Verso il prossimo Incontro nazionale CdB di L.Piacentini

Leo Piacentini

In occasione del collegamento di Roma i primi di maggio di quest’anno, per decidere il programma dell’incontro nazionale di novembre, sono circolate varie proposte su temi di grande interesse, come l’immaginario di Dio e il “tramonto” del cristianesimo, che mi hanno spinto ad alcune riflessioni. Ne ho parlato con gli amici della mia comunità di appartenenza (Piazza del Luogo Pio di Livorno) e di altre comunità di base, che mi hanno spronato a metterle per iscritto, giudicandole di un certo interesse.

E’ quello che mi accingo a fare, con un duplice scopo. Il primo, strettamente personale: uno con le mie idee può essere accettato come appartenente alle comunità cristiane di base? So bene che non esiste uno “statuto” e nemmeno un “non statuto” delle Cdb, ma è una domanda che a volte mi faccio e che potrebbero farsi altri dopo aver letto le poche righe che seguono.

L’altro scopo è per allargare la riflessione sui temi cui ho poc’anzi accennato. Partendo da una premessa ovvia, ma che è opportuno fare: non intendo convincere nessuno della giustezza di quello che andrò scrivendo; non ho competenze o studi specifici sull’argomento. Sono arrivato a certi convincimenti progressivamente, attraverso letture, incontri, riflessioni. Ma parlo appunto di convincimenti, non di certezze, che non ho, in nessun campo. Sempre disposto a cambiare o modificare il mio punto di vista appena percepisca in una opinione diversa una maggiore probabilità di vicinanza al vero.

Sul cristianesimo

Scriveva Balducci nell’anno stesso della sua morte: “Conservo in me la nostalgia… degli anni in cui i cristiani non sapevano di essere cristiani… Non furono i cristiani che inventarono il nome… Fu il potere ad inventarlo… Ciò mi basta perché possa sentirmi libero di coltivare la nostalgia dei giorni durante i quali i cristiani non lo erano affatto, in attesa di un tempo in cui i cristiani non lo saranno più… No, io non sono un cristiano, sono soltanto un uomo… che considera tutti gli uomini come suoi fratelli”. Io penso che sia giunto il tempo in cui possiamo smettere di chiamarci cristiani.

Quando si parla di cristianesimo bisognerebbe precisare di cosa si parla. Non esiste “un” cristianesimo, ma esistono più cristianesimi. Già ai tempi degli apostoli i discepoli di Gesù, che non erano ancora “cristiani”, erano divisi su vari temi (vedi il cosiddetto concilio di Gerusalemme) e nel corso della storia la molteplicità di “cristianesimi” si è andata sempre più accentuando, come tutti sappiamo (se mi si passa la battuta, è come parlare di “sinistra” in Italia). Se oggi alcuni continuano a parlare di “radici cristiane” dell’Europa sappiamo che si riferiscono ad un cristianesimo più o meno ufficiale, quello frutto di secoli di storia dove contava il potere dei sovrani, dei papi e dei loro vassalli, senza riferimento al Gesù storico e al suo messaggio.

Io vorrei invece soffermarmi brevemente proprio sul rapporto tra cristianesimo e Gesù di Nazaret, perché a mio avviso è qui il cuore del problema. Gli storici ammettono ormai unanimemente la totale ebraicità di Gesù: il suo agire, il suo pensare, il suo parlare sono all’interno della cultura e della religione ebraica. E’ parimenti quasi unanime, fra gli studiosi liberi, la convinzione che Gesù non abbia voluto “fondare” una nuova religione in sostituzione o anche solo in perfezionamento di quella ebraica. A partire dall’inizio del terzo secolo il cristianesimo si istituzionalizza, codifica le sue sacre scritture ed è convinto di essere la realizzazione del progetto di Gesù. In realtà è diventato una religione autonoma, separata dall’ebraismo e, anzi, in opposizione ad esso, e separata anche da Gesù.

In realtà, per dirla in breve ed anche brutalmente, Gesù c’entra poco o niente con il cristianesimo (e mi si affollano nella testa e nel cuore i quasi infiniti esempi che si possono portare e che non porto per motivi che ognuno può comprendere). Che ha però un merito: quello di avere conservato la memoria di Gesù e del suo messaggio di amore a Dio e a tutti gli uomini, che forse (?) senza cristianesimo non sarebbe giunta fino a noi.

