Pensando e parlando, tutte “alla pari” : una modalità di sostanza

Catti Cifatte – Genova

Vorremmo che a Cattolica (10-11-12 maggio p.v.), ma anche nel dopo-cattolica, tra di noi non ci fossero più differenze gerarchiche fra “esperte” e non: infatti ci siamo dette che “siamo tutte esperte”; la relazione fra noi donne dovrà essere una relazione in orizzontale! Se occorre simbolicamente ci potremmo passare un filo tra di noi che si snoderà tra le mani senza mai alzarsi o abbassarsi, ma scorrendo in piano! Chi porta il gomitolo?

Al di là del gomitolo, sappiamo che ci passeremo il microfono, in assemblea, come è stato fatto a Paestum, perché tutte possiamo avere parola, con piena libertà! Chi ha seguito il nostro percorso di donne in ricerca sa che non è un percorso facile, naturalmente alcune delle donne che ci hanno accompagnato ha avuto motivo di apprezzamento e dalla relazione con i nostri gruppi ha avuto spunti per un approfondimento, altre donne ci hanno stimolato con importanti riflessioni teologiche e bibliche sia sul piano teorico che su quello della pratica di coinvolgimento dei nostri corpi: in tutti i casi oggi sentiamo che l’unicità, la rarità della nostra ricerca va dichiarata, che ci deve e può essere un riconoscimento ed un coinvolgimento pieno da parte di tutte, e con una modalità diversa: sempre di più pensando e parlando tutte alla pari.

Sappiamo anche che è possibile aprire spazi di confronto con uomini in cammino che hanno apprezzato la ricerca dei gruppi delle donne e hanno riconosciuto la propria parzialità di genere. Questo discorso è un discorso nuovo che ci interpella e che potrà essere coltivato presto nel terreno più favorevole delle relazioni all’interno del movimento delle Comunità di base con il prossimo Seminario di novembre 2013.

Chiediamo a tutte le nostre amiche una partecipazione attiva alle nostre riflessioni e una possibilità di mettere in comune il pensiero e la parola contestualmente: ci rifacciamo all’idea di Chiara Zamboni nel suo “Pensare in presenza”. Siamo convinte che insieme raggiungiamo autorevolezza e che ci può essere riconosciuta. Però senza autocompiacimento, ma con senso di responsabilità, soprattutto nei confronti delle altre donne, coinvolgendoci quindi anche nell’impegno per una comunità di sororità, che sia spunto di riflessione anche per nostre amiche teologhe, politiche, filosofe o archeologhe, sociologhe o psicologhe.

Quello che ognuna vive nel suo desiderio, nella sua coscienza, nella sua sensibilità ha un valore profondo e quando si trova con altre donne, in relazione, vuole e può esprimerlo liberamente e con semplicità. Il suo linguaggio risuona nelle orecchie delle altre presenti, è un linguaggio chiaro, non tradisce tatticismi, non svela intellettualismo, è un linguaggio che nasce dalla esperienza vissuta insieme alle altre donne. A questo punto non ha importanza l’età che normalmente ci contraddistingue: le giovani come le più anziane, e quelle di mezzo, tutte ci ritroviamo.

Una dopo l’altra le parole sgorgano e sono captate, si riflettono negli interventi dell’una e dell’altre, le donne raccontano…. Incominciano sempre a partire da sé: non è modalità di oggi, era anche una modalità del primo femminismo. Poi ce l’eravamo un po’ dimenticata… oggi la riprendiamo: ne siamo convinte. L’amica che ha un messaggio più “politico” rispetto a quella che ha un messaggio più “esperienziale”, nonostante la differenza, non possono fare a meno di riferirsi alla propria storia, alla profondità del proprio vissuto: riscoprire se stesse è quasi un gioco, è una scommessa.

Riscoprirsi anche nel racconto dell’altra, riscoprire un riferimento al proprio gruppo-donne, alla propria comunità monastica, piuttosto che alla associazione femminista o semplicemente alla propria famiglia e/o al luogo di lavoro, nel rapporto con le proprie madri, o con le proprie figlie e figli. Perché sono lì i nostri vissuti che, volenti o nolenti, riemergono nel nostro parlare: le donne si confrontano e si rincorrono, intrecciano le loro storie, usano metafore improvvisate, vivono la loro presenza insieme e godono di questa presenza senza gerarchie.

 

Non è solo una modalità di rapportarsi, è in sostanza una espressione autentica dell’essere. Sì l’esempio di come è stata gestita l’assemblea di Paestum è stato importante! Abbiamo capito; ora ci accingiamo a provare a gestire il nostro incontro nazionale con questa stessa modalità: le amiche che ci hanno accompagnato lungo il percorso di ricerca sul divino e che sono state con noi nelle diverse tappe, sono invitate a partecipare a Cattolica, tutte quante insieme a noi, questa volta alla pari. Sappiamo anche che questa nuova modalità ha una sua dimensione politica, una politica che va riscoperta, che nel simbolico e nella processualità dei gruppi ha il suo significato liberatorio collettivo.

Ma quando si dice alla pari, si cancellano le differenze? No di certo! Come ci si attrezza per un camminare insieme e un vivere alla pari? Quali sono i beni scambiabili? Ci aspettiamo che ciascuna porti con se il suo bagaglio, la sua valigia ricca di conoscenze, di riflessioni, di letture di scambi con altre donne, di affetti e di desideri… Una valigia che improvvisamente si possa aprire e svuotare nella assemblea collettiva, perché le sue parti si disperdano e possono confondersi e mischiarsi per poi poter essere nuovamente raccolte. Il tempo che avremo sarà poco, relativamente parlando, ma in quel tempo che avremo cercheremo di dare e raccogliere, di svuotare e di riempire nuovamente, di riconoscere e come dice la lettera di convocazione di scoprire le nostre impronte sulla battigia prima che il mare le possa far scomparire!