a tre tipi: (1) Si tratta  di creazioni degli evangelisti, magari basate su leggende che circolavano nel loro ambiente, per esaltare la divinità di Gesù e quindi non hanno alcun valore se non quello letterario;  (2) Sono narrazioni che, sia pure rielaborate dagli evangelisti, rispecchiano eventi realmente accaduti e narrati da Maria ad una ristretta cerchia di persone e poi “esplosi” dopo la Pasqua; (3)  Si tratta di narrazioni simboliche che anticipano all’infanzia alcune caratteristiche della predicazione e della testimonianza di Gesù.

La prima opinione mi pare trascurabile perché troppo riduttiva e semplicistica; la seconda è facilmente smentibile sulla base degli stessi vangeli, stando ai quali, ad esempio, Maria “dimentica” completamente una nascita così straordinaria  e, insieme ai suoi altri figli, corre a cercare  Gesù per  riportarlo a casa  visto che sembrava impazzito (Mc  3,21) oppure sulla base  della testimonianza  di Paolo che alla metà del primo secolo sapeva solo che Gesù era “nato di donna” (Gal 4,4).  Resta la terza ipotesi che è la più plausibile e feconda  e sulla quale mi soffermo un po’.

A questo proposito bisogna peraltro  aprire una breve parentesi che riguarda in generale il modo di leggere e interpretare le cosiddette “Sacre Scritture” e in particolare, per quanto ci riguarda, le “Scritture” cristiane (Vangeli, lettere, apocalisse).

Qui, secondo gli insegnamenti dell’esegesi storico-critica, troppo spesso dimenticata,  occorre sempre distinguere, quando si parla di Gesù,  tra un livello “storico”  (cioè risalente più o meno probabilmente al Gesù storico) e un livello interpretativo e teologico  prodotto dalla comunità cristiana post-pasquale. Questo secondo livello infatti è valido solo se rispetta il primo, altrimenti si tratta di elucubrazioni magari molto dotte ma che nulla hanno a che fare con Gesù e quindi, buone o cattive che siano, non possono rifarsi al suo nome.

Così, anche per i vangeli dell’infanzia, notiamo che alcuni dei fatti narrati sono coerenti con  gli insegnamenti  del Nazareno.  Per esempio, la sua preferenza per i poveri, la sua progressiva apertura ai non ebrei, le persecuzioni che subirà dal potere  sono simboleggiate coerentemente dalla nascita in un ambiente poverissimo e marginale, dall’adorazione dei pastori, dal successivo avvento dei magi, dalla strage degli innocenti, ecc. In questa ottica è secondario sapere che Gesù è nato a Nazareth  e non a Betlemme e presumibilmente  in modo del tutto normale; che  nessun “mago” è venuto dall’Oriente; che non c’è stata  nessuna  strage generalizzata di innocenti (anche se una certa analogia tra Erode che uccide molti suoi parenti perché aveva paura che aspirassero al trono, e Pilato che vede il potere  di Roma  minacciato da un  Gesù acclamato  “Re dei Giudei” si può fare).

Nessuno scandalo quindi se l’immaginario della prima comunità post-pasquale meditava su detti e fatti della testimonianza straordinaria di Gesù e, nella sua  commossa memoria  li presentava talvolta, secondo le consuetudini dell’epoca, sotto forma di novellette in cui non poteva mancare l’intervento miracoloso di Dio  

Ma quando da queste rielaborazioni si estrae una parola, magari relitto lessicale veterotestamentario mal tradotto come “vergine” e questa condizione fisica si enfatizza e dogmatizza, come è accaduto nel cattolicesimo per Maria,  fin quasi a farne un idolo, allora dobbiamo chiederci che cosa ha a che fare tutto ciò con la predicazione di Gesù e con la storia della salvezza, cioè con l’avvento del Regno da lui annunciato e inaugurato.  

Quello che ho detto per i vangeli dell’infanzia vale  per tutti gli altri casi analoghi nei quali si manifesta  la creatività delle prime comunità  cristiane.

Faccio solo un piccolo esempio:  è di recente uscito il V volume della grande opera di J. P. Meier “Un ebreo marginale: ripensare il Gesù storico”. Ebbene, il Meier dimostra in questo volume, con argomentazioni convincenti, che alcune delle più belle parabole tradizionalmente attribuite a Gesù, come quella del c.d. “figliol prodigo” (Lc 15, 11-22) e quella del c.d. “buon Samaritano” (Lc 10, 29-37)  sono, con tutta probabilità,  creazioni di Luca.

Forse che, saputo questo, dobbiamo abbandonare  quelle due parabole così significative e stimolanti per noi (pensiamo alle tante riflessioni di Giovanni su di loro!)  perché non risalgono a Gesù ma alla Chiesa delle origini? Certo che no. Esse, come altre parole attribuite nei vangeli a Gesù,  sono una sviluppo creativo ma fedele del suo pensiero. 

In altri casi, come per esempio nella famosa “confessione di Pietro” (Mt 16, 16-19) è stato dimostrato che quelle parole, sulle quali si basa la pretesa del primato del vescovo di Roma su tutti gli altri , sono una creazione di Matteo per le  esigenze della sua comunità e che pertanto  non traggono origine dall’insegnamento di Gesù. Come tali, mutate oggi le condizioni e le esigenze della Chiesa, le conseguenze che da esse si sono tratte, buone o cattive che siano state nel tempo, possono esser modificate. Ciò che la Chiesa ha fatto la Chiesa può modificare.

E questa è una buona novella, perché potrebbe, ad esempio, rimuovere  macigni apparentemente insuperabili sulla strada per la piena comunione  tra le varie confessioni cristiane.