L’immaginario di Dio

E’ un ulteriore tema di approfondimento. Quando Gesù parla di Dio, di “chi” o di “cosa” parla? Parla come un ebreo credente di venti secoli fa. Se uno si sente seguace di Gesù, deve pensare come Gesù su Dio e su ogni altra cosa? Io non credo proprio. Sono passati venti secoli ed è cambiato il mondo. Perché si può non credere più che Dio ha creato l’universo in sei giorni, che dalla creazione sono passati solo 6/7000 anni, che non è il sole che gira intorno alla terra, che il concepimento di un nuovo essere umano è dovuto al solo seme maschile, ma si “deve” continuare a credere in un Dio come quello in cui ha creduto Gesù? E non è solo questione che i politici e i religiosi di tutti i tempi hanno usato il nome di Dio per i propri scopi. Il problema è cosa intendo io quando parlo di Dio, solo dopo posso occuparmi di come ne parlano i politici ed i religiosi.

Nel corso degli anni nella nostra piccola comunità ci siamo occupati anche di teologia e di vari filoni di teologia: da quella della liberazione a quella pluralista, dalla narrativa alla femminista, da quella eco a quella post-religionale. Negli ultimi dieci anni ci siamo confrontati soprattutto su quest’ultima. L’ipotesi è che il tempo agrario del neolitico (nel quale sono sorte le vere e proprie religioni) sia giunto al termine e che stia iniziando quello che viene chiamato, dai cultori di questa ipotesi, un “nuovo tempo assiale”, il tempo della conoscenza, che porta ad una sostanziale messa in discussione delle religioni, a cominciare dalla negazione di un “theòs” personale che sta nell’alto dei cieli, che ha creato e governa il mondo, che ha parlato e ha indicato la strada per la salvezza, ecc., ma senza dover negare al tempo stesso la realtà di Dio, che andrebbe “ridefinita”. Compito arduo, a cui molti si stanno dedicando.

Naturalmente qui entra in campo una riconsiderazione di tutti i contenuti delle religioni, a cominciare da quella cristiano-cattolica con i suoi dogmi, dal teocentrismo al cristocentrismo, dal significato della Bibbia come “parola di Dio” alla resurrezione della carne, e via enumerando su tutto il contenuto del deposito della fede. Non è che la nostra comunità abbia tutto chiaro ed abbia le risposte; stiamo solo e sempre in ricerca. Però è chiaro che qui si pone anche il problema del futuro delle religioni, della religiosità, della spiritualità in genere e delle chiese, problema al quale non so certo rispondere. Ma qualcuno ci ha provato in qualche maniera. Permettetemi di citare due autori che si sono occupati da tempo di teologia post-religionale.

J. S. Spong: “Costruire la comunità universale è l’obiettivo ultimo della chiesa cristiana e nel raggiungimento di questo obiettivo la chiesa stessa verrà infine sciolta” (Letteralismo biblico, pag 387).
J. M. Vigil: “Le religioni dovranno concentrarsi sul compito essenziale, che non cambierà: aiutare l’essere umano a sopravvivere diventando sempre più umano[…]. L’unico futuro possibile delle religioni nel tempo post-religionale passa attraverso il loro ricentrarsi in questa vocazione profonda di sempre: coltivare la profondità dell’umanità, umanizzare l’umanità, ciò che per un tempo immemorabile abbiamo definito – con un nome tanto nostalgico quanto bisognoso di superamento – ‘spiritualità’” (Oltre le religioni, pagg 194-195). In altre parole: quando sarà venuto il “regno” (“venga il tuo regno”) non ci sarà più bisogno di religioni e di chiese, perché l’umanità sarà stata umanizzata e l’obiettivo di costruire la comunità universale sarà stato raggiunto.

C’è un’ultima cosa…

che vorrei aggiungere al mio scritto, una cosa che concerne da vicinissimo Gesù e il cristianesimo. Faccio fatica ad accettare che il simbolo cristiano per eccellenza sia la croce (poco importa se con Gesù appeso o no). In tempi difficili per i discepoli di Gesù il simbolo era il pesce (la parola pesce, in caratteri greci, era la sigla di “Gesù Cristo figlio di Dio Salvatore”). Dopo il trionfo di Costantino (“in hoc signo vinces”) la croce è diventata da una parte il segno della vittoria e del dominio del cristianesimo (siamo circondati da croci, sulle cime dei monti, nei crocicchi delle strade in campagna, nelle scuole, nei tribunali, insomma dappertutto) e, dall’altra, non per colpa di Costantino ma di una teologia distorta, sta a significare la convinzione che Gesù ha salvato l’umanità, per volere di Dio, tramite la sofferenza e la morte in croce.

Presentare Gesù come vittima, esigita dal Padre, per l’espiazione del peccato dell’umanità, è travisare completamente la storia e il messaggio di Gesù. Servirebbe un altro simbolo, magari con allegata sigla. A me piacerebbe l’immagine di un gruppo di persone di ogni colore che si danno la mano sorridendo, e accompagnata magari da un logo che può sembrare banale, per quanto è stato detto e ridetto, ma che a me appare sublime: libertà, uguaglianza, fraternità.  E a proposito: buona fraternità a tutti!